Di Dino bertocco
Matteo Renzi e Carlo Calenda, fatevene una ragione.
Avete sprecato i vostri talenti in un duello tardoadolescenziale, sostenuto da qualche circoletto magico e da sempre più rarefatti fanclub, noncuranti dello sconcerto e del crescente dissenso di un’enorme platea di militanti e simpatizzanti e di diversi milioni di cittadini, parte dei quali già elettori attivi, sconfortati sugli spalti di uno stadio-Paese in declino e progressivamente consapevoli che le ricette populiste della neodestra nostalgica ora al Governo e della neocomunisteria frontista presentano visioni e programmi potenzialmente rovinosi, con terapie che rendono patologica la già grave malattia di Istituzioni decadenti e di un debito pubblico devastante.
Il collasso elettorale alle elezioni europee, che avete provocato con la vostra strategia suicida convergente, a ben vedere, nonostante la dolorosa conseguenza del declassamento del ruolo di Renew Europe a Bruxelles e del pericoloso varco offerto all’estrema Destra (con il Raggruppamento Ecr della Meloni che ha scippato il terzo posto), era previsto ed atteso come viatico per costringervi ad abbandonare la guida di un Movimento che la maggioranza degli iscritti di Italia Viva ed Azione, e sicuramente degli elettori del fu Terzo Polo, considerava e considera una realtà politico-culturale unitaria da consolidare ed ampliare.
Solo dei leader bolliti e/od irresponsabili potevano non prevedere prima dell’8 giugno e tanto più il 10 giugno dopo lo spoglio del voto, l’inderogabile necessità di resettare un anno di incomprensioni, dissonanze cognitive e sbandamenti, procedendo alla sua ristrutturazione organizzativo-gestionale attraverso il radicamento reticolare nei territori, il potenziamento delle strutture e delle metodologie della comunicazione finalizzate a presidiare il campo di battaglia del web e dell’IA, l’approfondimento della elaborazione dei contenuti programmatici e della visione strategica con cui candidare il primo ed autentico Polo liberaldemocratico e riformatore a promuovere il rinnovamento dell’Italia, sottraendola alla palude del bipopulismo.
Ma questa consapevolezza non poteva essere generata da due menti confuse, l’una tormentata dalla vocazione Sibillina di vaticinare l’atroce declino dell’Occidente, l’altra – in contrappunto – impegnata nel velleitario esercizio di consulenze globali per la salvezza (dello stesso Occidente).
Vorreste mai che tali pulsioni generose avessero potuto ieri ed ancor oggi essere obnubilate dalla preoccupazione di mettere mano alla bassa cucina delle intricate vicende nostrane?
Erano e rimangono, per la coppia dell’autogol, compiti da delegare a responsabili “affidabili”, cioè abili nel distrigarsi nel retrobottega di due partitini in cui le regole d’ingaggio sono rimaste l’ammirazione per e la fedeltà al Capo!
In effetti dal 10 giugno in poi nelle retrovie si è riscontrata molta amarezza ma gli unici fatti rilevanti registrati sono stati le dimissioni dalla Segreteria nazionale di Azione da parte di Mario Raffaelli, con una lettera garbata ma contenente valutazioni inesorabili sulla conduzione di Azione ed in questi giorni l’appello ‘bipartisan’ di Enrico Costa e Luigi Marattin che ho ritenuto dei “poveri naufraghi alla ricerca di una zattera”.
Il fatto è che tutti e tre gli stimati dirigenti hanno confermato di non essere stati in grado (o di non aver avuto il coraggio sufficiente) di evitare che due nostromi presuntuosi portassero l’imbarcazione ad infrangersi sugli scogli.
Ora però, diversamente da quanto affermato nel sopracitato appello, è tempo non di “mettere da parte le leadership” bensì di comprenderne i limiti ed i vizi congeniti che le hanno finora caratterizzate e mettersi al lavoro per ricostruire un modello di rappresentanza, partecipazione politica e visione strategica baricentrati su valori, programmi e strutture organizzative radicati nei territori e nei cuori di una cittadinanza attiva, orientata a trovare una nuova sintesi virtuosa per un vastissimo elettorato che, votante od astenuto, ha emesso un verdetto definitivo sulla dirigenza tutta che ha fatto collassare il Progetto liberaldemocratico-riformatore in Italia, ma che continua a manifestare la sua esistenza.
