Quell’idea forte di Bisaglia ed il camaleontismo dell’inconsapevole epigono

di Ettore Bonalberti

Eravamo agli inizi degli anni’80 e nella DC veneta non ci si capacitava del fenomeno leghista che, da alcuni anni, era apparso in molte realtà della fascia pedemontana, quella in cui la DC aveva sempre ottenuto consensi con oltre il 50 % dei votanti. Responsabile dell’ufficio programma del partito regionale e direttore del giornale “ Il Popolo del Veneto”, organizzai il primo incontro informale tra DC e Liga veneta, con i fondatori Achille Tramarin e Franco Rocchetta nella sede regionale padovana del partito. Erano due giovani appassionati della storia e della lingua veneta, che mi offrirono una lezione della storia risorgimentale e del plebiscito con cui il Veneto fu annesso all’Italia, totalmente alternativa a quella da tutti noi studiata nei corsi regolari della scuola italiana.

Accanto a questa rivendicazione della lingua, della storia e dell’autonomia territoriale del Veneto, giungeva forte e chiara la voce del leader nazionale leghista, Umberto Bossi che, invece, parlava esplicitamente di ”secessione della Padania” e di guerra a “ Roma ladrona”. Un tema, quest’ultimo, che toccava la sensibilità e il portafoglio di quel ceto medio produttivo su cui la DC veneta aveva raccolto largamente il consenso, ma che era stanco di un sempre più stretto controllo dopo decenni di grande libertà fiscale. Con Bisaglia e il segretario regionale Francesco Guidolin decidemmo di costituire un gruppo di studio, di cui assunsi il coordinamento, con gli amici Proff. Enrico Berti, Ulderico Bernardi e Ferruccio Bresolin, per tentare di comprendere le ragioni principali che stavano alla base del nuovo orientamento elettorale dei veneti.

Da quel gruppo di lavoro emersero chiaramente le ragioni culturali e strutturali di quella nuova realtà politica: difesa della storia della Serenissima e della lingua popolare veneta, valore dell’autonomia locale e sofferenza patita per un’imposizione e controllo fiscale insopportabile dopo anni di “allegra fiscalità” e, soprattutto, sfiducia in un partito, forte nel consenso territoriale, ma debole nella rappresentanza governativa centrale nella quale poter far valere le ragioni del “popolo veneto”. Fu allora che il sen Antonio Bisaglia avanzò l’idea di un’organizzazione su base diversa e federale della DC, con la DC veneta che avrebbe potuto assumere le caratteristiche proprie della CSU bavarese, quella con cui Carlo Bernini teneva ottimi rapporti con il Presidente Franz Josef Strauss.

Ho fatto questa digressione storica per rilevare come l’idea di un “partito veneto”, in qualche maniera distinto e distante da quello centrale, fosse maturata, almeno tra i vertici della DC, quarant’anni fa. I travolgenti risultati nelle ultime elezioni regionali, che hanno assegnato al presidente Luca Zaia un’affermazione plebiscitaria che non ha eguali nella storia politica regionale veneta, m’inducono a riprendere questa riflessione su quell’idea di Bisaglia, che già alcuni anni fa con l’amico Domenico Menorello tentammo di riprendere in un seminario organizzato ad hoc con Flavio Tosi, allora sindaco leghista di Verona, astro nascente del partito guidato dal “Senatur”.

Mi ha favorevolmente colpito la risposta data a caldo da Zaia, a un giornalista che lo intervistava, chiedendogli come avrebbe potuto conciliare la pretesa di autonomia veneta con il superamento del divario esistente tra Nord e Sud. Zaia ha risposto prontamente ripetendo una frase di don Lugi Sturzo: sono unitario, ma federalista impenitente.

Alla fine, come ho sempre creduto ragionando sul caso veneto della Lega, è emerso il riferimento valoriale e culturale alle radici cristiano sociali di larga parte del personale politico dirigente di questo partito. Radici che, come nella DC, sono ben piantate sui valori dell’autonomia, della solidarietà e della sussidiarietà, ossia nella centralità della persona e dei gruppi intermedi, propri della dottrina sociale cristiana.

Una cultura che, oltre alla tradizione sturziana e degasperiana e di tutta la storia della DC veneta, è stata confermata anche da noi popolari e DC veneti quando, negli anni scorsi, sempre con l’amico Menorello e l’avv. Ivone Cacciavillani, giurista e storico cultore della nostra migliore tradizione storico politica, abbiamo avanzato l’idea della macroregione del Nord-Est o Triveneto, sul modello istituzionale indicato dal compianto prof Miglio, già docente alla Cattolica di Milano. Tenuto presente che nel voto regionale, in assenza di una nostra lista e, dunque, senza alcun punto di riferimento di diretta espressione cattolico democratica e cristiano sociale, i nostri elettori sono rimasti liberi di esprimere il loro voto secondo coscienza, ritengo, che la maggior parte di essi abbiano votato largamente per la lista Zaia.

Al di là di questa che, allo stato degli atti, potrebbe essere solo un’ ipotesi di studio, dal voto emerge un fatto politico di straordinario valore: il Veneto si è affidato alla persona di Zaia, ancor più che al suo partito, per il buon governo dimostrato e, soprattutto, per la sua volontà di autonomia, che resta una delle colonne portanti della nostra stessa cultura politica.

Di qui il ritorno di quel vecchio progetto del sen. Antonio Bisaglia, enunciato poco prima della sua prematura scomparsa. L’idea di una DC ridisegnata sul modello autonomistico della CSU bavarese. Un partito, cioè, forte dei suoi valori di riferimento e collegato strettamente alla sua realtà territoriale. Convinto come sono della diversità esistente tra l’impostazione politico culturale di Zaia e quella di Salvini (come ho scritto in un mio recente articolo “della Lega”), dopo aver condiviso col Presidente leghista del consiglio regionale, Ciambetti e i referenti provinciali della Lega nelle sette province venete, la comune adesione ai valori costituzionali, battendoci insieme per il NO alla “deforma costituzionale renziana”, ritengo che oggi il Veneto rappresenti una straordinaria risorsa per il Paese e con l’affermazione elettorale di Zaia si potrebbe sviluppare proprio qui un’esperienza politico culturale speciale sul modello della CSU bavarese, con un governatore di importanza e autorevolezza pari a quella del capo del governo nazionale. La vasta area cattolico democratica e cristiano sociale, oggi senza rappresentanza politica e istituzionale in regione e a livello centrale, potrebbe ritrovarsi ampiamente in un progetto politico di tale portata. Perché non provare a tradurre nella realtà questa che fu l’idea di Bisaglia?

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 23 Settembre 2020