PD veneto: le radici culturali della propensione all’eutanasia


Ritorno sulle Elezioni regionali venete a qualche giorno di distanza dallo spoglio delle urne: dopo aver pubblicato profezie infauste e veritiere (Un Veneto senza guida, 3 settembre) e giudizi sferzanti (AVariati ed umiliati, 23 settembre), è tempo di un’analisi più pacata ed equilibrata.

Non ci proponiamo una riflessione politologica bensì un esame crudo e senza sconti dei fatti che nel corso dell’ultimo lustro hanno delineato sentimenti ed azioni di una propensione all’eutanasia.

La disastrosa sconfitta del Pd veneto, travolto dall’esercito di Luca Zaia, privo di un argine del Piave a cui attestarsi, può essere affrontata con la protervia di Cadorna (“la disfatta è figlia della scarsa combattività di alcuni reparti”), oppure andando alla radice di quella che rischia di apparire una estraneità quasi antropologica del Centrosinistra in questa nostra comune terra amata, laboriosa, resiliente.

Come ha ricordato Paolo Giaretta in un suo intervento, appare troppo facile scaricare adesso le colpe sul candidato Presidente, la cui inadeguatezza, confermata dall’accusa di scarsa combattività che questi ha rivolto al Pd, era nota prima della scelta improvvida di candidarlo.

Bisogna ammettere che quasi sicuramente, nelle condizioni date e senza una adeguata valutazione e preparazione, alla stessa sorte sarebbe stato condannato qualsiasi altro candidato dell’ultima ora, perché esistono ragioni profonde che hanno portato alla progressiva emorragia di consensi al Pd ed al Centrosinistra nel suo insieme, sino al collasso finale.

Si può dire che l’ultimo candidato degno di questo nome ed all’altezza del compito affidatogli sia stato Massimo Carraro, che ha rappresentato il tentativo dello schieramento democratico-riformista veneto di ancorare una candidatura ad una lettura di cosa rappresentava il Veneto e di quali risposte esso rendesse necessario dare.

Non a caso si è trattato del punto più alto toccato del centro sinistra veneto degli ultimi vent’anni.

Dopo quella esperienza ‘significante’ la Politica a sinistra ha perso la sua presa ed al posto delle analisi e delle scelte richieste ai Responsabili del Partito in funzione di una lucida comprensione della realtà regionale, è subentrato il piccolo cabotaggio fra Dirigenti territoriali ed eletti in Enti locali e Parlamento, indifferenti al progressivo rarefarsi della base associativa e legittimazione sociale, ed animati esclusivamente dalla preoccupazione di conservare i panniccelli caldi delle acquisite posizioni di rappresentanza, comando, rendita ed anche, per taluni, reddito corrente.

Con l’avvento di Matteo Renzi alla Segreteria nazionale, poi, è subentrato nella periferia veneta un diffuso sentimento di remissività che comportava l’attribuzione della designazione del Segretario regionale ai compiti ed al potere esercitati nelle stanze del Nazareno.

Oppure, successivamente, si è pensato che essa dovesse essere ‘partorita’ nei conciliaboli interessati dei presunti capi bastone, mossi dalla preoccupazione di scegliere figure minori, non in grado di emergere con una propria forte personalità in grado di imprimere una svolta energica alla gestione del partito.

Su questo aspetto ritorno più avanti.

Una rassegnata resa culturale

Contestualmente all’atrofizzazione politico-organizzativa quindi, è subentrata una rassegnata resa culturale e politica alla vulgata leghista che per ondate successive ha iniziato a scendere baldanzosa dalla Pedemontana per arrivare ad insidiare i governi ed il sentiment democratico delle città a cui era sempre stata estranea.

