Salute: un governo nazionale a fari spenti

di Giovanni Faverin

Le responsabilità diffuse di un ventennio caratterizzato dalla mancanza di visione. L’analisi critica e le proposte operative per rimettere in carreggiata il modello veneto.


Sottoporre il sistema sanitario ad una diagnosi accurata, oggi significa partire da alcuni dati strutturali che non consentono divagazioni politiciste, bensì assunzione di un atteggiamento critico e consapevole dei rischi di involuzione e, per certe funzioni, di inadempienza, quando non dissolvenza, di prestazioni che dovrebbero costituire i cardini costituenti del Servizio e i diritti fondamentali dei cittadini. Si pensi solo alla rarefazione della ‘Medicina di famiglia’ (MMG), alle famigerate Liste di attesa (infinite), ai buchi neri nella Rete Socioassistenziale territoriale per fronteggiare patologie sempre più gravi e diffuse.

  1. Esiste un’evidente ed incontestabile sottofinanziamento del FSN di circa 1, 2 % del Pil rispetto ad altri paesi europei con i quali è necessario confrontarsi: Francia e Germania in primis.
  1. Si manifestano in modo generalizzato consistenti aree di sottorganico anche in conseguenza delle politiche di razionalizzazione della spesa.
  1. Dal 2010 è in vigore il blocco della spesa pubblica sui costi del personale da assumere e ciò ha determinato una progressiva esternalizzazione dei Servizi essenziali con il conseguente aumento dei costi per la gestione delle gare d’appalto (a ribasso) e utilizzo di personale dipendente da Imprese private.
  1. Il sostanziale blocco dei contratti pubblici del personale per 8 anni ha provocato una consistente perdita di valore della retribuzione di tutti i lavoratori con l’effetto inevitabile sia di disaffezione degli Operatori in servizio che di caduta di attrattività per molte professioni sanitarie.
  1. I processi di riorganizzazione hanno determinato un vero e proprio ‘razionamento’ dei posti letto arrivati a 3,2 per 1000 abitanti quando, per fare l’esempio di un Paese con cui il confronto è diretto, la Germania può contare su 8 posti letto per 1000 abitanti.
  1. La Spesa sociale in Italia arriva a circa lo 0,7% del Pil mentre sempre in Germania al 2,8 e la media Ue al 2,5.
  1. Il decentramento del Servizio Sanitario alle Regioni è avvenuto senza una rigorosa definizione dei confini e delle responsabilità, creando dei vuoti normativi e di capacità di intervento che il Covid 19 si è incaricato di mettere drammaticamente in luce.

Il modello regionale veneto dopo la riforma delle legge n. 19 del 2016

Nel contesto che è stato sommariamente delineato, nell’ambito del Veneto, vanno analizzati e compresi gli effetti sistemici generati sul modello organizzativo di gestione, a partire dalla Legge regionale di riforma che ha inciso profondamente e persino stravolto l’intero apparato.

  • La riduzione del numero delle Aulss si è dimostrata una operazione molto complicata, ricca di insidie e contraddizioni.
  • L’intervento organizzativo sui ruoli apicali ha allungato la catena di comando ed allontanato i poteri decisionali dai luoghi di insorgenza delle criticità.
  • Sono state azzerate le strutture che rappresentavano esperienze storiche virtuose, ovvero realtà più efficienti ed efficaci nella gestione dell’offerta, operando nel contempo la commistione di Territori troppo diversi per tipologia di bisogni, di modelli culturali e di esperienze professionali e dirigenziali consolidate.
  • L’equilibrio di bilancio è stato raggiunto, ma è stato reso possibile attraverso un’insostenibile riorganizzazione dei carichi di lavoro necessitati dalla progressiva riduzione degli organici: meno 1500 medici, meno 8.000 tra infermieri e altri professionisti sanitari, tecnici, educatori etc., meno 2000 operatori socio-sanitari
  • Il ruolo dei comuni è stato di fatto estromesso dal governo di un fondamentale servizio pubblico. Si è agito come se la voce e la rappresentanza dei cittadini non contasse nulla rispetto alla funzione di raccolta delle domande sociali emergenti nel territorio. Si è fatto strame dell’esperienza storica veneta di integrazione socio-sanitaria che dagli anni ‘80 al 2000 aveva consentito di costruire una collaborazione economica, organizzativa e professionale che costituiva una grande Rete di prevenzione e presa in carico dei bisogni generalmente intesi, riguardante tutta la popolazione, dall’età evolutiva agli anziani , dalla scuola al lavoro, dalla famiglia alla comunità nel suo insieme.
  • Dagli anni 2000 in poi nel Veneto la centralità strategica di integrazione sociale, sanitaria, socio assistenziale è stata di fatto ridimensionata sia come vision che come dotazione di personale e costruzione di competenze dirigenziali ottimali. Con questa scelta deleteria si è causato anche un sovraccarico lavorativo in ambito sanitario, si sono determinate disfunzioni organizzative e gestionali, si è creato un clima ambientale scoraggiante con effetti negativi conseguenti riscontrabili nella mancanza di attrattività professionale e di collaborazione interistituzionale.

