Gli ultimi giorni di Berlinguer in un libro prezioso: la rigorosa cronistoria di un lutto non pienamente elaborato
“E bisogna continuare a lavorare, se ci fermiamo…. Mai! Anzi noi si lavorava quando era più triste di ora, quando ci assalivano e ci incarceravano……. Non bisogna mai dimenticare, bisogna lavorare, avere fede nel partito, perché siamo degli onesti, non ci approfittiamo né della roba dello stato né della roba altrui. Vogliamo vivere con il nostro lavoro e con la nostra capacità di intelligenza”
Un partecipante ai funerali di Berlinguer, pag. 169
Bisogna riconoscere che Piero Ruzzante, con la collaborazione di Antonio Martini, scrivendo un nuovo libro sulla drammatica conclusione (in campo) della straordinaria avventura politica di Enrico Berlinguer “Eppure il vento soffia ancora. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer” (Utet 2020, 240 pagine) ci ha regalato una ricostruzione storiografica nella quale si fondono efficacemente le annotazioni personali di una memoria davvero prodigiosa con un lavoro ineccepibile di ricerca negli archivi e raccolta di preziosa documentazione.
Il risultato è un testo che scorre rapido, intervallando un racconto vivido ed emozionante delle giornate padovane con il comizio, il ricovero e l’epilogo doloroso della morte, ed i flash back sugli episodi e sulle scelte strategiche più rilevanti che hanno caratterizzato la vita del leader comunista.
Vi vengono tratteggiate le tappe di un percorso nel quale l’originalità e l’innovazione nella elaborazione culturale si sono accompagnate ad una strategia politico-organizzativa inedita, inimitabile ed inimitata nel panorama del comunismo occidentale del dopoguerra, legittimate da un crescente successo elettorale e da un diffuso, profondo radicamento sociale e culturale, di cui il libro espone una dettagliata ed inoppugnabile testimonianza.
L’autore opera degli approfondimenti che verosimilmente non aggiungono molto alla cospicua bibliografia esistente sulla vita e le opere del Segretario generale del PCI dal 1972 al 1984, ma possiedono la freschezza e l’originalità dell’osservazione critica di un militante immerso nelle pagine che scrive con la conoscenza di una storia vissuta in diretta e quindi raccontata con il contributo e la ricchezza dello sguardo acuto sui sentimenti, gli scoramenti, le lacrime e la disperazione di quanti hanno partecipato al lutto per la perdita di un leader amato, anzi amatissimo.
Inoltre, soprattutto per i lettori padovani e veneti, nel leggere la cronaca di quella che è apparsa ed è stata vissuta come una tragedia personale e collettiva, riappaiono con vividezza le immagini familiari e l’umanità sofferente condivisa di decine di dirigenti e centinaia di militanti di un Partito che costituiva non solo una macchina organizzativa pulsante di disciplina ed efficienza, bensì una comunità ispirata da valori e passioni autentiche, sublimati dall’ammirazione nei confronti di un Segretario la cui abnegazione e dedizione alla causa appariva totale (e lo era!).
Su molti aspetti e vicende della leadership esercitata da Berlinguer, Piero Ruzzante ha la capacità ed il merito di andare oltre la vulgata e le inesattezze su una personalità poliedrica, coriacea nella sua inconfondibile sardità e nel suo rigore ideologico e contemporaneamente empatica per la profondità e sincerità dei sentimenti manifestati con pudore.
Egli scava in profondità su molti episodi e scelte sorprendenti, in alcuni casi sconcertanti e drammatici (come il fallito attentato subito in Bulgaria) non tanto e non solo per una comprensibile curiosità da ricercatore, bensì per la determinazione a far ri-conoscere e divulgare la lezione politica permanente di un leader la cui dipartita traumatica ha creato una frattura emotiva e culturale, un lutto non ancora pienamente elaborato, tanto da ritenerlo ‘senza eredi’.
Il pregio dei testi deriva dal fatto che pur non proponendo delle ‘tesi politiche’, essi offrono elementi di riflessione e di orientamento per una vasta platea di militanti e cittadini che appartengono a quel vasto popolo di sinistra che continua a manifestare un vuoto di rappresentanza ed una comprensibile e non ancora decodificata nostalgia per ‘il’ progetto in cui gli ideali e la coerenza nel praticarli erano consustanziali.
Molti dei flask back che vengono inseriti con abilità nella scansione degli eventi e dei temi affrontati, indicano la volontà di superare la diacronia tra i fatti raccontati ed i giudizi espressi in una contemporaneità sicuramente deludente per molti di coloro che ritengono l’essere stati comunisti (od aver votato PCI) con Berlinguer un valore (quasi una fede) non occultabile e tanto meno ricusabile.
Confesso che in molti passaggi della lettura, pur non avendo fatto parte della ‘famiglia’, mi ha preso una certa commozione: e non solo perché gli anni ’70 ed ’80 hanno costituito una temperie di passioni e mobilitazioni travolgenti, bensì per il ricordo di un confronto e di una dialettica all’interno del movimento sindacale e della sinistra senza diplomatismi e senza sconti e con una visione di un pluralismo che, anche nella differenza delle posizioni, non si smarriva il senso di una battaglia comune per i ceti più deboli.
Faccio questa considerazione conclusiva per segnalare che su alcune delle questioni puntigliosamente registrate da Piero Ruzzante (dalla scelta atlantica all’unità sindacale, dal referendum sulla scala mobile alla questione morale) avrei parecchie annotazioni e controdeduzioni da formulare, ma questo mi porterebbe su un registro argomentativo freddo e razionale che mi appartiene poco e che rinvio ad occasioni di confronto più approfondito e stringente.
Ora preferisco far affiorare e condividere il pensiero di un leader la cui visionarietà e generosità possono sicuramente costituire un refolo di vento per scuotere le vele afflosciate della sinistra e della democrazia italiane.
Dino Bertocco