Ma quante palle (perse) a Centrocampo!

Caro Matteo, vincere il campionato è tutto un altro gioco.

Di Dino Bertocco.

Un altro libro Di Matteo Renzi, giornalisticamente pepato ed avvincente, politicamente sterile.
Con le indiscrezioni e le frustrazioni di un leader surclassato dagli influencer.
L’autoritratto del più funambolico protagonista nel trentennio berlusconiano, eclissato dall’esaurimento dello storytelling, dal narcisismo e da uno sconcertante conflitto di interessi.


Crepuscolo dell’utopia

Dobbiamo sfuggire alle nostre biografie, all’autodifesa biografica, alla cacofonia di un tempo presente che esprime, anche attraverso la rappresentazione filmografica giovanile, una narrazione reclinata sul presente senza futuro. Evidentemente questa non è più una stagione di utopie, ma al massimo di attese della prossima puntata. Sempre che il network non decida di cancellare la serie.

Humankind cannot bear very much reality , T.S. Eliot

Mah, te l’ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose (Nanni Moretti in Ecce Bombo)

“Finisco la maratona e da Milano un volo mi porta di corsa in Asia. Continuo a girare il mondo nei ritagli degli impegni in Senato. Ho molte collaborazioni e tutte mi piacciono. Gli advisory board spaziano dalla medicina personalizzata e dalle biotecnologie applicate alle scienze fino al private equity; seguo realtà di venture capital aiutando a capire il futuro delle start up fino all’intelligenza artificiale. Aiuto realtà di qualità italiane all’estero e tengo corsi in università tra le più prestigiose al mondo. Alcuni governi mi chiedono consulenze sulla cultura e sull’urbanistica, anche alla luce della mia esperienza di sindaco di Firenze”

Matteo Renzi, Palla al Centro, pag. 149

Leggete bene questa introduzione

Nutro per Matteo Renzi il sentimento di affetto ed apprensione che può provare uno zio anziano, libero da vincoli genitoriali, il chè consente di rivolgere al nipote consigli non richiesti in piena libertà e, quando è il caso, quei rimproveri urticanti utili (non dico efficaci) di fronte ad atteggiamenti e comportamenti tardoadolescenziali che possono inficiare la maturazione di una personalità caratterizzata da un’intelligenza vivace, ma adombrata dalle pulsioni narcisistiche.

A dirla tutta, non potendo io esercitare una tale funzione ‘pedagogico-parentale’, contavo che essa fosse svolta dalla figura amorevole che ha accompagnato il giovane leader fiorentino sin dagli esordi,  nella cavalcata leopoldina, nella conquista e  gestione del Partito Democratico, nella laboriosa e coraggiosa attività di Governo: lo avete capito a chi mi riferisco, a chi se non Graziano Del Rio.

Il quale però,  in tutta evidenza affaticato dalle incombenze di una numerosa prole,  non possedeva l’energia che sarebbe stata necessaria non per produrre  ininfluenti borbottii (che pure ha espresso fino alla dolorosa separazione), bensì  per frenare le esuberanze e le mattane di un ‘Capo’ addestrato all’assertività ed alla guida ‘scoutistica’.

Aggiungo che nella stagione in cui Renzi  teneva nelle sue mani le redini politico-istituzionali del Paese,  preoccupato dalla torsione di una governance che stava passando dalla produttività  delle scelte innovative al solitario velleitarimo ,  gli scrissi una lettera confidenziale,  piena di pragmatismo,  analisi circostanziate dei rischi e delle opportune varianti  tattiche che le resistenze e la complessità della congiuntura suggerivano.

Il povero illuso che sono (sempre stato) io, aveva sottovalutato che il Leader era pienamente immerso nel ruolo del ‘rottamatore’, postura  che lo vincolava ad una discontinuità gestionale per la quale il dialogo intergenerazionale  non solo non era prevista, ma costituiva anche un impedimento al tumultuoso procedere del (in taluni casi reale in altri presunto) rinnovamento.

In quella stagione perigliosa,   gli unici consigli che avrebbe potuto prendere in considerazione erano quelli paterni dell’amico psicanalista Massimo Recalcati, impegnato a “difendere Telemaco dalle insidie dei Proci”,  non certo quelli che  potessero raffreddare il suo sacro fuoco: “Qui non c’è un’Italia che chiede scorciatoie, ma un’Italia che con coraggio e orgoglio chiede di fare la propria parte. E c’è anche una generazione nuova. Una generazione Telemaco“. Sono queste le parole del premier Matteo Renzi nell’illustrare, davanti al Parlamento europeo, le linee guida del semestre da lui  presieduto: “La nostra generazione – ha aggiunto il primo ministro – ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, ha il dovere di meritare l’eredità“.

