Politica e società italiana ad una svolta

di Amedeo Levorato

Ritorno al futuro: è ancora necessario il protagonismo dei liberi e forti

L’appello “Ai liberi e ai forti” del 18 gennaio 1919 è ricordato come il manifesto iniziale del Partito Popolare: “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.”


Nel 1919 (18 gennaio) nasce il Partito Popolare Italiano, di ispirazione cattolica e liberale, ad opera di Don Luigi Sturzo; il 23 marzo 1919 nasce il Fascio Milanese di Combattimento, poi PNF, fondato da Benito Mussolini; il Partito Socialista a Bologna l’8 ottobre 1919 aderisce all’Internazionale Comunista e raggiunge il 32,3%. Quell’anno, secondo molti storici e politologi, costitui’ la matrice del successivo secolo di storia italiana e mondiale. I temi posti dal documento programmatico del PPI, risultato dell’ enciclica papale De Rerum Novarum e del volontariato cattolico in politica, hanno al tempo stesso caratteri diversi e simili a quelli che affliggono l’Italia del 2023, che meritano di essere analizzati. Formulato un anno dopo la fine della I Guerra Mondiale, e in un anno di forti tensioni per l’Italia, il documento “Ai Liberi e ai forti” puo’ essere cosi’ sintetizzato:

  • in politica estera un pieno appoggio ai Quattordici punti proposti al Congresso dal Presidente Wilson dopo la Grande Guerra: (“perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, l’uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti”).
  • In politica interna propone uno stato decentrato, che riconosca limiti alla propria attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private, un Senato elettivo come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali, un sistema elettorale proporzionale con diritto di voto anche alle donne oltre alla riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione.
  • Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici, mentre l’incremento delle forze economiche del Paese, l’aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l’analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria.

Oltre 100 anni dopo, i temi proposti dall’appello “Ai liberi e forti”, al netto dei cambiamenti storici intervenuti, sono ancora in gran parte attuali: la crisi della globalizzazione dei primi anni 20 del ‘900 trova un eco e in quella introdotta dalla pandemia Covid 19, dalla guerra in Ucraina e soprattutto dall’antagonismo tra Cina e USA, che propone il pericolo di una nuova crisi globale, aggravata dalla constatazione che le modifiche antropiche provocate al clima e ai territori dall’industrializzazione e dal consumo delle risorse naturali rappresentano una decisa limitazione alle condizioni della natura e delle caratteristiche preesistenti dello sviluppo globale e nazionale. Il declino demografico dei paesi industrializzati e le problematiche prospettive dell’andamento della popolazione rappresentano anch’essi vincoli, che insieme a clima e ambiente, impongono a tutti i governi un processo di autolimitazione e regolazione, siano essi gli attuali 30 obbiettivi dell’ONU per il 2030, o i vincoli ambientali concordati nel COP 2023, collegato alle minacce climatiche denunciate dall’IPCC, o piuttosto l’incremento significativo delle catastrofi dovute al clima e all’antropizzazione, che ormai contano di volta in volta decine di migliaia di vittime, o milioni, come nella pandemia COVID 19. I temi di politica interna posti dall’appello fondativo del PPI impressionano per la loro attualità: temi come l’autonomia dei territori, i diritti e le problematiche insorgenti sui temi delle unioni e della procreazione, la libertà di espressione e la tutela della professionalità, delle competenze, del merito, della rappresentanza politica, fatte le debite proporzioni con i tempi, sono ancora oggi di estrema attualità, prima tra tutti l’istanza di libertà e tutela della persona nella comunità, che appare oggi la condizione piu’ minacciata e in pericolo, sia per gli eccessi legati al consumismo e al fondamentalismo, sia per l’ostinazione di molti a ritenere la guerra una legittima modalità per risolvere conflitti culturali, economici, ideologici e geopolitici. Sui restanti temi, sembra non esservi punto che non rappresenti, oggi, una analoga emergenza rapportata alle esigenze dei tempi e dell’antropologia sociale e culturale.

