Nessuno indietro

Nuove politiche sociali per la grave marginalità

A cura di Giovanni Faverin, Patrizia Fasson, Daniela Volpato

La recente manovra del governo, pur introducendo misure indirizzate al contrasto della povertà e all’inclusione sociale, solleva significative preoccupazioni riguardo alla loro effettiva capacità di raggiungere e sostenere tutti i segmenti della popolazione in condizioni di vulnerabilità. L’Assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro, si configurano come tentativi di rispondere a problemi complessi quali la povertà assoluta e l’esclusione dal mercato del lavoro, ma presentano criticità che meritano di essere esaminate.

L’Assegno di inclusione, è destinato a nuclei familiari con specifiche caratteristiche, quali la presenza di minori, di persone con disabilità, di persone over 60 o altri componenti della famiglia in condizioni di svantaggio. Sebbene l’intento sia quello di fornire un sostegno mirato, la scelta di limitare l’accesso a queste categorie esclude a priori individui e nuclei che, pur trovandosi in condizioni di povertà assoluta, non rientrano nei criteri stabiliti, come ad esempio coppie di adulti senza figli o persone senza dimora. Questa esclusione solleva questioni di equità e universalità nell’accesso alle misure di sostegno sociale.

Il supporto per la formazione e il lavoro, d’altro canto, mira a incentivare l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro attraverso la formazione e la riqualificazione professionale. Tuttavia, questo strumento, pur rappresentando un’opportunità, sembra non tenere adeguatamente conto delle diverse condizioni di partenza degli individui, presupponendo che la sola formazione possa essere la chiave di volta per l’uscita dalla povertà. Purtroppo la realtà, come sappiamo, è molto più complessa e richiede un approccio più olistico che consideri anche il supporto psico-sociale, la cura delle fragilità e delle vulnerabilità individuali.

Il focus principale delle preoccupazioni che emergono analizzando questa manovra riguarda l’approccio parziale e selettivo adottato dal governo, che sembra ignorare le molteplici sfaccettature della povertà e dell’esclusione sociale. La povertà, infatti, non è solamente una questione di mancanza di reddito o di lavoro, ma è profondamente radicata in dinamiche sociali, culturali ed economiche che richiedono interventi complessi e multidimensionali. Le raccomandazioni di Caritas mirano a superare queste limitazioni attraverso l’adozione di una misura di protezione più universale e l’eliminazione dei vincoli che escludono determinate categorie dall’Assegno di inclusione. Inoltre, si propone di rivedere il criterio di accesso al supporto per la formazione e il lavoro, privilegiando un approccio che consideri la reale occupabilità degli individui, piuttosto che parametri rigidi e spesso inadeguati come l’età.

È evidente, dunque, che l’attuale configurazione delle misure rischia di non rispondere adeguatamente alle esigenze di tutti coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità, lasciando indietro segmenti significativi della popolazione. In questo senso, si avverte la necessità di un ripensamento complessivo delle politiche sociali e del lavoro, che tenga conto della pluralità delle situazioni di povertà e che sia realmente inclusivo.

Solo una riflessione profonda e concertata sulle politiche di inclusione sociale e del lavoro, può, evidenziando le criticità delle misure attuali, proporre vie di miglioramento attraverso un dialogo aperto e costruttivo che esiti in applicazioni politiche più efficaci e giuste, capaci di rispondere concretamente alle esigenze di chi si trova in condizioni di maggiore fragilità. L’invito al Governo è, quindi, di considerare la povertà in tutte le sue dimensioni, superando un approccio meramente assistenzialista a favore di strategie capaci di promuovere l’autonomia e l’inclusione sociale di tutti i cittadini. In questo modo, si potrà lavorare verso un sistema di protezione sociale che non lasci nessuno indietro, in linea con i principi di equità e solidarietà che dovrebbero guidare ogni società civile e democratica.

Un invito alla nostra Regione è quello di accogliere queste sfide con maggiore consapevolezza e coraggio attivando strutture di prossimità per i più vulnerabili in modo capillare, ispirandosi al modello innovativo del progetto “Arcturus” a Milano per raggiungere coloro che troppo spesso restano invisibili ai servizi tradizionali. Lo sviluppo di un sistema di servizi integrati, spaziando dalla salute mentale all’assistenza abitativa, dall’accesso a cure mediche specialistiche al supporto legale, fino al sostegno psicologico e all’assistenza sociale, attraverso il coordinamento tramite una piattaforma condivisa, può consentire ai diversi operatori di collaborare in modo efficiente, nel pieno rispetto della privacy dell’individuo.

Questo modello innovativo risulta vincente solo con l’attivazione di collaborazioni tra diverse entità, tra cui fondazioni, associazioni di volontariato, enti del terzo settore e istituzioni locali. Ogni partner condividendo la propria expertise, può garantire un approccio olistico alla persona e alle sue molteplici esigenze puntando su una sinergia operativa che valorizza le risorse già presenti nel territorio, ottimizzando l’efficacia dell’assistenza. L’obiettivo è creare un circolo virtuoso di assistenza e supporto, che possa essere replicato in altre regioni, dimostrando come un approccio integrato e proattivo possa fare la differenza nella vita delle persone più fragili.

Questa ipotesi progettuale non è solo una risposta alle esigenze immediate di chi vive in condizioni di marginalità, ma un investimento nel benessere collettivo, nella convinzione che nessuno debba essere lasciato indietro.

Il Veneto è alle prese con sfide complesse che riguardano l’integrazione sociale, la disuguaglianza e l’accesso ai servizi sanitari e sociali. Nonostante la presenza di eccellenze nel tessuto sociale e assistenziale, persistono aree di ombra dove le risorse sono insufficienti e mal distribuite, e dove la burocrazia ostacola piuttosto che facilitare l’accesso ai servizi e solleva anche interrogativi sulla sostenibilità delle politiche assistenziali, senza un supporto stabile e continuativo da parte delle istituzioni. L’autofinanziamento e il volontariato, pur essenziali, non possono sostituire un impegno strutturato e di lungo termine da parte della pubblica amministrazione.

Inoltre, la tendenza a rispondere alle emergenze piuttosto che investire in prevenzione e in servizi di prossimità può compromettere l’efficacia di progetti ambiziosi. La regione Veneto, quindi, si trova davanti a un bivio: continuare a seguire modelli reattivi o abbracciare un approccio più innovativo e proattivo che ponga le basi per un welfare inclusivo e sostenibile.

Affinché iniziative come “Progetto Arcturus” non rimangano esempi isolati ma diventino la norma, è cruciale che molte regioni rivedano le proprie politiche attuali, indirizzando maggiori risorse e attenzione verso un sistema di assistenza integrato che garantisca un accesso equo ai servizi per tutti i cittadini, soprattutto per quelli in condizioni di vulnerabilità. Per poter operare in questa direzione è necessaria una visione lungimirante, visione che ormai è appannaggio di pochi amministratori ancora capaci di mettere al primo posto la “cosa pubblica” al proprio tornaconto personale.