In realtà il Governo del Paese non dovrebbe costituire un’eredità, piuttosto un incarico temporaneo  da affrontare con una visione complessiva del Paese (quella che Alcide De Gasperi, rimbrottando i ‘rottamatori ante litteram’ dossettiani, definiva “comprensione dello spirito della nazione”) ed un’intelligenza e maturità politica ben superiore a quella di un qualunque ‘Sindaco d’Italia’.

Vi ho chiesto di  soffermarvi dapprima su queste osservazioni preliminari perchè sin dalla sua apparizione, ho apprezzato l’energia tradotta in risolutismo e generosità,; mi è stato però  immediatamente chiaro che la ‘stella’ di Matteo Renzi avrebbe gettato un benefico raggio di luce sui guai e sulle arretratezze del Paese, ma che era priva di un solido motore che  potesse conservarne la potenza riformatrice nel tempo: il vero guaio era (e permane) rappresentato dall’inconsapevolezza critica del ‘Golden boy’ (copyright Giuliano Ferrara) della temerarietà di una strategia non adeguatamente supportata da un Partito autenticamente convinto, coinvolto  e preparato alla sfida.

Una  traiettoria senza curve e ripensamenti

Ora che è successo  tutto quanto  doveva avvenire, siccome  sono, come ho scritto più sopra, un ‘anziano zio’ che non ha la presunzione  di essere saggio e quindi non ha la sicumera di dire “Te l’avevo detto Matteo!”,  ritengo opportuno non sottacere e  confermare i rilievi critici e le riserve sulle sue scelte strategiche, soprattutto di fronte ad un libro ‘Palla al Centro’  nel quale non si fanno i conti con  tutte le incognite sottovalutate,  le contraddizioni sorvolate  e con l’esposizione ingenua e masochistica ai ‘contropiedi’ subiti in ragione di una ‘squadra messa in campo’ con allegria e dinamicità, priva però di una difesa ben piantata e mediani in grado di recuperare e portare palloni in avanti.

Fuor di metafora: il fatto che gli esponenti della ‘Ditta’ e le componenti più faziose e politicizzate della Magistratura abbiano potuto bellamente organizzare una controffensiva conservatrice per chiudere le finestre ai refoli di riformismo immessi nel clima stantio delle stanze romane, mettersi di traverso sulla Riforma costituzionale e,  dopo un sordido lavoro ai fianchi, realizzare una piena rottamazione del rottamatore insediando alla guida del Partito Democratico l’esponente di OccupyPd,  meriterebbe un minimo di riflessione sulla natura del riformismo, la cui cognizione basica ne  indica la processualità che deve essere correlata ad elaborazioni più robuste e strutturate di quelle giovanilisticamente lanciate nelle kermesse leopoldine.

Non solo, un minimo di memoria storiografica avrebbe dovuto mettere sull’avviso che nella Sinistra italiana, la  cospicua componente ex-comunista poteva essere essere parte disponibile e leale di uno schieramento e di un Governo programmaticamente riformatore solo attraverso un durissimo e costante confronto fondato sulla qualità degli argomenti, sulla solidità di strutture politiche in grado di garantire il dibattito ed il pluralismo, sulla robustezza dei caratteri e della capacità di mobilitazione del popolo che aveva sostenuto l’Ulivo prodiano e portato al successo nelle Primarie lo stesso Matteo Renzi.

Di più, nel libro vengono spese molte parole di rispetto e di encomio per Silvio Berlusconi: giusto, corretto, gentlemen agreement! Vogliamo però giudicare la realtà storica? Il monarca di Arcore, definito “un gigante”, è stato soprattutto un grande affabulatore, dissimulatore, manipolatore, che appena il leader di Rignano ha ‘alzato la cresta’ e preteso di decidere il profilo a lui gradito di Presidente della Repubblica, non ci ha pensato un attimo prima di, letteralmente, spezzargli le gambe e la carriera politica mettendosi di traverso (senza alcuna giustificazione realmente politica che non fosse l’esercizio sistematico del potere di ricatto) sul Referendum.

