Resilienza, sofferenza, mortalità: non sta andando tutto bene in Veneto!

Esame critico della governance regionale e proposte operative per affrontare la crisi pandemica (di Claudio Beltramello e Dino Bertocco)

Continuano ad essere giorni in cui nella nostra Comunità regionale veneta, al pari di tutte le altre – in Italia, in Europa, nel Mondo – si intrecciano azioni e sentimenti contrastanti.

Si consolidano da un lato le fondamenta delle attività economico-produttive e del terziario non compromesse dai lockdown parziali e si intensificano le iniziative di ricerca sui vaccini identificati come una trincea fondamentale per arrestare l’avanzata del virus, e dall’altro si implementano analisi scientifiche, riflessioni e progettualità per flessibilizzare in sicurezza il ritorno alla quasi-normalità per i ritmi circadiani dei servizi scolastici, della vita cittadina, del tempo libero dedicato allo svago ed al benessere non confinati nel rifugio difensivo delle mura domestiche.

Ed è un autentico spettacolo osservare e partecipare all’umanità che reagisce e non si sottrae al dovere di presidiare le infrastrutture economiche e sociali, in un contesto angoscioso per i rischi (oggettivati dai dati e dai fatti) che manifesta con una continuità ed ecletticità sorprendenti quanto preoccupanti.

Ma, lo sappiamo bene perché tra diffidenze e consapevolezze abbiamo cominciato ad apprenderlo e per molti di noi e dei nostri congiunti e membri delle nostre reti amicali e parentali a sperimentarlo, Covid-19 colpisce duro ed improvvisamente, è un avversario subdolo con un’abilità crescente ad insinuarsi nei varchi delle nostre (insufficienti) difese immunologiche e ad approfittare con feroce tempestività delle nostre momentanee ed imprudenti spensieratezze relazionali ‘non protette’.

Ed allora il pensiero e l’attenzione dedicati alla funzionalità, alle prestazioni e qualità organizzativo-gestionali dei nostri sistemi sociosanitari nel fronteggiare l’aggressione pandemica, costituiscono un cruccio assillante ed un impegno necessario, laddove è affrontato con la competenza specialistica dell’esperto e la consapevolezza critica del commentatore.

Nel nostro piccolo laboratorio editoriale abbiamo dedicato uno spazio preponderante ad analisi e valutazioni focalizzate sulle caratteristiche strutturali e sulla governance del ‘modello’ sociosanitario veneto, con l’intento di evidenziarne le performance, ma nello stesso tempo di non sottacerne e sottovalutarne le insufficienze e, soprattutto, l’indebolimento progressivo determinato dall’iniziativa politica che si si è caratterizzata negli ultimi lustri per il via libera ad incursioni affaristico-immobiliari e per una ristrutturazione che ha manomesso e parzialmente compromesso l’originaria ed originale matrice storica dell’integrazione ed interdipendenza dei servizi sanitari e sociali.

Nel precedente nostro intervento abbiamo stigmatizzato e controargomentato le affermazioni dell’ex Direttore Generale Domenico Mantoan relative al bilancio del decennio trascorso.

Oggi vogliamo invece identificare i punti critici ed i programmi necessari per gestirli nel presente e nell’immediato futuro per rimodellare ed adeguare la risposta del sistema alle sfide per le quali non è e non risulta sufficiente l’attività declamatoria di un Presidente generoso ed ipercinetico, ma con la sindrome della rana di Esopo, ovvero inconsapevole di una complessità che esige una guida condivisa da una molteplicità di protagonisti operativi sul piano professionale, scientifico, amministrativo, sociale, istituzionale con poteri e responsabilità non riassumibili da un uomo solo al comando.

In estrema sintesi andiamo a focalizzare le questioni cruciali di un’Agenda politica a cui concorrono attori regionali e nazionali, lasciando sullo sfondo le competenze ed i ruoli dei soggetti ‘globali’ quali l’OMS e le Big Pharma impegnate su ricerca & vaccini, e l’UE regista della pianificazione strategica per la resilienza economico-finanziaria e per la regolamentazione (fin dove possibile) degli indirizzi di salute pubblica.