La stessa sconfitta alle elezioni comunali di Venezia dei giorni scorsi, nonostante la generosa e vivace mobilitazione promossa da Pier Paolo Baretta, che ha cercato di riconnettere persone e gruppi sociali orfani delle divisioni interne, testimonia il progressivo arretramento, senza linee del Piave, di un Partito afasico, che è sembrato incapace di sintonizzarsi e parlare ai suoi elettori, alla sua costituency, alla sua comunità.

Il 76% di Zaia, e l’11% del Pd possono essere ricondotti ad una molteplicità di ragioni, quali la inesistente lettura politica, sociale ed economica del Veneto da una parte e la guerra politica interna al Pd che ne ha minato la capacità di tenuta.

Il Covid, ha solo esaltato una tendenza che era in atto, incidendo probabilmente per qualche unità percentuale, che però non intacca il significato complessivo della debordante vittoria di Zaia e della resa del Pd.

Fra la molteplicità di cause che concorrono alla disfatta, la questione dell’Autonomia meglio di qualsiasi altra spiega il cedimento culturale, prima ancora che politico, della dirigenza del Pd veneto e la deriva che ne è seguita.

Parlo di cedimento culturale perché il Pd si è ritrovato, privo di proprie chiavi di lettura e subalterno alla seducente narrazione leghista, ad assumere pedissequamente le tesi indipendentiste professate spudoratamente dal Presidente del Veneto che nel settembre del 2017 si immaginava come un Puigdemont nostrano.

Una prima arrendevole caduta avviene nel giugno 2014, nonostante siano evidenti la strumentalità ed il significato politico di un dibattito politico sull’Autonomia aperto ad appena 10 giorni dall’esplosione dello scandalo Mose, che aveva portato all’arresto di un Assessore in carica e di Giancarlo Galan di cui Zaia era stato vice.

Successivamente si manifesta una vera e propria sindrome di Stoccolma in occasione del referendum dell’ottobre 2017, non a caso indetto per il 22 ottobre, data evocativa che nel racconto leghista ricorda il plebiscito del 1866 di annessione del Veneto all’Italia, da molti esponenti leghisti narrata come una truffa.

L’indicazione del Sì critico, che consentirà a Zaia di superare il quorum e di far diventare l’Autonomia, come usa dire, ‘la madre di tutte le battaglie’, è quanto di più subalterno ed acquiescienza curiale si possa immaginare per un Partito che in questo modo si consegna mani e piedi all’avversario.

Il sì critico, come raccontano i Consiglieri regionali che in quella fine estate 2017 vivono il peso della scelta e l’incertezza sulla rotta da intraprendere, viene assunto, con la decisiva indicazione/benedizione dell’allora Sindaco di Vicenza Achille Variati, esperto nell’assumere le posizioni altrui, quando ritenute vincenti e in assenza di una propria elaborazione.

Si tratta di un orientamento che assume il significato di una dichiarazione di impotenza, di cedimento culturale senza condizioni, un’inettitudine tanto più grave nel momento in cui Luca Zaia sbanda vistosamente verso l’indipendentismo ed il rivendicazionismo fiscale dei 9/10 giustificato con la gigantesca fake dell’ingigantito ed immaginario residuo fiscale, e manipolando in modo truffaldino una questione che è seria e reale (ed all’origine della rivolta leghista ricordata in queste pagine dall’articolo di Ettore Bonalberti pubblicato nei giorni scorsi).

La campagna referendaria condotta all’insegna della trattenuta del residuo fiscale, come se la fiscalità generale riguardasse i territori e non invece le persone e le singole imprese, imprime una torsione che il PD finisce per assecondare, introducendo il tema di fatto della necessità di un fisco regionale senza più il filtro, se non per la residua parte del 10 %, della quota destinata allo Stato.

Anche oggi a chiunque veneto si chieda cosa sia l’autonomia la risposta che ci si sente dare è che essa corrisponde al diritto di “tenerci i nostri soldi”.

Una corrente residuale della ‘venetitudine’

Da quel momento il Pd, senza più una strategia, si consegna mani e piedi al nuovo Doge.

