La partecipazione dei lavoratori

a cura di G.Faverin, P.Fasson, D.Volpato

In Italia le imprese di tutte le dimensioni stanno sviluppando varie esperienze di partecipazione dei lavoratori: alcune sono sperimentazioni sorte localmente, altre invece sono inserite in programmi organici. Nel nostro Paese lo scenario sul coinvolgimento delle persone nella governance delle aziende è piuttosto variegato e il più delle volte si tratta di pratiche inconsapevoli e non codificate.

Per la verità ci sono stati tentativi di definizione; ne è un esempio l’ultimo rinnovo del Contratto collettivo nazionale del lavoro Metalmeccanico (Ccnl Metalmeccanico) che promuove la creazione dei “comitati di consultazione per la partecipazione”. Questa novità suggerisce alle aziende un salto verso un nuovo sistema di relazioni industriali, fondato su forme di partecipazione che prevedono una presa di responsabilità comune nella diagnosi e nello studio delle problematiche aziendali, nelle proposte migliorative e nell’implementazione delle stesse.

Allo stesso tempo, c’è da evidenziare che le parti sociali europee hanno sottoscritto con quelle datoriali un accordo quadro in tema di digitalizzazione che prevede il coinvolgimento di aziende, lavoratori e rappresentanze sindacali in un contesto di ‘dialogo sociale’. Sempre a livello europeo è da segnalare che la partecipazione dei lavoratori è addirittura un obiettivo che l’Unione europea ha trasmesso agli Stati membri; e il tema è richiamato anche nella Missione 5 (“Inclusione e coesione”) dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Tre sono le tipologie di partecipazione dei lavoratori alla governance dell’impresa che si possono adottare. Quella “Operativa” prevede il coinvolgimento dei collaboratori e può essere attuata nelle realtà in cui non è prevista una rappresentanza sindacale, purché il management riconosca ai lavoratori la possibilità di contribuire parzialmente ai processi di miglioramento.

Un’altra forma di partecipazione è quella “Organizzativa”, che si basa sull’attività congiunta tra aziende e rappresentanze attraverso la creazione di commissioni paritetiche.

Infine, c’è la “Strategica”, con la presenza di organismi di rappresentanza dei lavoratori nei Consigli di amministrazione, con compiti che vanno da quelli più semplici di informazione a quelli più complessi (Co-determinazione, Comitati alto livello, Consigli di sorveglianza e azionariato diffuso).

Una recente indagine di novembre 2023 ha indagato la consapevolezza e il livello di maturità del mercato su queste tematiche, attraverso un questionario sottoposto a un certo numero di aziende anche di piccole dimensioni.

Dai risultati è emerso che anche le piccole imprese lavorano alla partecipazione

Dai risultati dell’inchiesta emerge che il tema è generalmente appannaggio della funzione HR: nel nostro caso, l’85% delle aziende (su un campione di 51 rispondenti a questa specifica domanda) è dotato di manager della Direzione del Personale chiamati a gestire le persone a tutto tondo. “Un dato significativo riguarda le Piccole e medie imprese (PMI) con meno di 50 dipendenti che hanno dichiarato di avere già attivato progetti di partecipazione, sia in ottica di innovazione tecnologica e organizzativa sia per perseguire un miglioramento produttivo: molte di esse hanno anche una funzione Risorse Umane”, dice Campagna commentando i dati del questionario.

Sulle 40 aziende che dichiarano di praticare forme di partecipazione diretta, la tipologia prevista è del tipo “Operativa” (59%); ma in generale è piuttosto diffusa anche quella “Organizzativa” (21%), mentre quella “Strategica” rimane prerogativa delle aziende più grandi e strutturate (8%). Focalizzando l’attenzione sulle PMI, il 19% delle rispondenti dichiara di prevedere una forma di partecipazione “Operativa”. Infine, va ricordato che il 70% delle 54 aziende che hanno partecipato all’inchiesta ha al suo interno rappresentanze sindacali.

Dalle risposte al sondaggio emerge, tuttavia, che c’è ancora poca conoscenza della terminologia specifica legata alla sfera della partecipazione, a cominciare proprio dalle definizioni. “Due termini che spesso sono erroneamente considerati sinonimi sono quelli di ‘mansione’ e ‘ruolo’. La partecipazione diretta operativa, infatti, implica il passaggio dal concetto statico di mansione a quello dinamico di ruolo.

Quest’ultimo individua, infatti, sia gli obblighi sia i comportamenti attesi che devono guidare un lavoratore che occupa una determinata posizione nel contesto di lavoro”, spiega Campagna. Un sistema di gestione centrato sulla mansione enfatizza le competenze tecniche e i compiti da svolgere/eseguire, mentre quello sul ruolo punta alla autonomia e alla responsabilità e rende esplicito il possesso anche di competenze trasversali. A questo proposito, il 65% sta lavorando sul potenziamento delle soft skill delle persone, il 25% ha in programma di farlo nel prossimo futuro.

Le pratiche partecipative sono possibili anche nelle Pubbliche Amministrazioni?

Possiamo affermare che nel settore privato è in corso una fase di sperimentazione che tarda ad arrivare nel settore pubblico e che non è sostenuta dalla riforma legislative e neppure dalle recenti previsioni contrattuali.

La necessità è quella di conciliare il perseguimento di obiettivi di efficienza con strumenti organizzativi che introducano una struttura delle relazioni di lavoro che proceda dal basso – ovvero dalle forme di coinvolgimento/partecipazione dei lavoratori- verso l’alto ovvero verso il sistema tradizionale di relazioni di lavoro a livello aziendale.

Perché la partecipazione sia riconoscibile bisogna che siano rispettate alcune condizioni:

  • i lavoratori siano sistematicamente coinvolti nel miglioramento delle procedure e dei servizi attraverso il loro contributo di intelligenza e di esperienza;
  • al loro sforzo di ideazione e responsabilizzazione faccia da contrappeso una maggiore autonomia nella gestione della propria attività, individuale o di gruppo.

La regola aurea (di difficile applicazione nelle Pubbliche Amministrazioni) è che il processo prenda origine da un’iniziale delega verso il basso del potere manageriale, che apra spazi “reali” e “misurabili” di influenza degli operatori su come organizzare il proprio lavoro; e che le innovazioni, se positive, possano diventare a tutti gli effetti cambiamenti dell’organizzazione.

Insomma non basta creare delle condizioni di lavoro per il miglioramento del benessere organizzativo è necessario individuare degli spazi di “empowerment” per i quali il lavoratore è coinvolto direttamente e si sente responsabilizzato a determinare reali percorsi di cambiamento.

Nelle pubbliche amministrazioni potrebbe essere utile avviare delle fasi di sperimentazione, anche sulla base di esperienze del settore privato, per capire se le stesse strategie nel settore pubblico possano contribuire al miglioramento dell’efficienza delle amministrazione della qualità dei servizi, ma anche per verificare se l’introduzione di nuove forme di partecipazione dei dipendenti possa rappresentare una risposta alla disaffezione dal lavoro che si registra in molte parti delle Pubblica Amministrazione.