  1. Il primo buco nero a cui bisogna porre riparo è costituito dal deficit di consapevolezza politica dell’intero corpo di rappresentanti istituzionali ai vari livelli. E’ accertato che l’arrivo (clandestino) di Covid-19 ci ha trovati sorpresi ed impreparati. Per il riepilogo degli errori, orrori e contraddizioni nella stagione della prima ondata rinvio alla cronistoria redatta nel primo capitolo ‘La pandemia da Covid-19 tra omissioni e mancate verità’ del libro di Alberto BrambillaLe scomode verità su tasse, pensioni, sanità e lavoro’. Le lezioni tratte da quel periodo hanno sicuramente indotto molta parte di Ministri, Presidenti di Regione e Sindaci ad assumere atteggiamenti ed adottare provvedimenti più tempestivi e congrui su molti versanti, ma è indubbio che non è ancora stato introiettato un pieno e totale senso della co-responsabilità all’interno di una visione strategica condivisa – su cui continua ad insistere il Presidente Mattarella – della gravità, profondità, incommensurabilità della crisi pandemica.

Su scala regionale veneta ciò significa che i 563 Sindaci ed i 7 Presidenti di Provincia non vanno considerati attori comprimari di un Presidente factotum, bensì i portatori sani e potenti di una rappresentanza politica dei territori chiamati a conoscere e gestire fino al dettaglio e con continuità e sistematicità le fasi di previsione e di operatività degli interventi adottati sui vari fronti emergenziali, della prevenzione, dei ristori, dell’orientamento dei cittadini ed del monitoraggio del contagio.

E’ la Politica che deve legittimare la sua funzione in termini di unitarietà degli indirizzi, autorevolezza nell’uniformare o comunque moderare il pluralismo delle opinioni scientifiche, fermezza nei diffondere il messaggio sulla drammaticità del frangente storico che stiamo con-vivendo.

  1. Il secondo ambito è quello nel quale è necessario recuperare contezza dei numeri e dei comportamenti che sono entrati in gioco con la Pandemia ed è rappresentato dalle due facce del Fondo Sanitario Nazionale e della Conferenza delle Regioni deputata alla sua equa ripartizione, con annessa implicazione della discussione sull’agibilità o meno dell’uso delle risorse del Mes, fattore potenzialmente decisivo per accelerare gli investimenti strutturalmente necessari per l’aggiornamento logistico, tecnologico e professionale del Servizio sanitario.

Ebbene, proprio nel momento di massima tensione per l’impatto finanziario della pandemia sulla ‘salute’ dei conti e l’adeguatezza-tempestività delle prestazioni, è bene non perdere di vista il quadro delle distorsioni persistenti e potenziali sia nell’allocazione delle risorse sia nella correttezza ed efficienza del loro uso.

Allo stato attuale infatti è stato accertato che sul budget, con riferimento all’ultimo anno, il 2017, coperto dall’analisi, di circa 114 miliardi: (sul finanziamento nazionale, vedi in Gimbehttps://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf)

  • Un livello di inefficienza tecnica che ammonta a 4 miliardi di euro pari al 3,8 % della spesa storica.
  • Un’efficienza di prezzo che risulta molto più elevata e raggiunge i 13,3 miliardi di euro, pari all’11,8 % della spesa storica complessiva.

(Vedi in La sanità delle regioni, Fabio PamolliFrancesco PorcelliFrancesco VidoliMonica AuteriGuido Borà, il Mulino).

Si potrebbe sostenere che per tale quadro compromesso, la nomina del nuovo Direttore Generale di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) Domenico Mantoan rappresenta una apparente buona notizia, e alla luce della sua vocazione alla ‘sistemazione dei conti’.

Ma ciò che ci interessa sottolineare è che siamo in presenza di una dissennatezza finanziaria generata da una malversazione gestionale in capo a responsabilità politiche nel governo di Regioni che non possono essere semplicemente commissariate da tecnici che non sono in grado di incidere sulla sottocultura di classi dirigenti locali, in alcuni casi anche corrotte oltre che incapaci.

Detta brutalmente e prosaicamente, nel cesto delle 20 Regioni e due Province autonome, quelle che possiamo annoverare come ‘mele buone’ ovvero con modelli e standard operativi corretti ed efficienti, debbono dotarsi della forza politica per un reindirizzo globale e specifico nella Gestione del Fondo Sanitario Nazionale.