Diventa una correntina residuale del venetismo, anzi della ‘venetitudine’ richiamata dall’ex Assessore Roberto Marcato nell’intervista al Foglio di sabato 26 u.s.

Ed il voto alla Lista Zaia, come rilevato dall’Istituto Cattaneo, di una quota significativa di ex elettori Pd, conferma che se le idee fondamentali per il futuro del Veneto sono attribuite al Presidente veneto, in un tempo di liquidità postpartitica del consenso, diventa naturale votarlo direttamente anche da parte degli (ex) avversari.


A Dolo (VE), quasi 15.000 abitanti, Zaia ha preso il 70,5%, come pure le liste collegate. Lorenzoni il 20,9%, le liste collegate il 22%. Lo stesso giorno alle comunali il Sindaco di csx Alberto Polo è stato confermato con il 66,5%, mentre la lista con i simboli di Lega e Fratelli d’Italia ha conseguito il 33,5%. A Lonigo (VI), 16.500 abitanti, Zaia ha ottenuto il 77%, le liste collegate il 76%. Lorenzoni il 17,2%, le liste collegate il 19%. Lo stesso giorno le liste di csx (allargate, ma a guida csx) hanno ottenuto il 50,5%, scalzando al primo turno, senza necessità di ballottaggio, la maggioranza uscente (simboli Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) che aveva amministrato gli ultimi cinque anni.

Non solo; vista la marginalità del Pd nel discorso pubblico regionale, tale voto viene interpretato e ‘nobilitato’ come un argine alla minaccia salviniana antieuropeista che, come abbiamo visto nella citata intervista a Marcato, costituisce un bluff propagandistico assecondato o ritirato alla bisogna.

E’ così che il Veneto produttivo, che occupa posizioni rilevanti nei mercati internazionali, che intrattiene relazioni permanenti con il resto dei paesi europei, anziché incrociare il riformismo europeista del Pd, che in questi anni è stato l’argine alla deriva contro l’Europa ed il soggetto politico decisivo per la svolta del Next Generation EU trova in Zaia, che ha affiancato opportunisticamente il suo ‘Capitano’ nelle bordate antieuro ed antiMes, il campione che, paradossalmente, agli occhi dell’opinione pubblica locale meglio di altri può cambiare il segno del nostro stare in continente.

Altro aspetto che contribuisce alla progressiva uscita del Pd dai radar regionali, è la scomparsa dell’Opposizione politica in Consiglio Regionale, risucchiata, nonostante lo strapotere della Lega, o forse proprio in virtù di questa forza ostile, in un educato esercizio di appunti alle norme confezionate dalla maggioranza.

Recentemente l’ex segretario generale del Consiglio regionale Roberto Zanon scriveva, alla luce dei risultati ed alla conseguente magra presenza di 9 consiglieri su 51, sull’impossibilità di avere a disposizione strumenti regolamentari a tutela delle minoranze, e dunque sulla ulteriore difficoltà a svolgere il compito di qualsiasi opposizione che si rispetti.

Ed anche qui sarebbe da rileggere la disponibilità consociativa del PD, figlia legittima della tradizione del vecchio PCI, che qualche anno fa ha consentito la modifica regolamentare, privandosi, in nome della buona educazione istituzionale, di qualsiasi strumento a garanzia delle minoranze.

Le fratture politiche a Sinistra

Il crollo elettorale veneto, anche se finora da più parti si è preferito fare finta di nulla, rimuovendo le cause profonde che hanno prodotto il risultato, trova cospicue ragioni anche nelle linee di frattura politica createsi a Sinistra, mai ricomposte, generatesi in occasione delle elezioni comunali di Venezia del 2015 e prima di Padova del 2014 (tradizionali roccaforti dell’insediamento democratico).

Esse hanno visto come ‘agente’ una parte del Pd che ha assecondato e coltivato, attraverso un uso distorto delle Primarie, immiserite a rese dei conti interne, le divisioni che si sono risolte nelle successive sconfitte nelle città coinvolte.