Tutto ciò e molta altra polvere è messa sotto le pagine del libro

Leggiamolo questo libro

Sicuramente godibile! Vi si trovano un linguaggio  fresco e la franchezza che hanno costituito il carattere distintivo dell’autore. Ed inoltre un’ironia spesa a piene mani che ricorda la professionalità di un giornalista del Corriere, Fabrizio Roncone, abile nel tessere i fatti obiettivi  con la profilatura  dei personaggi presi di mira, siano essi risibili o deprecabili.

Naturalmente i protagonisti presi di mira sono colleghe e colleghi: ed in questo caso l’abilità, la competenza e la spregiudicatezza di Matteo Renzi sono un plus a tutto vantaggio del lettore al quale vengono ‘rivelati’ (si fa per dire) aspetti e  frangenti ed espressi giudizi che non si trovano certamente nelle scialbe e ruffiane cronache dei giornali e nell’infotainment.

Si tratti della conclamata mediocrità di Enrico Letta (che ha suicidato l’alleanza di Centrosinistra ed allargato il varco in cui si è incuneata  Giorgia Meloni), oppure di valutare l’operato della stessa Premier con rigorosi parametri politologici, cioè sul terreno nudo e crudo dei risultati effettivi della governance, ed a seguire di sottoporre l’ex Premier Giuseppe Conte ad un rigoroso ‘esame finestra’ che ne evidenzia una personalità artificiosa e ‘costruita’ prevalentemente nel laboratorio della comunicazione casaliniana; ebbene la scrittura non è solo brillante, è anche sapida nel senso che fa emergere lo standing superiore di un leader politico che sa riconoscere lo spessore dei suoi colleghi sulla base non dei sentimenti personali ma di un paradigma interpretativo dei fondamentali della politica economica e dell’evoluzione della condizione socioculturale del Paese.

Queste mie valutazioni stanno a significare che considero il libro di Renzi un testo ottimo sul piano giornalistico, quasi a confermare che la Direzione del Riformista è stata una scelta felice ed un training proficuo per migliorare ulteriormente la predisposizione al colloquio con il pubblico.

Ma la pubblicazione si propone molto di più che un successo editoriale: l’obiettivo è il rilancio di una candidatura a guidare una formazione politica in grado di legittimare un linguaggio ed una cultura di governo alternativi alla comunicazione degli influencer, e qui si manifestano, oltre ai ‘bug’ sopra evidenziati anche una serie di equivoci.

La tattica è solo una componente dell’attività politica

Cominciamo con il segnalare che in tutti i dieci capitoli prevale una puntigliosa volontà di  difendere lo stile ed i contenuti programmatici che hanno caratterizzato la propria  leadership politica e la responsabilità istituzionale, comparandole con quelle che sono considerate le mediocri performance dei competitor, ieri Giuseppe Conte, oggi Giorgia Meloni.

Nell’autodifesa si fa sfoggio di un’autostima che esonda in una sorta di amarcord che fa sorridere amaramente perché non sarebbe giustificato per una personalità di 49 anni!

Ho perso Palazzo Chigi per questo sillogismo masochistico che porta il Paese da anni a mutilare sul nascere ogni speranza di cambiamento” (pag. 33): ora si dà il caso che  attribuire qualunquisticamente al Paese le scelte che sono invece in capo al potere democratico degli elettori, significa autocelebrarsi come portatore della palingenesi rifiutandosi di  fare i conti  con le incomprensioni ed il consenso.

L’autostima ed il comprensibile orgoglio per il proprio curriculum portano Matteo Renzi a scivolare verso un narcisismo ed un’autoreferenzialità davvero poco giustificati e testimoniati dalla seguente affermazione: “E se questo contribuirà a rendermi diverso da tutti gli altri, sarò ancor più felice” (pag. 34).

Un tale approccio nel valutare le vicende che lo hanno visto protagonista sta a significare che egli non vuole riflettere sulle sue disillusioni, ovvero sul fatto che diverse sue iniziative che hanno avuto effetti positivi per la governance del Paese, non hanno dispiegato tutta la loro efficacia in quanto l’impostazione della tattica non era correlata ad una visione strategica che comprendesse l’insieme delle difficoltà realizzative, delle resistenze al cambiamento, della necessaria processualità per la loro implementazione, sia per le singole policies che per il caso clamoroso del Referendum, perduto sicuramente per il paradosso di aver promosso maggiormente la coalizione avversaria  piuttosto che quella a favore.