E’ una mission che spetta principalmente a Regioni come il Veneto, Emilia Romagna e Toscana che hanno non solo le carte in regola, ma anche la convenienza diretta, per contribuire al miglioramento dell’accountability nel buon uso della risorse e del controllo della qualità-quantità delle prestazioni sociosanitarie erogate ai cittadini in tutto il territorio nazionale. Perché nel concetto profondo di accountability (in Italiano non esiste questo termine che traduciamo come ‘render conto’ oppure ‘rispondere delle proprie responsabilità -nel bene e nel male-‘) si racchiude il senso profondo della programmazione e gestione sia politica che tecnica della sanità, e non solo di questa ovviamente…

  1. Esiste poi l’esigenza di fare un salto di qualità nella valutazione-comparazione del grado di efficacia dimostrata dalle diverse Regioni nel fronteggiare la crisi pandemica, andando oltre il vetusto e abusato confronto tra Veneto e Lombardia.

Per la nostra Regione è fondamentale un benchmark che sia più illuminante e veritiero per esprimere un giudizio sui punti di forza e debolezza di un sistema che ha espresso un buon grado di resilienza in rapporto al desolante panorama italiano, ma che in virtù di una dotazione di infrastrutture ospedaliere e di ricerca e soprattutto di un capitale sociale enorme ereditato da una storia importante nella quale hanno inciso la tradizione culturale della sussidiarietà e l’imprinting del peculiare modello dell’integrazione, può aspirare a miglioramenti sostanziali.

A scopo esemplificativo abbiamo preso in considerazione un Lander tedesco che pur con con un Pil più cospicuo, per estensione territoriale e popolazione può essere assunto come una realtà confrontabile con il Veneto. I dati esaminati sono riportati nella seguente tabella:

Regione
PopolazioneSuperficieContagiDecessi
Assia (Germania)
6,266 milioni21.114 km²77.0001.071
Veneto
4,906 milioni18.345 km²125.0003.258

Non c’è nessuna pretesa di inferenza statistica e/o di valutazione qualitativa di due realtà che sono assimilabili per il fatto di appartenere ad un’Europa nella quale il virus ha colpito con una uniforme qualità e capacità di penetrazione e diffusione, fatta salva la diversa scansione temporale del suo arrivo.

Le cifre che segnaliamo hanno lo scopo di indurre una riflessione ed un dibattito che consenta di focalizzare le misure e le azioni che si propongano di perseguire un possibile e praticabile miglioramento della tutela dei cittadini veneti dall’attacco pandemico.

  1. Certo riteniamo doveroso indicare da subito le aree critiche dove verisimilmente si sono create le condizioni per una maggiore vulnerabilità al virus della popolazione veneta rispetto ai più fortunati cugini tedeschi, naturalmente avendo presente l’incidenza dei diversi indici di invecchiamento e delle polipatologie preesistenti nei cittadini delle due Regioni.
  1. Un primo terreno di indagine è costituito dalla dotazione di logistica-tecnologie-personale specialistico ospedalieri che presenta uno scarto impressionante e rimette in seria discussione la qualità della ristrutturazione organizzativa operata in Veneto nell’ultimo decennio che ha addirittura voluto abbassare il numero di posti letto per 1000 abitanti sia generali che di terapia intensiva al di sotto delle indicazioni nazionali.
  1. Collegata a tale ricerca poi andrebbero monitorate le caratteristiche alberghiere ed assistenziali delle RSA, comunque denominate ed intese come strutture nelle quali sono ricoverati gli anziani con un alto grado di fragilità.
  2. Inoltre bisogna monitorale e valutare la consistenza e la funzionalità della medicina territoriale di base, il suo grado di preparazione e tempestività nella capacità di intercettare e reagire dinamicamente al contagio della popolazione assistita.

Insomma il focus fondamentale è la comprensione degli strumenti e delle metodiche che consentono quella che pare essere una pratica decisiva in Germania non tanto per debellare il rischio Covid-19 (impossibile) bensì contrastarlo con la maggiore efficacia che verosimilmente è rappresentata dalla tempestività con cui vengono individuati i sintomatici e gli asintomatici e dall’immediatezza delle cure appropriate che vengono loro somministrate.

  1. Il quinto fronte, finora solo adombrato nelle cronache giornalistiche, ma mai preso seriamente in considerazione ed affrontato è quello che chiameremo il ‘benessere organizzativo’ del personale impegnato nella cura.

Già prima dell’epidemia il clima organizzativo che si respirava nella Sanità veneta era, mediamente, pessimo. Medici, infermieri e resto del personale erano schiacciati tra dei carichi di lavoro insostenibili e l’impossibilità di esprimere la propria individualità ed il proprio pensiero critico e propositivo. “Siamo trattati come dei soldatini che devono sgobbare, obbedire e tacere”. A questo clima militaresco e intimidatorio si aggiungeva la percezione dell’annullamento della meritocrazia negli avanzamenti di carriera (salvo alcune eccezioni menzionate con sorpresa nell’ambiente).