Il dato di fondo è che l’esito divisivo di quella stagione non è mai stato affrontato politicamente e continua a produrre effetti.

La scomparsa del dibattito, di quello che in passato era il confronto politico, che a partire dalle analisi giungeva alla proposta da sottoporre ai cittadini elettori, è stato sostituito dalla scelta della scorciatoia che svuota i contenuti programmatici e le opzioni valoriali, surrogati dalle diatribe tra gruppi correntizi, affannati a contendersi in una guerricciola simulata esclusivamente nomi e candidature.

La politica insomma soppiantata dal protagonismo sterile delle persone che la interpretano.

La sconfitta alle regionali del 2015 e la querelle sul Segretario regionale

La sconfitta del centro sinistra del 2015, come nelle migliori più recenti tradizioni, attribuita al candidato Alessandra Moretti, ha prodotto un lungo stallo nella leadership del partito che per più di un anno e mezzo è rimasto congelato e svuotato.

Nella situazione di paralisi, l’unico tentativo politico di avviare una riflessione e un confronto con la società veneta per provare a produrre una rigenerazione del Pd è quello avviato da Giorgio Santini a Praglia.

La lungimirante iniziativa, che pure aveva suscitato interesse e qualche timido entusiasmo, viene vista con sospetto, sopratutto in terra vicentina, fino ad arrivare a stroncare la candidatura a Segretario regionale del suo promotore.

Ancora una volta è prevalsa la paura che un nuovo albero con potenzialità di crescita, potesse alla lunga fare ombra.

Ebbi modo di partecipare al Seminario di Praglia ed in quell’occasione espressi il commento (positivo) che riporto integralmente:

UN REFOLO DI LEOPOLDA PER RIGENERARE IL PD VENETO.

Quella andata in scena a Praglia ieri (sabato 26 settembre) ha costituito una “prova tecnica” di connettere il Partito Democratico veneto, ancora scosso dall’autentica scoppola presa alle Regionali, al progetto riformista che Renzi, nella veste di leader nazionale e Presidente del Consiglio, sta tentando di realizzare in un Paese debilitato da alcuni decenni di governabilità debole, lenta e contraddditoria nelle scelte di risanamento finanziario, liberalizzazione economica, riorganizzazione amministrativa-istituzionale e del welfare. Il tentativo è partito dal Monastero nel segno della sobrietà e della ricerca di una visione programmatica realistica, in grado di misurarsi sia con i nodi strutturali dell’economia regionale – messi a fuoco nella lucida relazione di Giancarlo Corò – che con il sentiment dei veneti – ben illustrato da Luca Romano nel commento a due sondaggi realizzati su Buona Scuola ed Emergenza Profughi. Va sottolineato che le due relazioni seguite con maggior interesse sono state quelle di Paolo Feltrin ed Ivo Rossi e che in particolare a quest’ultimo è toccato il cruciale compito di delineare il quadro politico-istituzionale problematico in cui si inserisce il negoziato per l’Autonomia. Il senso dell’iniziativa ed il percorso progettuale, che incrocerà necessariamente la scadenza congressuale, accelerata dalle dimissioni del Segretario regionale Roger De Menech, sono stati illustrati nella presentazione di Giorgio Santini che ha esortato all’impegno per “dispiegare l’energia innovativa e superare gli atteggiamenti da separati in casa” (alludendo alle persistenti fratture anche in ambito regionale) e nel documento elaborato da Paolo Giaretta, nel quale si insiste sul fatto che il rinnovamento del Partito comporta “non una convivenza pigra, noiosa e risaputa, ma un luogo a cui rivolgersi per essere aiutati a comprendere….in cui si sia capaci di far convivere passione e ragionamento”. Il dibattito e lo stesso intervento della ministra Maria Elena Boschi hanno confermato che il progetto trova un buon grado di consapevolezza nella base e di condivisione nel vertice nazionale del Partito: due precondizioni incoraggianti per dare continuità al lavoro di elaborazione, discussione e partecipazione diffusa che rappresentano non solo un’esigenza interna di “rigenerazione”, ma soprattutto – in questo la sottolineatura espressa nel suo intervento da De Menech è corretta – una “procedura” che deve intercettare le domande di futuro dei cittadini veneti, ai quali la leadership leghista di Zaia e Salvini sta offrendo solo una prospettiva politica caratterizzata dalla chiusura autarchica, dal rancore e da un atteggiamento oppositivo nei confronti dei processi di cambiamento necessari avviati dal Governo Renzi.

