Nordest: l’osservazione che arricchisce (e cambia) la realtà

(di Dino Bertocco)

Dizionario del Nordest

Il dizionario di Stefano Allievi ci regala la  visione e gli strumenti interpretativi di un territorio che continua a sorprenderci, ma ci deve interrogare di più (per migliorarlo)


Lo posso ben dire io, veneto ruspante che da adolescente ha dovuto fare i conti con la fame che tormentava la sua come molte altre famiglie e cercare (trovandolo) ristoro nella accogliente e tumultuosa metropoli lombarda degli anni ’60: solo un milanese curioso e meticoloso indagatore come Stefano Allievi era in grado di offrirci uno sguardo sincero, appassionato e – aspetto non secondario – disincantato della ‘cosmogonia’ nordestina, tale da suggerirci un supplemento di riflessione su certezze e disattenzioni nella sua osservazione. 

D’altronde l’intento dell’autore di ‘Dizionario del Nordest’ è dichiarato laddove ci esplicita che “L’idea è quella di provare a leggere il ‘fenomeno Nordest’ sì dall’interno, visto che ci vivo, e i miei figli ne sono figli, ma con lo sguardo di quello che non ci è nato, che viene da fuori, da altri mondi e altre mentalità, e non prova quindi alcuna fierezza antropologica, che rischia di essere sviante, né fa finta di esserne un prodotto tipico”.

Perché, diciamocelo senza velature: molte delle mirabolanti fotografie e selfie  che negli ultimi trent’anni hanno connotato le cronistorie con cui i media locali hanno decantato le magnifiche sorti progressive dei nostri territori erano  eccessivamente debitrici del fotoshop, della retorica sviluppista, di un autocompiacimento che se da un lato  rappresentava un giusto riconoscimento al salto quantico da economie e società arretrate del dopoguerra ai primati contemporanei  del Pil e della ricchezza prodotta e distribuita, dall’altro nascondeva sotto i tappeti la polvere di arretratezze e contraddizioni determinate da modelli di governance asimmetrici (Autonomia statutaria per due Regioni su tre) e, per quanto riguarda particolarmente il Veneto,  il progressivo abbandono di una qualsivoglia programmazione e visione strategica,  con conseguenze semplicemente disastrose per quanto attiene i costi sociali ed ambientali pagati al laissez faire, ovvero all’adozione della non-governance.

Ebbene, l’immersione da ‘immigrato’ curioso e da sociologo esigente e rigoroso, ha consentito ad Allievi di operare una lettura rispettosa, ma ineffabile di tre Regioni che seppur distinte hanno una matrice storico-culturale con molti tratti omogenei e traiettorie convergenti.

Non si può leggere il libro senza rimanere colpiti da una enorme  ‘documentazione’ (giustamente ci viene ricordato che le 34 voci annotate sono state espunte dal materiale raccolto per le diverse  centinaia di articoli pubblicati su tutti i quotidiani locali nel corso del tempo…) che evidenzia una autentica vocazione pedagogica ed una impagabile professionalità nel sottrarsi alle suggestioni descrittive e puntare viceversa sul  pragmatismo del ricercatore, usato  come efficace criterio di indagine che, di fronte alla ricchezza dei risultati ed agli interrogativi che essi sollevano, autorizzano l’autore a sollecitare con sobrietà e talvolta con ironia  la riflessività del lettore.

Sicuramente è stata attivata la mia, anche come occasione per riprendere ed approfondire criticamente alcune delle analisi su fenomenologie, la cui matrice storica ed antropologico-culturale è risultata sfuggente per alcune voci.

Mi spiego: è del tutto comprensibile che al ‘foresto’ Allievi appaiano esasperate ed esasperanti (sicuramente per me) certe pulsioni autonomistiche e narcisistiche che hanno attraversato il Veneto soprattutto nella stagione della ‘zaiazione’, ma esse in realtà, se non ci si fa distrarre dalle pennellate giornalistiche della ‘scuola’ di Giorgio Lago e dalle inferenze statistiche della ‘scuola’ di Ilvo Diamanti, si può verificare che l’indipendentismo venetista lungi dall’essere correlabile ad un progetto ‘federalista’ ha costituito dapprima una (legittima) manifestazione di invidia e gelosia nei confronti delle due Regioni cugine (Trentino AA e Friuli VG) e poi la domanda disperata ed inascoltata di uno Stato diverso (servizi pubblici più efficienti, meno tasse  e meno sprechi).