Ora ci si aspetterebbe che su questi temi venisse offerto un terreno di riflessione e confronto pacati.
Purtroppo l’intento è quello di rimarcare la superiorità del proprio canone di interpretazione e comunicazione politica e questo porta l’autore a giudizi francamente parossistici.
Vedi in particolare laddove, analizzando le ‘prove’ da Presidente del Consiglio di Giorgia Meloni, se ne esce con questa sprezzatura: “la considero un’influencer più che una statista” (pag. 38). Si può comprendere (e condividere) che finora la leader di Fratelli d’Italia non sia annoverabile come statista, ma il suo peculiare cursus honorum è la dimostrazione di un successo politico conquistato con la fatica ed il sudore di una militante politica che è riuscita ad affermarsi creando dalle fondamenta un Partito organizzato sulla base di principi e valori discutibili ma vissuti e testimoniati nella vita reale, non certo solo con il ricorso alle tecniche del marketing.
A questo proposito c’è da osservare che è stato piuttosto Matteo Renzi ad investire e confidare su un modello di Partito ridotto a macchina elettorale e guidato con l’abilità da storyteller, che non è stata però sufficiente ad evitarne la crisi quando il gioco politico si è fatto duro e la sua exit strategy è stata quella di abbandonare il campo di gioco della competizione vera e crearsi con Italia Viva il campetto per il calcetto a cinque in cui poter continuare ad esercitare un ruolo ‘prefettizio’.
Quella decisione sciagurata lui la giustifica così: “Volevo svuotare l’anima riformista del Partito democratico offendo una casa diversa chi non poteva stare con Conte” (pag. 116).
Cadono davvero le braccia di fronte ad un wishful thinking immotivato e privo di alcuna base storiografica e politologica, se non quella dell’assoluta e disperata necessità di poter disporre di un ‘comando’ sottratto alla contendibilità e, soprattutto, ad una dialettica vera, al pluralismo delle opinione dissenzienti.
D’altronde che codesta esigenza interiore fosse la molla che ha provocato la diaspora dei democratici, avviata in primis dai nostalgici della Ditta (di Articolo Uno) e successivamente da Italia Viva ed Azione (con gli effetti malmostosi che ci hanno ‘deliziato’ in questi anni), è confermata dalla ‘relazione speciale’, descritta con abbondanza di particolari, con Silvio Berlusconi, il quale è stato il vero ed unico influencer nel trentennio testè trascorso, l’autentico ‘maestro di cerimonie’ del quadro politico da lui ristrutturato nel ’94, propugnatore e primattore del nuovo paradigma di partito personale, un organismo progressivamente svuotato della partecipazione democratica e gestito con il carisma ed i crismi di una comunicazione politica manipolatoria dell’opinione pubblica e propagatrice di programmi light, ben digeribili da un popolo liberatosi dai vincoli delle fedeltà ideologiche e disponibile a recepire i messaggi televisivi dapprima ed il linguaggio dei social network poi.
Oltretutto la proprietà di parte decisiva dei mezzi di comunicazione ha consentito al tycoon di Arcore di irrobustire il proprio successo, sino a farlo diventare, cito le parole usate da Renzi, “un gigante” (vedi pagg. 44/45 e 52/53), talmente esuberante e potente – e qui sono io a parlare – da diventare ‘amico intimo’ di un altro gigante in carne ed ossa che, anche grazie alle moine berlusconiane e di molti altri leader delle nazioni europee, ha potuto coltivare le proprie mire da novello imperatore del ventunesimo secolo russo: non c’è bisogno di nominare il compagno di felici e reciproche ospitate che hanno generato una delle più colossali e dolorose dissonanze cognitive palesatasi con la guerra totale all’Ucraina ed all’Occidente.

Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli

Bisogna ammettere  che il vitalismo e la capacità di seduzione di Berlusconi ha costituito il brodo subculturale di cui si sono nutriti sia i fedeli che gli avversari, e Matteo Renzi gli  è stato un avversario competitivo ed anche affascinato dall’idea di poterlo sconfiggere con i mezzi (in verità modesti ed approssimativi) e le modalità  di uno storytelling popolare (ritenuto) alternativo al populismo vincente della Destra e del Grillismo, ma su questo non ritorno perché si tratta di un argomento a cui ho dedicato sin troppa attenzione e passione (e per chi ne cerca una conferma segnalo il mio documento nel quale ricordo il progetto renziano abortito della Piattaforma Bob).