A Santini viene preferita una figura, Alessandro Bisato, stimato Sindaco di Noventa Padovana, in quel momento priva di esperienze regionali, ma ritenuta dai maggiorenti ‘di garanzia’ non tanto per il rinnovamento necessario bensì di (presunta) più facile manovrabilità.

Con tale scelta veniva confermato che si preferiva, più che puntare alla condivisione di un progetto di forte discontinuità e sviluppo, a individuare una personalità su cui si presumeva di poter esercitare ammiccamenti opportunistici e condizionamenti e finanche condannare ad un ruolo marginale la segreteria regionale.

In realtà il nuovo Segretario eletto attraverso le Primarie e quindi con una legittimazione incoraggiante, ha dovuto subire la disarmante ‘pressione’ di una situazione finanziaria fallimentare e di un quadro organizzativo penoso, reso indecente dalle gestioni locali autoreferenziali e restie ad accettare processi di integrazione e sinergia operativa.

In alcuni casi poi le segreterie provinciali e cittadine sono state affidate a sconosciute figure di scarsissima caratura, ma funzionali a far giocare le partite ai propri padri putativi.

Sicchè il generoso e volitivo Bisato arrivavo all’incarico con l’esperienza di un neofita, ma con l’entusiasmo e l’energia collaudati dall’esperienza di Sindaco, si è trovato ingabbiato oltre da diffidenze diffuse, dalle difficoltà obiettive, ovvero dal ‘primario’ compito di dedicarsi interamente alla cura di un malato grave, a rischio collasso, economico e politico.

In un’intervista al Gazzettino del 25 u.s., Alessandro ha parlato con franchezza della sua esperienza horror.

Da un lato attribuendosi la responsabilità “di aver mediato all’indicibile con chiunque in questi tre anni. Fossero poi sensibilità politiche, avrebbero portato un ‘di più’ alla discussione, invece ho dovuto fare i conti solo con i personalismi”.

Dall’altro denunciando, senza fare nomi e cognomi, “le faide dentro al partito che hanno prodotto all’esterno la visione di una comunità lacerata e divisa, (….) logorata da qualcosa di strisciante e sotterraneo. Più che una tendenza, direi proprio una volontà di farsi del male. Io sono stato chiamato dopo la sconfitta di cinque anni fa e sono arrivato con la voglia dell’uomo libero che nelle istituzioni riusciva nel suo piccolo a interpretare pezzi di società oltre il ristretto argine di quelli che ‘stanno dentro’. Invece (nel partito) non siamo mai riusciti a far entrare aria nuova”.

Infine esortando “ad una ricostruzione non dei ruoli, ma della cultura politica e dei riferimenti ideali del Centrosinistra veneto”.

Alla luce della stessa diagnosi del suo Segretario regionale, l’esito del voto ha testimoniato che non è mai una buona pratica quella di giocare con il freno a mano tirato quando si tratta di scegliere la leadership e soprattutto quando è necessario coadiuvarlo per lo sviluppo di un’Organizzazione.

La trama della candidatura Lorenzoni

Purtroppo la metodologia autolesionista è stata adottata anche quando si è proceduto nella scelta del candidato Presidente, in cui sono state stroncate le candidature di Stefano Fracasso e dello stesso Giorgio Santini, entrambi vicentini che, nella logica della luce e dell’ombra, avrebbero potuto diventare figure troppo ingombranti.

