Pochi giovani nella PA

Di Giovanni Faverin, Patrizia Fasson, Daniela Volpato.

Pochi giovani nella pubblica amministrazione? il rapporto È cambiato per tante responsabilità del sistema

Le cause del cambiamento di questo rapporto sono molteplici. E non bisogna imputare il tutto al reddito di cittadinanza. La questione è più complessa e riguarda cambiamenti epocali a cui il settore pubblico, e anche il settore privato stanno reagendo con estrema lentezza.


Parlare di una sola causa è fuorviante, sia che si parli di Nord-Sud; sia che si parli di reddito di cittadinanza o anche di valutazione sociale del lavoro pubblico, le motivazioni che portano all’abbandono del posto di lavoro stabile sono molteplici e la risposta non può essere univoca. Uno dei fattori è sicuramente il cambiamento epocale della stessa collocazione del lavoro nella vita delle persone. Un cambio di prospettiva che ha fortemente modificato la domanda di lavoro, specie se qualificato, da più punti di vista: la necessità di un maggiore riconoscimento, sia delle condizioni economiche ma anche della riconoscibilità sociale; la voglia di avere un posto di lavoro dove crescere professionalmente; il bisogno di conciliare vita privata e il lavoro in un nuovo equilibrio più ricercato in questa fase dopo la pandemia.

La difficoltà sempre maggiore, soprattutto tra i giovani, di dover accettare un posto di lavoro che non assicura spesso le condizioni minime per una vita dignitosa per far crescere una famiglia. Nel pubblico, questa difficoltà ha portato molti giovani a non candidarsi ai concorsi, soprattutto al Nord. In molte occasioni alcuni bandi sono andati quasi deserti, in particolare quelli di richiesta di laureati in materie tecniche (di cui per altro c’è parecchia richiesta da parte delle imprese), assunti in terza fascia con una retribuzione d’ingresso di 1300 euro al mese. Poco se si considera che in base ai dati Istat il costo della vita al Nord per una famiglia è di 2.600 euro circa. Un’altra motivazione è che nel pubblico deve ancora farsi strada la pratica di promuovere la propria organizzazione come un buon posto di lavoro. Non è cambiata l’offerta di lavoro pubblico nei concorsi, digitalizzati, ma sempre centrati su nozioni e non su capacità e attitudini. Non è cambiata, neppure dal punto di vista retributivo, i rinnovi contrattuali assicurano aumenti medi al di sotto dei 100 euro lordi. E non è cambiata, da un punto di vista organizzativo, centrata ancora su modelli gerarchici. La possibilità di crescere professionalmente è sempre scarsa, perché la formazione si basa non sulla crescita delle persone, ma sull’aggiornamento delle norme.

Non è cambiata nella possibilità di crescere all’interno di una organizzazione ancora rigida, in cui le aree contrattuali e le categorie professionali rappresentano vincoli giuridici insormontabili. E’ rimasta la stessa anche nella percezione dell’opinione pubblica che vede ancora il pubblico impiego, a meno che non sia dirigenziale, come un ripiego. Insomma si può dire che esiste un ritardo “ormai consolidato”, tra cambiamento della domanda di lavoro, cambiamento velocizzato anche da vari fattori esterni, quali la pandemia e il calo del potere di acquisto dei salari ed interni al lavoro, come la ricerca di un maggiore equilibrio di vita e il cambiamento molto più lento dell’offerta da parte delle pubbliche amministrazioni. Nel pubblico si aggiunge, l’assenza di un’organizzazione che sappia considerare il lavoratore come “una persona” con le sue esigenze di crescita professionale, i suoi bisogni di equilibrio e di relazioni sociali. Nei servizi pubblici serve maggiore attenzione alla gestione strategica dei lavoratori e questo è utile al miglioramento dei servizi, oltre che ad aumentare l’interesse dei giovani. Questa attenzione è fondamentale, in primo luogo perché la dimensione della forza lavoro è considerevole e la posta in gioco legata alla congiuntura economica ha posto le pubbliche amministrazioni di fronte all’obbligo di adeguarsi rapidamente al mutamento delle proprie abitudini operative, e ha messo a dura prova le condizioni di lavoro, poiché la spesa per le risorse umane rappresenta una parte considerevole dei loro bilanci. Man mano che lo spazio di manovra quantitativo continuerà a ridursi, la dimensione qualitativa, ovvero la gestione delle competenze e delle motivazioni delle risorse umane, diventerà sempre più strategica. In secondo luogo, la legittimazione del settore pubblico come valore, è legata all’efficienza e alla qualità dell’erogazione dei servizi.

Se le amministrazioni pubbliche da tempo veicolavano un’immagine di progresso e modernità, ora soffrono di un’immagine di arcaismo e rigidità. I cittadini ora si aspettano un servizio su misura, ritagliato sulle loro specifiche esigenze, pertanto, la capacità delle pubbliche amministrazioni di fornire servizi di qualità al minor costo sarà decisiva per il loro futuro. La situazione è quindi complessa e le pubbliche amministrazioni dovranno intraprendere una serie di azioni volte a migliorare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi pubblici. La gestione delle risorse umane rappresenta uno strumento fondamentale per affrontare la sfida. La pubblica amministrazione ha tradizionalmente trasformato le competenze esistenti senza preoccuparsi di acquisirne di nuove, sforzandosi così di gestirle per stock e non per flussi; senza comprendere che i processi di reclutamento e selezione sono fondamentali e che la mobilità funzionale costituisce un’assicurazione contro l’incapacità di adattamento in futuro. Il settore pubblico potrà ridiventare attrattivo anche per i giovani solo se saprà creare un ambiente che sviluppi le persone reinventando un’organizzazione del lavoro collaborativa e rigenerativa.

Fonte: https://www.puntoeduca.com/