E poi è arrivato il COVID

Quasi superfluo riferire che i carichi di lavoro già enormi sono esplosi, che le catene di comando sono diventate ‘arroganti’ tanto che il dissenso e il disallineamento sono stati puniti con leggi marziali, come in guerra.

Emblematico il caso Crisanti da eroe a nemico del Veneto (leggi ‘di Zaia’) nell’arco di un paio di “non sono d’accordo”.

Hanno fatto meno scalpore ma sono stati altrettanto gravi gli attacchi del Governatore ai Primari che hanno firmato un documento di richiesta che venisse garantito al personale sanitario l’esecuzione dei tamponi molecolari per i controlli periodici anziché dei tamponi rapidi avendo questi meno sensibilità dei primi. Apriti cielo!

L’ira funesta del nostro leader-unico si è scagliata ai suoi massimi livelli verso un anestesista che ha osato portare alla luce la farsa dei 1000 posti letto di terapia intensiva dichiarati ufficialmente dal Veneto per contribuire a restare in fascia gialla. “I posti letto reali sono 600 e possiamo aumentare di circa 100 posti letto bloccando quasi tutte le sale operatorie” aveva dichiarato il coraggioso anestesista. Stiamogli vicino perché ha già iniziato a pagare a caro prezzo questa sua divulgazione della verità.

Il Presidente in merito si poi difeso dichiarando che il Veneto non bara perché ha respiratori per 1000 persone: quindi nessun imbroglio. La metafora che per prima ci viene in mente è la seguente: come se un Generale dell’aeronautica dicesse “Abbiamo gli aerei pronti a decollare per combattere il nemico” ed in realtà negli hangar vi sono solo i motori degli aerei ma mancano il resto dei pezzi e, soprattutto, mancano i meccanici e i piloti.

Perché ammesso e non concesso che si possano allestire dei nuovi posti letto di terapia intensiva, senza anestesisti e senza infermieri esperti di area critica gli stessi restano di fatto non reali. Ed il numero di medici ed infermieri intensivisti non è aumentato da inizio epidemia.

Questi sono esempi arrivati alla cronaca dei giornali tuttavia le vicende di “soprusi” che sta vivendo il personale sanitario in Veneto in questo momento di emergenza lascerà delle cicatrici profonde a fine epidemia.

Adesso prevale l’etica professionale che in una situazione di emergenza assoluta fa mandare giù bocconi molto amari (sia negli ospedali che nei servizi territoriali). Tuttavia, a epidemia superata, rischieremo di assistere ad una fuga dal sistema pubblico di personale sanitario esperto (medici in primis ma non solo) tale da mettere in crisi l’intero sistema.

Questa riteniamo sia la priorità delle priorità per la Sanità del Veneto in questo momento. Ridare fiducia, spazio, motivazione a tutto il personale sanitario per poter lavorare in modo sufficientemente sereno, in un contesto dove il dialogo ed il confronto siano la base di un sistema per sua natura complessissimo. Tornare a lavorare in un contesto dove il merito torni ad essere l’unico criterio di scelta delle persone da far progredire nella carriera e siano accantonati urgentemente criteri di affiliazione, allineamenti vari, servilismo.

C’è bisogno insomma, soprattutto in questa congiuntura drammatica, ri-alimentare nei professionisti della salute quella speranza (intesa come ‘ultima idea’) messa duramente alla prova della gestione autoritaria della coppia Zaia & Mantoan.

E non dobbiamo dimenticare che la qualità del clima organizzativo rappresenta un fattore chiave per la gestione rigorosa dei Protocolli di sicurezza, anche alla luce dei dati allarmanti che attestano una crescente diffusione dei contagi nel personale medico ed infermieristico.

Considerazione conclusiva

Le rapide e sintetiche annotazioni formulate in cinque punti si propongono di alimentare una riflessione critica proattiva perché siamo convinti che la sfida ingaggiata è di quelle che richiedono una disciplina ed una comunanza di intenti generate dal coinvolgimento e dalla partecipazione responsabile di tutti i cittadini attraverso una mobilitazione etico-culturale, cognitiva, professionale ed amministrativa supportate da metodologie e processi organizzativi orizzontali, consensuali, cioè democratici!

Claudio Beltramello e Dino Bertocco