La politica italiana dopo “Mani Pulite” è andata disfacendosi, perché la cosidetta “terza Repubblica” non è mai nata. La struttura dei partiti che fecero la Costituzione e la Repubblica nel 1946, negli anni ’90 aveva raggiunto e conseguito gli obbiettivi di sviluppo economico, imprenditoriale, sociale, una sanità tra le migliori al mondo, una previdenza pensionistica e sociale adeguata, un paese migliorabile ma membro del G7 e tra le maggiori potenze mondiali. Nel 2016, il tentativo di modificare la Costituzione avviato da Matteo Renzi fu segnato da una cocente sconfitta politica, solo pochi mesi dopo la grande affermazione di voto alle europee. La crisi dei partiti italiani “storici” coincide con la crescita dell’Europa e dell’Euro nella fase di globalizzazione aperta del primo ventennio del XXI secolo, una aspettativa continentale in gran parte tradita negli anni piu’ recenti, e si sviluppa attraverso trent’anni estremamente travagliati, segnati da situazioni esterne che, pero’, influenzano pesantemente il processo europeo: la Guerra del Golfo, il terrorismo Jihadista, l’abbattimento delle Torri Gemelle, l’invasione dell’Afghanistan, l’ascesa della Cina, l’accordo di Minsk, i colpi di stato nei paesi dell’area ex-sovietica, la crisi finanziaria del 2007, la fase di risanamento, la Brexit, la Pandemia, la guerra in Ucraina. Tutti avvenimenti esterni che hanno influenzato pesantemente il processo di coesione e unificazione europea, lasciando una Europa divisa politicamente, priva di una propria identità politica globale, separata a piu’ velocità tra vassalli americani, paesi “egoisti” del nord, abbandono dell’Africa e dei confini. L’Italia fronteggia le grandi sfide globali mantenendo un ruolo internazionale economico di alto livello, ma perde progressivamente in coesione, coerenza interna, spinta democratica, principalmente a causa dell’invecchiamento della popolazione, dei sistemi e dei circoli di potere, del suo capitalismo e della classe dirigente mai veramente internazionalizzate: un limite che ancora oggi rappresenta un forte handicap per il ruolo del paese a livello globale e in Europa. Le vicende precedenti e successive alla pandemia COVID 19 evidenziano la necessità di una rifondazione o riaggregazione dei corpi politici e delle strutture socio-religiose (imprese, sindacati, corpi dello Stato, la stessa Chiesa Cattolica in ritiro/competizione con le altre religioni) e un insieme di riforme che pongano la società italiana in grado di interpretare e affrontare con responsabilità le sfide del futuro.

La vera portata del cambiamento sfugge a molti e l’Italia, come gli altri paesi sviluppati, sta andando incontro a svolte epocali, in relazione al numero e alla pendenza delle curve esponenziali che caratterizzano i fenomeni sociali, politici, tecnologici e ambientali:

  • il declino demografico con il relativo impatto scolastico, previdenziale, lavorativo;
  • la mancanza di una strategia di ordinato assorbimento e integrazione dei migranti provenienti dall’est e dal sud del Mediterraneo, scarsa visione di un “melting pot” razziale e culturale, salvo subire migrazioni epocali con centinaia di migliaia di ingressi annui.
  • la fuga dei laureati e delle competenze verso paesi piu’ attrattivi e il gap educativo delle giovani generazioni rispetto ai paesi europei;
  • il fabbisogno di intelligenza e investimenti per la transizione energetica;
  • l’eccesso di crescita del debito pubblico consolidato;
  • marginalità, mancanza di iniziativa e leadership nei settori “chiave” in cui si sviluppa la “techne” strategica dei prossimi vent’anni: transizione energetica, energie rinnovabili, elettrificazione, genomica, intelligenza artificiale, economia e colonizzazione dello spazio: dal che il crescente ritardo del valore aggiunto, del benessere e della ricchezza nella classifica globale della ricchezza.
  • il deficit di bilancio annuale provocato dalla spesa previdenziale e sociale;
  • il gap infrastrutturale con l’Europa e i paesi industrializzati;
  • il consumo del territorio e la sfida climatica;
  • la crescente carenza di risorse a basso costo: energia, acqua potabile, acqua irrigua, materie prime, materiali per la transizione tecnologica, maggiore produttività agroalimentare, materie prime industriali, pesca, patrimonio faunistico e biodiversità;