Cosa ci ha insegnato l’emergenza pandemica

…e poiè intervenuto il periodo in cui un sistema regionale indebolito ha dovuto fronteggiare il Covid, evidenziando, in modo drammatico, i limiti di una operatività frammentata, conseguenza inevitabile del deficit di pianificazione strategica e di un presidio territoriale abbandonato.

E’ pertanto diventato indifferibile un intervento di riorganizzazione complessiva che preveda un maggior coordinamento tra Sanità-ospedale e gli altri servizi della filiera socio-assistenziale e socio-sanitaria compresi quelli riconducibili ad una funzione socio-educativa.

All’interno di una tale nuova governance, nel Territorio occorre dare un nuovo impulso al processo di integrazione e coordinamento, proprio a fronte di una acclarata ‘fragilizzazione’ del welfare familiare con il decadimento della capacità di aiuto informale da parte delle reti familiari.

Il moltiplicarsi dei bisogni socio-assistenziali e sociosanitari ha messo in evidenza le conseguenze di un deficit grave di integrazione e coordinamento tra operatori e tra categorie di interventi e tra istituzioni diverse, ma tutte necessitate di un orientamento condiviso: Aulss, Comuni, Ipab e Case di riposo, Scuole, Terzo settore, Volontariato ed Associazionismo diffuso.

Un pit stop per l’intero apparato dei servizi

Ora è quindi importante ed urgente valutare cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato dopo la riforma del Veneto del 2016 e soprattutto come avviare una discussione politica aperta ed inclusiva che consenta di cambiare indirizzi e modelli operativi nella nostra Regione. Questo anche attraverso la realizzazione degli Ambiti Territoriali Sociali (ATS), con il coinvolgimento dei cittadini, la partecipazione attiva dei Professionisti socio-sanitari e dei Sindaci, la co-responsabilizzazione delle Autorità scolastiche, del Terzo settore e della vasta platea delle Associazioni che operano nella presa in carico di molte fragilità sociali.

È possibile ed è necessario avviare una mobilitazione generale che può essere favorita dalla congiuntura storica, con l’arrivo nei territori delle abbondanti risorse del Pnrr, quale strumento ed occasione per orientare la co-progettazione e la cogestione di modelli organizzativi innovativi.

La nostra proposta pragmatica si sostanzia nell’affiancare l’iniziativa Nazionale per l’adeguamento/miglioramento del Servizio Sanitario (oltre che delle politiche in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), con una sollecitazione a livello veneto finalizzata ad un confronto con il Governo regionale sulle seguenti questioni:

  • accessibilità e tempestività nell’erogazione delle prestazioni;
  • esiti ed efficacia dei processi di innovazione organizzativa;
  • trasparenza dell’informazione relativamente ai dati epidemiologici ed a quelli riguardanti la comunicazione interna al sistema sanitario e nel rapporto con i cittadini,
  • valorizzazione delle dinamiche sociali, relazionali ed istituzionali tra Rappresentanze amministrative del territorio, Realtà sociale, ATS, Distretti, COT e Medici di famiglia;
  • mantenimento della provincializzazione ospedaliera;
  • realizzazione di una nuova territorializzazione socio-sanitaria, socio-assistenziale e socio-educativa capace di rispondere fattivamente all’aumento dei disturbi in età evolutiva attraverso una adeguata azione preventiva e di sostegno alla genitorialità fragile;
  • garanzia della continuità assistenziale, visto l’aumento dei bisogni degli anziani, con adeguata personalizzazione del servizio, adeguamento delle tecnologie telecare, tele healt, smart home mobility, innovazione della gestione organizzativo professionale e conseguente adeguamento delle competenze;
  • superamento della standardizzazione e rigidità dei servizi socio assistenziali, rispondendo alla sempre maggiore eterogeneità e complessità dei bisogni di cura e assitenza con adattabilità, flessibilità e integrazione operativa, con nuove forme di organizzazione, favorendo l’intersettorialità ed integrazione dei servizi (ambito sanitario, ambito sociale, lavoristico, giuridico, educativo, ed abitativo).

Giovanni Faverin