E in questo clima, anche il Segretario regionale, da quanto ci risulta, ha la responsabilità di aver subito le indicazioni platealmente suggerite al suo orecchio in occasione della Direzione regionale, da parte della Consigliera risultata più votata in Provincia di Padova.

Cosicchè, fatto mai accaduto in precedenza, la candidatura a Presidente, quella che porterà alla scelta di Arturo Lorenzoni, matura in casa padovana, ad opera dell’ex segretario provinciale Massimo Bettin, il quale ritiene di poter risolvere le tensioni crescenti in città tra il viceSindaco (lo stesso Lorenzoni) ed il sindaco civico Sergio Giordani, con la ‘pensata’ della candidatura alla elezioni regionali, ovviamente all’insegna della retorica del civismo e del sardinismo montante.

Tra parentesi dobbiamo annotare che il 32% raccolto dall’ex vicesindaco nella sua città, nella quale il Centrosinistra è maggioranza, suona paurosamente come una sirena di allarme in vista delle elezioni del 2022, sirena che sarebbe colpevole fingere di non sentire, preferendo dedicarsi alle solite trame.

Candidatura, aggiungiamo, che non avrebbe potuto trovare accoglienza se non ci fosse stato il via libera del ‘Monsignore’ di Vicenza e dei Sottosegretari veneziani.

Sul significato e sulla credibilità di quella candidatura, oltre alle decisive parole pronunciate in occasione della Direzione regionale di investitura (ricordate da Stefano Fracasso in una bellissima analisi su Venezie post), basti leggere l’intervista rilasciata ai quotidiani veneti da Achille Variati che ad una settimana dal voto riesce nell’impresa di parlare di elezioni senza nemmeno citare il candidato presidente da lui fortemente voluto e indicato alla Direzione regionale come la chiave di volta per il successo in Veneto (ma su questo ci siamo già espressi e rinviamo quindi al sopracitato articolo su ‘AVariati ed umiliati’).

Un’ultima riflessione suggerita da quest’ultima vicenda è quella riguardante lo stato di salute dei livelli territoriali del Pd.

Siamo consapevoli che essa debba essere affrontata con estrema delicatezza e con una precisa conoscenza delle relazioni e delle dinamiche locali, e quindi ci limitiamo alle annotazioni essenziali, per segnalare che:

  1. le Province di Belluno e Rovigo hanno confermato una posizione marginale nel dibattito politico regionale;
  1. a Treviso l’uscita di scena di Laura Puppato e la dipartita verso la propria lista autonoma di Simonetta Rubinato, hanno ‘semplificato’ e nello stesso tempo impoverito il confronto, lasciando a Giovanni Tonella (peraltro Presidente regionale del Partito) il compito di una mediazione prudente che ha però sottovalutato il carattere dirompente della esternalizzazione del candidato Presidente;
  1. la Provincia di Verona ha visto il Pd continuare nella propria traiettoria solitaria, senza esercitare alcun peso politico; dopo la stagione di Gustavo Franchetto, i suoi rappresentanti sono stati attratti da altre orbite di interesse politico;
  1. ne discende che quattro strutture deboli hanno assegnato la funzione di baricentro delle dinamiche di potere del Partito in Veneto alla ‘coppia’ Padova & Vicenza, con un ruolo ancillare di Venezia irrimediabilmente orfana di Massimo Cacciari.

Segnali ed obiettivi di cambiamento

Preso atto di questo quadro desolante, che naturalmente dovrà essere integrato e corretto dalle conoscenze ed esperienze dirette dei malcapitati protagonisti che hanno interpretato ruoli primari nella governance del Partito e che, come abbiamo già sottolineato in un precedente articolo, sono sollecitati a rivisitare criticamente i loro comportamenti rimettendosi in gioco in quello che è già oramai un Congresso aperto, diventa anche necessaria la disanima delle risultanze della campagna elettorale, non sotto il profilo numerico (archiviato come catastrofico) bensì per quanto attiene i segnali provenienti dai candidati che hanno partecipato alla competizione ed in particolare di quelli che ‘ce l’hanno fatta’, avendo uno sguardo ampio e profondo sul significato e sulle prospettive delle loro performance.