Piu’ ancora, e prima ancora dei fattori economici e materiali (la “Techne’”), si propone la crisi antropologica di una società priva di giovani, con il secondo tra i piu’ bassi tassi di sviluppo demografico, dopo la Corea del Sud, una crescente mentalità senile e conservatrice, una scarsa apertura al rischio, alla concorrenza, alla libertà e alla meritocrazia. La società italiana si ritrova, usando le parole del Censis nel “56° rapporto sulla situazione sociale del paese” del 2022, “immatura e poco professionale e stratificata, latente, declinante, post-populista per una presa di coscienza – nella stessa destra di governo del 25 settembre 2022 – che le responsabilità globali implicano per l’Italia affrontare urgentemente impegni indispensabili a sopravvivere, malinconica per effetto della pandemia, della guerra, della crisi energetica e ambientale, ma al tempo stesso consapevole dei rischi e delle necessità da affrontare nella de-globalizzazione”. Di fronte a queste tremende sfide, non puo’ che suscitare preoccupazione l’attuale, visibile e sensibile involuzione oligarchica della politica: l’ascensore sociale e quello politico sono fermi nel paese e – in uguale modo – nella politica, dove i ruoli sono stratificati e i partiti – perfino i non partiti piu’ recenti come i 5S e l’estrema sinistra – sono incapaci di elaborare e fare emergere programmi credibili, istanze e bisogni condivisi e reali che non si trasformino in populismi costosi come il reddito di cittadinanza, oppure l’irrazionale e iniquo superbonus, o ancora la spinta disperata (perché non attuabile con l’attuale situazione debitoria e la domanda di finanziamento sociale e previdenziale) ad una proporzionalità fiscale contraria ad ogni concetto di equità, nonché alla progressività sancita dalla Costituzione, per l’evidente incapacità della politica e dell’amministrazione di combattere evasione, privilegi, lobbismo e monopoli, nonostante i richiami dell’Europa (si pensi ai taxi e alle concessioni balneari). Al populismo, che è risultato insostenibile dal 2018 al 2022 per il bilancio dello Stato, per l’Europa, per le stesse basi razionali ed economiche di funzionamento dello Stato, non c’e’ stata una reazione “democratica” e responsabile della parte migliore del paese. Invece che reagire con l’eredità giuridica, valoriale e pragmatica delle forze storiche che hanno costruito l’Italia del secondo dopoguerra cosi’ aderente agli ideali dell’appello “ai liberi e ai forti”, la vita democratica del paese – forse influenzata dalla tendenza storica in atto a livello globale – è andata direttamente verso una involuzione oligarchica. La scomparsa di Berlusconi lascia spazio a dieci, cento, mille Berlusconi, che ritengono di avere ragione perché godono di posizioni economiche di potere, maturate grazie al lobbismo, al debito pubblico, allo sviluppo del commercio internazionale con aree di irregolarità finanziaria e fiscale, paradisi fiscali, paesi canaglia.

Come nel 1919, non assistiamo a nessuna vera reazione “popolare e democratica”

Il 1919, a fronte di istanze sociali pacifiche e meno pacifiche, come il popolarismo, il socialismo e il fascismo, invece di giustizia e benessere, ci regalo’ il ventennio fascista, l’esaurimento storico della monarchia, l’avventura della seconda guerra mondiale. Solo dopo tali grandi tragedie, vi fu la reazione popolare e la Costituzione del 1946. Abbiamo il dovere di fare in modo che non succeda lo stesso: che la crisi globale, la minaccia della guerra, il ritorno della guerra fredda e del multipolarismo della forza, non investa la politica italiana riproducendo i conflitti e gli schieramenti che si stanno preparando a livello globale. La politica italiana oggi si trova di fronte ad una situazione simile a quella del 1919, seppure non analoga. La somma delle sfide globali, tecnologiche, sociali e politiche è soverchiante, gli strumenti a disposizione limitati, e – diciamo pure – le riserve valoriali e intellettuali del paese sono scarse, per l’incomunicabilità generazionale, la persistenza nei nodi di potere di anziani potenti graziati dall’aumento della speranza di vita e dall’assenza di concorrenza a causa della fuga dei cervelli, il degrado e l’omologazione conformistica e consumista che ha fortemente eroso la peculiarità imprenditoriale e sociale dell’Italia del secondo dopoguerra, le piaghe dell’incultura, dell’addizione a sesso, sostanze psicotrope e alcool che erodono dal basso la società e la stabilità emotiva del tessuto sociale occidentale. Rifondare la politica appare un problema, a causa della dominanza oligarchica dei media, il controllo dell’informazione pubblica da parte dei poteri (non dello Stato), la scarsa propensione individuale a investire tempo e confronto con gli altri per lo studio di soluzioni condivise e rappresentative consapevoli delle sfide in gioco. Non secondaria è stata l’erosione – studiata, pianificata, e via via aiutata dal cambiamento tecnologico e finanziario – dell’autorità riconosciuta alle competenze, all’esperienza e alla scienza, provocata da vent’anni di social network, media corrosivi, e dall’ondata travolgente del cambiamento antropologico e valoriale. Si tratta di sfide complesse, rilevanti, pesanti, per le quali ciascuno di noi deve sottrarre del tempo di cui dispone solo marginalmente, in quanto costantemente impegnati a coniugare continuità, apprendimento, progettualità in una società competitiva e ingiusta, sempre piu’ spesso predatoria e iniqua. Vivere in una società globale comporta specificità, professionalità e sistemi di relazione lunghi e stratificati, che sottraggono le persone alla propria sfera sociale, alle relazioni locali, alle preoccupazioni quotidiane.