Se poi qualcuno vuole fare un esercizio di Sliding Doors sulle scelte ed il destino del leader fiorentino può trovare una riflessione meditata e corretta in un articolo di Claudio Cerasa risalente proprio alla fase cruciale del 2018.

Ma ora vorrei spendere le ultime considerazioni sulle molte pagine del libro che non sono decifrabili con l’uso delle categorie politologiche d’ordinanza perché sono   intenzionalmente scritte con enfasi  autobiografica, quasi a voler suggellare con analisi e tesi inequivocabili la (legittima) e fortissima determinazione a tutelare la memoria di sé stesso,   a confermare un’identità coriacea e non scalfibile dai molti (e taluni davvero perfidi) attacchi che lo hanno colpito, ma non affondato.

Ecco quindi l’ostentazione: “Sono fiero di averlo capito prima di molti altri” (pag. 58) per replicare alle accuse sulle sue consulenze in Arabia e rovesciare sugli attaccanti  la polemica arrogandosi il merito di aver focalizzato anzitempo  i termini della crisi geopolitica mediorientale.

Oppure il proposito (velleitario)  di promuovere la ristrutturazione del mondo malato dell’informazione con “la creazione di player europei della comunicazione”. (pag. 63)

E poi i ripetuti giudizi sprezzanti “sull’Europa fuorigioco che non tocca palla” che risultano veritieri quanto offensivi per quella classe dirigente che dovrebbe attendere la sua elezione a Parlamentare europeo per trovare il leader giusto che traccerà la rotta del Continente in balia delle onde del cambio d’epoca.

E dove troverebbe Matteo Renzi  le risorse cognitive e l’esperienza per questo  riorientamento strategico?

Elementare Watson! “negli incarichi  di advisory board in strutture diverse. In Paesi diversi, (perché, ndr) è utile anche per capire meglio ciò che avviene”. (pag.  95)

Insomma, è ozioso e strumentale parlare di conflitto di interessi, quando invece è in corso da parte dell’intraprendente leader una sorta di training nell’ambito internazionale, usando il tempo libero, tra una seduta e l’altra del Senato, per acquisire l’expertise necessaria al governo europeo della travolgente globalizzazione.

Personalmente resto meravigliato della spudoratezza ed ammirato del funambulismo del ‘nipote’, il quale – su questo non c’è alcun  dubbio – si è insinuato nelle maglie lacerate di Istituzioni parlamentari prive di una puntuale legislazione che regolasse  il conflitto di interessi, per poter vendere  il background di ex Presidente del Consiglio (ricevendone  in cambio non onorificenze bensì lauti guadagni).

Ci troviamo di fronte ad un interrogativo davvero intrigante perché dalla risposta discende il futuro della qualità della nostra democrazia, ovvero: come possiamo e vogliamo destinare i talenti dei nostri Rappresentanti politici al servizio esclusivo, e non a mezzadria, delle Istituzioni?

Quanti vogliono farsi un’idea non viziata da sentimenti faziosi (pro o contro Renzi) sulle ‘porte girevoli’ per i Deputati e Senatori, i quali allo stato attuale si possono sottrarre ai vincoli della  legge 20 luglio 2004, n. 215, nota come ‘Legge Frattini’ (che ha provocato le dimissioni del Sottosegretario Vittorio Sgarbi), trovano una seria argomentazione nell’articolo di Andrea Gianbartolomei “Porte girevoli e conflitto d’interessi, nessuna legge li vieta, Renzi e Minniti solo gli ultimi casi“.

Alcuni costituzionalisti, a dire il vero, hanno affermato in una dura presa di posizione che il Senatore Renzi è vincolato al rispetto dell’art. 67 della Costituzione, secondo cui “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” e perciò non può porsi al servizio di altri Paesi con le sue consulenze.
Ma, lo ripeto e qui concludo, la ‘Palla al Centro’ è un testo che deve essere letto e meditato non con la testa ed il cuore da spettatori: in quel campo descritto nel libro, anche per molte delle ragioni che vi sono brillantemente illustrate, dobbiamo entrare da giocatori perché la Politica deve ri-diventare il terreno di un’autentica partecipazione democratica, la sola che può determinare l’archiviazione di un trentennio in cui il Pensiero e l’elaborazione programmatica, la dialettica ed il pluralismo, sono stati surrogati dal professionismo della chiacchiera di una Destra che ha contrabbandato il liberalismo con la demagogia del populismo ed una Sinistra che scambiato il riformismo con l’assistenzialismo ed il funambulismo.