Su tutti spicca naturalmente l’affermazione del giovane Giacomo Possamai, che non ha avuto bisogno di padrini ed ora dovrà dimostrare di saper mettere a disposizione di un’Organizzazione debilitata il carisma, le competenze e la capacità di comunicazione di cui ha dato prova.

Ci sembra opportuno poi ricordare anche il risultato di Vanessa Camani che nella competizione interna per le preferenze, è riuscita ad ‘azzoppare’ il Segretario regionale e con ciò affermarsi ed accreditarsi come il capocorrente più affidabile per l’aggregazione e la rimpatriata di ex scissionisti ed ‘orfani’ (che riconoscono democraticamente il Segretario soltanto se è ‘dei loro’).

Cristina Guarda poi ha confermato di essere un punto di riferimento riconosciuto per il vivace mondo ambientalista, mentre Claudio Beltramello, pur non eletto si è segnalato per una straordinaria competenza che si rivelerà fondamentale sulla questione decisiva delle riorganizzazione del sistema sociosanitario.

Mi piace inoltre citare Stefano Tigani, candidato di Italia Viva, anche lui non eletto, che ha immesso nella campagna elettorale una freschezza di contenuti e di stile mentre – sempre nel suo stesso collegio di Venezia – è stata rieletta Francesca Zottis che ha confermato il suo radicamento in una realtà territoriale, punto nodale di tensioni e contraddizioni esplosive.

In questa carrellata è giusto segnalare che, nonostante non sia stato coinvolto direttamente nella competizione, Stefano Allievi vi ha partecipato con i suoi interventi sui social e con gli editoriali sul Corriere del Veneto, dando un contributo politico-culturale raffinato e sempre focalizzato sui temi cruciali della campagna elettorale.

Infine, last but not least, l’indomita Simonetta Rubinato che con la sua lista ‘Veneto per le autonomie’ ha voluto confermare la sua visione federalista, sperimentata – bisogna ricordarlo – in qualità di Parlamentare del Pd, e dimostrare che la demagogia e la propaganda leghista vanno affrontati in campo aperto.

Si tratta a ben vedere di segnali di fumo, ma il fuoco vero che bisogna accendere è quello di un Partito ricostruito dalle fondamenta organizzative e, come giustamente sottolineato dallo stesso Bisato, rigenerato sul piano etico-culturale, ma soprattutto connotato dalla visione e dal vissuto della dimensione comunitaria, intesa come la vera cifra per imprimere una discontinuità nel fare buona Politica.

Sul nuovo orizzonte strategico che deve darsi la Politica democratico-riformista rinvio al mio articolo sul ‘Il monadismo dei leader democratici nella stagione di un riformismo immaturo’.

Piuttosto ritengo opportuno aggiungere qualche considerazione conclusiva sul ‘Programma di lavoro’ che dovrà essere al centro dell’agenda che dovrà essere affrontata e discussa nell’annunciata Direzione regionale del PD, indicando alcuni punti che considero prioritari sia per misurare la tempra dei Dirigenti che si candidano a guidare il Partito e la linea politica strategica che deve essere adottata per un effettivo rilancio dello stesso:

a) assunzione della consapevolezza del deficit di rappresentanza in tutto il Nord, come ha riconosciuto in una recente intervista Gianni Cuperlo. I Rappresentati regionali del PD veneto debbono focalizzarcisi seriamente, interrogandosi sulle ragioni e sui programmi che nella stagione renziana avevano alimentato attese, speranze (e amplissimo consenso) del ceto medio produttivo e professionale nella nostra Regione che deve ritornare a diventare un ancoraggio sociale fondante per la rigenerazione del Partito.