Puo’ la vecchia politica trovare nuove modalità espressive in “questo mondo”? I fatti testimoniano quanto sia difficile e complicato. Gli esperimenti dei “meetup” 5S, il partito-rete, le “Bestie” social, la manipolazione degli account social dell’era Bannon-Trump, la frantumazione del consenso in piccoli partiti con basi programmatiche pragmatiche e opportunistiche, l’esportazione del populismo e delle mance sul territorio nazionale attraverso il controllo delle maggioranze parlamentari, ha profondamente cambiato la struttura e la natura stessa della politica che molti di noi hanno frequentato: i legami territoriali sono tenui, l’amministrazione locale instabile, spesso inefficiente e inconcludente (si veda il tormento del PNRR e la farlocca verifica di avanzamento dei “progetti”, la maggior parte dei quali inattuati e inattuabili per mancanza di reale volontà politica), i tentativi benintenzionati di riforma della giustizia, della scuola, della sanità, della concorrenza, che naufragano di fronte a solidi vincoli lobbistici e persistenza gerontocratica.

Per i giovani, oggi, è arduo penetrare la politica. E’ come se avessero un enorme debito universitario da pagare: un debito trasformato in allontanamento e ritardo d’accesso alle responsabilità, che viene fatto pagare rallentando ogni delega fino ai 50 anni e oltre, mantenendoli in un limbo professionale privo di poteri per i primi vent’anni di carriera: vale per medici, avvocati, commercialisti, ingegneri, dirigenti e quasi tutte le professioni liberali. Spesso a dispetto e scapito dei clienti e dei cittadini, che vedono diminuire vistosamente la qualità dei servizi e la permeabilità sociale. Cresce l’occupazione, ma non la qualità dell’occupazione, e neppure i salari reali, mentre le pensioni diminuiscono e viene rotto, drammaticamente, l’impegno a garantire la stabilità reddituale nel tempo (il cosidetto “coefficiente di conversione” indicizzato). Le pensioni saranno solo un assegno alimentare. L’informatizzazione cieca, l’economia 4.0 basata sulle “tendine” (cio’ che non è nella tendina non esiste) acuisce il problema e lo rende parossistico: le prenotazioni sanitarie, le lentezze giudiziarie, la giungla fiscale del superbonus e quella sociale di quota 103 e del reddito di cittadinanza ne sono la plastica dimostrazione. L’intelligenza artificiale non migliora la qualità né l’efficienza e capillarità dei servizi.

Come rifondare la politica in questa temperie sociale ed economica?

