San Martino di Tours e la campagna veneta


La festa di San Martino, vescovo di Tours, in Francia, è uno dei capisaldi della tradizione religiosa delle nostre campagne, ancora oggi.

Nell’intorno dell’undici novembre è tutto un fiorire di feste e sagre paesane dove trovano spazio e godimento i frutti della terra e i loro appassionati degustatori.

È interessante per i cultori della storia e delle tradizioni venete, riandare alla vita di questo santo vescovo cattolico per capire qualcosa di più della struttura portante della nostra antropologia culturale, ovvero, perché san Martino è così famoso e così venerato nelle nostre campagne.

Ecco, allora, venirci in aiuto la sua storia, quella narrata da lui in prima persona e raccontata qualche secolo dopo da uno scrittore veneto, certo Venanzio Fortunato da Valdobbiadene.

San Martino di Tours (dipinto del maestro Paolo Canciani)
Pala d’altare nella chiesa di Sorriva di Sovramonte (BL). Anno 2014.

Martino nasce in Pannonia, l’attuale Ungheria, verso il 316, figlio di un funzionario dell’impero romano, e si arruola da giovane nelle legioni romane di stanza in quei territori, si muove al seguito dell’esercito nei territori dell’impero. Conosce la religione cristiana e si fa catecumeno, desidera prepararsi a ricevere il Battesimo, quando in una giornata fredda incontra un povero intirizzito e mosso a pietà, divide il suo mantello per lui, tagliandolo a metà con la spada. La stessa notte, Martino, legionario romano, ha una visione: gli appare Gesù che lo ringrazia per aver diviso con lui il suo mantello. Subito dopo si fa battezzare, abbandona l’esercito e si mette sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers (anno 339), studia, diventa sacerdote e fonda il primo monastero dell’Occidente a Ligugé nei pressi di Poitiers (360). Nel 372 diventa vescovo di Tours e esercita il suo ministero pastorale fino all’età di ottanta anni. Viene sepolto l’11 novembre del 396, e noi ancora oggi facciamo memoria di questo grande personaggio proprio in questa data.

Già in vita Martino fece miracoli che sono rimasti negli annali della sua biografia. In particolare la risurrezione da morte di un monaco del suo monastero, la risurrezione di un suicida e quella di un bambino portato in braccio dalla mamma, tutti avvenuti di fronte a numerosi testimoni, questi fatti provocarono un’emozione fortissima e numerosissime conversioni.

Ora, vediamo perché il vescovo Martino ha mantenuto fino a oggi la fama di uomo di Dio, soprattutto tra la gente dei campi.

Bisogna riandare con l’immaginazione a quegli anni, quando la vita nelle campagne era quanto mai misera e le persone che vi vivevano erano sottoposte a ogni genere di difficoltà, sia dalla precarietà delle colture e del clima, sia dalle angherie dei “cittadini” proprietari delle terre, sia dagli eserciti in perenne movimento da un territorio all’altro.

Martino rappresenta il primo esempio di “pastore” che concentra la sua azione pastorale tra gli uomini della campagna. Il cristianesimo non era ancora diffuso in quei territori, Martino rappresenta, quindi, la guida, il pastore, l’apostolo, il tutore di quelle genti, esposte più di altre alla povertà e alla miseria.

La sua fama di soldato e di monaco colpisce grandemente la sensibilità di quelle  genti, lui che ha diviso con la spada il suo mantello per darne metà a un povero, rappresenta qualcosa di rivoluzionario, perché i soldati usavano la spada per fare violenza e non per fare la carità. Questo fatto, ancora oggi rappresenta un elemento di grande rilevanza nel sistema di valori della “gente dei campi”.

A questo bisogna aggiungere l’incessante opera di evangelizzazione e di promozione sociale dei contadini e dei pastori.

Oggi, dopo oltre 1600 anni, questa fama permane e si alimenta con la fede delle persone legate alla terra da vincoli di lavoro e di affetto. Fede nella Parola di Gesù, fede nei valori della condivisione e della responsabilità.

Però, è interessante un ulteriore approfondimento su questa figura di Santo, fondatore del primo monastero in Occidente. Per noi Veneti è di straordinaria importanza ricordare la storia di questo Santo, che ora brevemente riprendo parlando di Venanzio Fortunato da Valdobbiadene, scrittore del sesto secolo che scrive la biografia di San Martino verso il 560. Ebbene, Venanzio e un suo amico, certo Felice di Treviso, si recano in pellegrinaggio a Ravenna, cammin facendo ambedue si ammalano agli occhi, la fede li porta nella chiesa di San Giovanni a Ravenna dove nella cripta c’è una lampada a olio che arde davanti a una statua di San Martino, loro si ungono gli occhi con l’olio della lampada e miracolosamente guariscono. I due ritorneranno, quindi, nel trevigiano e si faranno promotori della venerazione del Santo vescovo di Tours. Felice, successivamente diventerà vescovo di Treviso.

Ecco spiegato in modo semplice e storicamente fondato il grande impatto di San Martino nella fede e nella cultura delle persone dedite alla coltivazione dei campi e all’allevamento degli animali.

Nel nostro Veneto è invocato anche come protettore delle mamme in attesa, proprio in ricordo di quel miracolo famoso citato, oltre ad essere titolare di centinaia di chiese sparse su tutto il territorio dal Polesine al Bellunese, infatti a san Martino è dedicata anche la diocesi di Belluno.

Ma non è finita qui la storia di San Martino, continua con recenti acquisizioni d’archivio nelle quali si riporta l’azione di tutela svolta da questo Vescovo nei confronti dei contadini del tempo, avendo elaborato una specie di contratto di mezzadria ante litteram tra proprietari terrieri e lavoratori della terra.

Nel nostro costume veneto e nella nostra tradizione agricola, famose e tristissime sono ancora oggi nella memoria le migrazioni dei mezzadri che a fine campagna agricola, proprio a cavallo di San Martino, lasciavano la casa e la terra che avevano coltivato, per spostarsi presso un’altra campagna di un altro proprietario per ricominciare daccapo una nuova ardua fatica, e lo spostamento avveniva portandosi dietro la famiglia e le poche suppellettili su di un carro trainato da una mucca e a piedi portando a spalle quanto non ci stava sul carro.

È utile riflettere, oggi, in questo Veneto, locomotiva ancora trainante dell’economia nordestina, quali e quante fatiche e quali insegnamenti ci hanno lasciato i nostri vecchi e le nostre vecchie, quanto coraggio e quanta fede hanno avuto per reggere le avversità, che solo a pensarci fanno venire i brividi.

Gianfranco Trabuio