P.S.: ai Sottosegretari ed ai Consiglieri/e eletti (veneti) che si ‘gasano’ per le vittorie al Sud, è consigliato vivamente di valutare che l’asse Nazareno-Meridionale di gestione del Partito e la prevalenza strategica delle politiche assistenzialistiche, possono decretare l’estinzione della Rappresentanza Democratica Veneta per il venir meno della sua ‘ragione sociopolitica e culturale’.

b) Elaborazione immediata di un documento strategico sull’Autonomia da parte di un Gruppo di lavoro che marchi una discontinuità progettuale con la stagione infausta del ‘Si critico’ ed inchiodi Luca Zaia sulle sue contraddizioni irrisolvibili.

c) Piano di radicamento ed interlocuzione nella vasta realtà sociale e politico amministrava del Civismo.

d) Piano di azione per il rilancio del progetto ‘Veneto sostenibile al 100’ .

e) Programma di sviluppo culturale con l’avvio di un rapporto di collaborazione con Gruppi, Associazioni ed Enti che ‘Generano e condividono conoscenza’

f) Ponte Veneto – Europa in collaborazione con degli Europarlamentari.

g) Rilancio del Gruppo di lavoro sul sistema sociosanitario.

h) Piano per la Ricostruzione del Centrosinistra veneto attraverso il confronto e la cooperazione con tutte le formazioni della diaspora democratica e le forze protagoniste della mobilitazione sui temi del federalismo e dell’ambientalismo.

i) Ricerca e formazione sull’identità culturale della Sinistra veneta, a partire dal recupero della memoria storica dei protagonisti che hanno generato ed alimentato il sentiment democratico ed il federalismo antropologico a partire dall’Unità d’Italia.

l) Avvio di un sistematico e permanente confronto con l’Associazionismo imprenditoriale, sulla base di una visione antropologico-culturale positiva della funzione dell’iniziativa privata intesa come quel complesso meccanismo di motivazioni e stimoli che porta alla innovazione e quindi alla crescita economica e civile.

Dino Bertocco


Appendice

  1. #ilvenetochevogliamo – settembre 2014

Idee, protagonisti, strumenti per una nuova narrazione e la rigenerazione etico-civile della nostra Regione (con il PD)

  1. Salviamo il soldato Roger (e rigeneriamo il PD veneto), 28 febbraio 2016
  1. Congresso PD: Aria e idee nuove, dai circoli al Nazareno. Rassegna dei valori, temi e dilemmi sfidanti per la sinistra contemporanea, aprile 2017
  1. E’ tempo di s-Legare il Veneto e di un Rinascimento etico-politico.
    Il progetto di una maggiore autonomia nell’alveo culturale della sussidiarietà e del pragmatismo, superando le amnesie storico-politiche ed il venetismo populista, ottobre 2017
  1. L’Autonomia presa sul serio. (Veri) profili finanziari e procedurali alla base di una maggiore autonomia regionale in Veneto. Gianfranco Cerea – Università di Trento, novembre 2017
  1. Il sentiment democratico dei veneti sospeso tra le suggestioni Amish del Leghismo ed il monadismo della (attuale) dirigenza Pd, 18 marzo 2018
  1. Pd 4.0 – Piattaforma per un Partito del coinvolgimento e della partecipazione (#ilvenetochevogliamo), settembre 2018
  1. Zaiazione o dell’avvelenamento dell’opinione pubblica veneta (con la complicità dei media locali e dei cortigiani di Palazzo Balbi), novembre 2019
  1. Il canto del cigno, un’anatra zoppa ed i gattini ciechi della sinistra subalterna, settembre 2020
  1. Il monadismo dei leader democratici nella stagione di un riformismo immaturo, settembre 2020
  1. Avariati ed umiliati, settembre 2020