Puo’ essere l’oligarchia, il potere affidato o lasciato a pochi già ricchi, pronti a pagare e pagarsi campagne elettorali e partiti e percio’ “capaci” per definizione, una soluzione? Questa tendenza, ormai in accelerazione nel mondo, dalla Russia all’Ucraina, dagli Stati Uniti alla Cina, anche in Italia, rappresenta la nuova, dominante tendenza globale. Lo scontro “virtuale” tra Elon Musk e Zuckerberg al Colosseo, i multimiliardari “attori” del cambiamento globale, dai paesi dell’est al Medio Oriente alle americhe all’Africa, ora anche in Europa: si puo’ non tenere conto di questa involuzione medioevale della politica? Di questo “esempio” negativo di bullismo e potere esercitato senza giustizia? Quando il sistema dei diritti e delle regole viene messo in crisi, la libertà di espressione assicura piu’ licenza di agire a chi detiene il potere e acquista pagine di giornale, spazi in TV, identifica e orienta milioni di persone sui “social”, lo spazio di confronto risulta “drogato”. In nome della concretezza pragmatica e della decisione, come il Manzoni insegna per le “grida”, si sbriga rapidamente l’obbligo di trasparenza democratico, e si assumono decisioni che influenzano la vita di milioni. Le gride, secondo Manzoni, servivano solo a rendere le leggi meno comprensibili e per questo favorivano le classi privilegiate. Inoltre signori e signorotti locali eludevano le gride e venivano protetti da piccoli eserciti personali composti dai bravi. Non si scorgono evidenti e preoccupanti analogie con il mondo attuale?

Noi non possiamo essere d’accordo con questa irrefrenabile valanga, in quanto mette in gioco l’essenza stessa della rivoluzione liberale, e tutte le conquiste democratiche e civili di uguaglianza, fraternità, libertà individuale, conseguite nei 300 anni dalla “rivoluzione gloriosa” a quella francese, nelle rivoluzioni e genocidi del secolo breve, nelle lotte sociali, economiche e civili dal secondo dopoguerra ad oggi. Non una democrazia popolare – anzi, populista – e demagogica, ma una democrazia autentica e sfidante. Il ritrovato rispetto per l’autorità, non per l’autoritarismo; il confronto sfiancante accompagnato allo studio, la vocazione dell’esempio, spesso il sacrificio personale e collettivo.

Sono temi inattuali? Personalmente non ne sono convinto: nel rutilante e mutevole mondo attuale, le crisi che si sommano e sovrappongono provocano eccesso di esposizione, che logora continuamente i potenti. Tale è per Putin, Trump, Xi, Modi, Bolsonaro da Anguillara Veneta, Lula da Silva. La durata e la consistenza del potere si riduce via via in tempo ed estensione. Come scriveva a se’ stesso Steve Jobs via mail prima della morte: “Coltivo poco del cibo che mangio, e di quello che coltivo non ho selezionato i semi. Non ho cucito nessuno dei vestiti che indosso. Parlo una lingua che non ho inventato o perfezionato. Non ho scoperto la matematica che uso. Sono protetto da libertà e leggi che non ho concepito o legiferato, e non faccio rispettare o giudicare. Mi emoziono per musica che non ho creato io. Quando avevo bisogno di cure mediche, non ero in grado di aiutarmi da solo a sopravvivere. Non ho inventato il transistor, il microprocessore, la programmazione o la maggior parte della tecnologia con cui lavoro. Amo e ammiro la mia specie, viva e morta, e dipendo totalmente da loro per la mia vita e il mio benessere”. Ed ancora: “Man mano che invecchiamo e diventiamo più saggi – aggiunge – lentamente ci rendiamo conto che indossare un orologio da 300 o 30 dollari (entrambi danno la stessa ora)..; che abbiamo un portafoglio o una borsetta da 300 o 30 dollari (l’importo all’interno è lo stesso); che guidiamo un’auto da 1.500 o da 30.000 dollari, la strada e la distanza sono uguali e arriviamo alla stessa destinazione; che beviamo una bottiglia di vino da 1000 o 10 dollari, i postumi della sbornia sono uguali; che la casa in cui viviamo misura 300 o 3.000 piedi quadrati, la solitudine è la stessa. Ti renderai conto che la tua vera felicità interiore non deriva dalle cose materiali di questo mondo. Sia che tu viaggi in prima classe o in classe economica, se l’aereo si rompe, tu cadi con lui… Quindi, spero che vi rendiate conto, quando avete amici, vecchi amici, fratelli e sorelle, con cui discutete, ridete, parlate, cantate, parlate del nord-sud-est o dal cielo e dalla terra…. questa è la vera felicità”.