Riteniamo altresì che è possibile ripartire con l’iniziativa associativo-culturale da Padova e dal Triveneto, misurandoci sulle sfide concrete della governance territoriale e dei suoi intrecci con l’Agenda politica nazionale (dall’Autonomia alle politiche di sviluppo, dalla questione nevralgica mercato del lavoro & migrazione/emigrazione alla riorganizzazione delle politiche sociosanitarie).
C’è un enorme lavoro di analisi e confronto da realizzare, chiamando alla collaborazione ed a dare un contributo di ricomposizione tutte le forze sociali, culturali e politiche che – nell’ultimo lustro – hanno dato segnali importanti, testimonianze e coerenze (in particolare nella mobilitazione per le elezioni amministrative) nel privilegiare e dichiarare apertamente la propensione per l’approdo unitario ad un grande Partito liberaldemocratico e riformatore di massa (espressione del vastissimo mondo dei lavori, delle professioni, dell’imprenditorialità e dell’innovazione sociale), liberato dai leaderismi narcisistici e dalle gestioni centralistico-romane (di partitini) tendenzialmente proprietarie, contradditorie e divisive) fondate sulla cooptazione e negatrici del processo partecipativo democratico che dovrà essere rifondato con la pratica coerente e rigorosa delle primarie.
Naturalmente, per questa progettualità il segnale lanciato da Luigi Marattin ed Enrico Costa è importante e significativo, così come quello delle migliaia di persone competenti e generose che in questi anni hanno illuminato ed orientato il dibattito politico-culturale, alimentando e fertilizzando uno spazio enorme di protagonismo, giocato in un campo non viziato dalla riproposizione di progetti ed attese prevalentemente personalistici ed orientato ad effettuare di una seria riflessione critica sugli errori del recente (condiviso) passato privilegiando la sostanziale convergenza programmatica e superando la verbosità e la faziosità delle tifoserie.
Ciò significa operare una straordinaria innovazione del linguaggio politico, delle pratiche partecipative e dell’ascolto dei cittadini.
Occorre cioè trovare la sintesi tra il recupero di un pensiero profondo (in primis la memoria storiografica della cultura riformatrice che ha generato e sorretto il tessuto democratico italiano nel secondo dopoguerra) e la declinazione di una comunicazione politica mktg oriented in grado di intercettare i sentimenti della gente, con un’opera di coinvolgimento e convincimento costante, metodica.
E per farlo è necessario un terzo ingrediente: la capacità di ascoltare le persone, scrutarne le attese, avendo lo sguardo focalizzato sia sulla vita locale che sugli avvenimenti del mondo.
Si tratta in tutta evidenza di un approccio che destruttura e supera l’attuale politichetta interpretata dal mediocre apparatcik espresso dalla partitocrazia del trentennio berlusconiano ed incistato nei carrozzoni istituzionali più o meno contigui alla politica.
Adottarlo e praticarlo richiede un inedito (per il tempo presente) coraggio, una passione civile ed un’integrità morale che consentono di attivare le energie fondamentali delle nuove generazioni, sapendo riconoscere chi sa correre più veloce, vedere più lontano, portare più valore aggiunto alle comunità.
E comporta un esercizio di generosità, ovvero la scelta di de-personalizzare la propria interpretazione del senso di dedicarsi alla politica, che va ripensata innanzitutto all’interno di comunità educanti e come impegno civico.
Insomma, c’è molto di più e di meglio da fare che perseguire la banalità avvilente e frustrante di “un terzo polo con un terzo nome”, la patetica ricerca di federatori, lo stucchevole richiamo di centrini e margherite appassite da tempo; vogliamo e dobbiamo farla finita con la stagione politica di un trentennio morente ed intestarci il progetto suggestivo e concreto di promuovere la Costituente di tutti i liberaldemocratici riformatori.
Sveglia Riformatori: un Piano di azione
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