L’oligarchia, lo stesso strumento che opprime le nostre democrazie, denuncia cosi’ le proprie debolezze, e apre la strada alla prossima crisi. Come nella dimensione umana, anche nella politica occorre recuperare il rispetto della persona e dell’esistenza. Sarà piu’ difficile, oggi, perché il mondo è piu’ complesso e articolato. La scienza, la tecnologia, la biologia, la natura e il mondo richiedono sempre nuovi equilibri, sempre piu’ raffinati ed entropici: è lo stesso processo che rispecchia l’evoluzione del mondo fisico, l’informazione e la complessità. Una struttura politica nuova necessita di alcuni requisiti fondamentali:

  • una dimensione di elaborazione globale, nazionale e locale.
  • Unità di responsabilità locali (provinciali, comunali, di comunità) disponibili allo studio, alla riservatezza, all’elaborazione di idee nel rispetto delle specificità professionali e delle esperienze dei partecipanti, sia individuali che collettivi (i cosidetti “corpi sociali”).
  • La rinuncia alla sbornia trentennale della critica generale e immotivata per abbattere il potere, l’approfondimento di idee e punti di vista altrui.
  • La capacita’ di assumere decisioni condivise e rapide quando si amministrano risorse enormi pubbliche, che comportano la spesa di rilevanti risorse tributarie, cambiando la vita e il lavoro dei cittadini, l’uso del territorio, la sostenibilita’ climatica e ambientale.
  • Una devozione particolare alla cultura e ad una visione ed interpretazione del mondo in cui primizia non siano le armi e il potere temporale, ma la cultura, la scienza, la sostenibilità, la sacralità come rispetto dell’altro e consapevolezza dell’ignoto.
  • Una rinuncia esplicita all’esibizionismo, all’egocentrismo e all’autobiografismo.

Si tratta in generale di rinunce ad una visione della politica come protagonismo, ed invece di scelte ispirate al servizio agli altri, al continuo approfondimento, al riesame critico delle azioni e delle decisioni, al confronto costante delle posizioni disciplinari e motivate della propria professione ed interdisciplinari, verso le altre professioni. Il confronto si sposta dalla capacità di cambiare idea di fronte alle argomentazioni altrui, alla capacità di individuare una sintesi delle idee e trasformarle in indirizzi d’azione e vere e proprie decisioni. La politica italiana necessita ormai di scelte e di valori di riferimento, che non siano solo collettivi, ma diventino veri e propri principi guida del comportamento personale e collettivo. Potranno non essere quelli suggeriti in questo articolo, che è solo un contributo di riflessione, ma sicuramente dovranno essere diversi da quelli finora praticati, che comportano solo sudditanza e subordinazione, perdita di obiettivi, indebitamento e dispersione di risorse, libertà e giustizia per le vecchie e nuove generazioni. Questo problema travalica i partiti e investe tutta la società civile e politica italiana, che deve ritrovare la propria dignità e ragion d’essere e di discutere.

Non ci sarà palingenesi della politica senza l’accoglimento, una vera e propria scelta, di questi precetti di comportamento, che costituiscono l’unico metodo per invertire il degrado e la spinta verso le decisioni oligarchiche, dettate dal potere economico che stabilisce una gerarchia di importanza e priorità. Questo processo è oggi voluto e praticato dalla corrente principale del pensiero occidentale, e permea – attraverso il controllo dei fattori di produzione, capitale e finanza, capitale umano, tecnologia – la rivoluzione digitale, quella scientifica, quella tecnologica e quella eugenetica. La politica oggi deve confrontarsi con la “techne’”, dando per scontato che il suo impiego e il suo indirizzo non è buono o cattivo a priori. Buono o cattivo e’ l’uso che la politica, l’agire, impartiscono alla “techne’” attraverso scelte che devono essere mature, riflessive, concordate. E’ la dimensione politica quella che stabilisce la pluralità. La pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioe’ umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà (Hanna Arendt). L’azione, in quanto fonda e conserva gli organismi politici, crea la condizione per il ricordo, cioè la storia. Il futuro è in mano a queste scelte, che non possono essere dettate dagli oligarchi, dagli interessi economici, dal consumismo, o dalle pressioni geopolitiche. Si tratta di una sfida collettiva e individuale, in gran parte da tracciare, perché i percorsi di ieri sono andati perduti, e quelli di domani sono in gran parte ancora da svelare.