La conferma dell’apparente paradosso sta nelle ultime elezioni politiche, allorquando i veneti hanno effettuato un clamoroso contrappasso dal voto leghista a quello per i Fratelli coltelli italioti che più centralisti ed espressione della ‘Roma ladrona’ non potrebbero essere.

Alla voce ‘Autonomia’ si parla giustamente di ‘incantesimo’, di ‘terapia o sostanza priva di principi attivi’ che prefigurano ‘una truffa’ (pag.39); più avanti l’autore solleva sconsolato una domanda: “Ciò che sorprende nel dibattito, dunque, non è che se ne parli (di Autonomia, ndr): la rivendicazione è legittima. Ma che si parli quasi sempre vagamente, retoricamente. Mai che si vedano due tabelline di costi e benefici – vergate con numeri, non vaghe parole – da accompagnare al dibattito, che si spieghino bene i calcoli già fatti sulle conseguenze nei rispettivi settori”. (pag. 40)

Il fatto da rilevare, invece, è che una ‘tabellina miracolosa’ è stata diffusa a suo tempo per giustificare la rivendicazione autonomistica dei veneti: elaborata dalla CGIA di Mestre ed entrata ufficialmente nel Documento programmatico della terza candidatura di Luca Zaia alla Presidenza regionale,  essa illustrava, con un’abile manomissione del Bilancio dello Stato, un residuo fiscale a favore del Veneto di oltre 15 miliardi di euro. Un’autentica fake che è stata tranquillamente bevuta dai Direttori di tutti i Quotidiani e Media locali ed attraverso di essi divulgata ad un’opinione pubblica che si è convinta che l’unico leader in grado di vendicare l’ingiusta frode romana era proprio il propugnatore del Referendum (farlocco).

Questo per sottolineare che l’autorappresentazione della nostra Regione negli ultimi lustri è stata sottoposta ad una spaventosa torsione propagandistica ad opera di un manipolo di ‘Khmer verdi’ i quali si sono impegnati nella rimozione della memoria storica, ovvero nella cancellazione della cultura politica che aveva costituito il fattore decisivo del “peso politico nazionale del Veneto (..…..) dai peraltro altalenanti fasti democristiani della Prima Repubblica” (pag. 59): detto per inciso, non furono fasti altalenanti bensì l’inequivocabile e storica manifestazione di una classe dirigente locale non solo dominante in termini di consenso elettorale, bensì  protagonista decisiva dell’agenda politica nazionale (da Luigi Carraro a Mariano Rumor  – per cinque volte Presidente del consiglio -, da Luigi Gui pluriministro a Tina Anselmi la ministra della riforma sanitaria, dal potente Toni Bisaglia  al mite ma vivacissimo dal punto di vista culturale  Carlo Fracanzani (solo per citare alcuni dei rappresentanti politici che hanno accompagnato contestualmente lo sviluppo del Veneto e dell’Italia.

Sono  pertanto giustissime e condivisibili  le considerazioni formulate alla voce ‘Cultura’ (pagg. 59-62), ma con la duplice avvertenza che il  primo passaggio cruciale per il Veneto è il recupero della propria memoria storica ed il secondo è la necessità di affrontare la questione dirimente per l’intero assetto democratico, cioè l’avvenuto cambio di paradigma della comunicazione e della legittimazione politica determinato dalla rivoluzione digitale e dai social (di cui, non casualmente,  è un campione assoluto il suo Presidente con oltre 800.000 follower!) attraverso la sostituzione del pensiero con l’opinionismo.

E’ proprio a fronte di questa realtà che si rende necessaria una riconversione antropologico-culturale, per la quale il Dizionario di Allievi si rivela una manuale utilissimo, una lettura propedeutica per far sì che “La bellezza del modello Veneto st(i)a nella sua reputazione e nelle sue pratiche sociali, anche pubbliche: non nei sogni (che per altri, pur venetissimi, sono incubi) di un identitarismo idillico, assai più supposto che praticato” (pag. 73).

Da un certo punto in poi del libro è infatti impossibile non riconoscere testi che diventano  un’implicita esortazione ad entrare nel  campo della realtà esaminata ed illustrata per “reinventarsi le regole della convivenza in una situazione mutata” (pag. 86).

Per chi conosce l’expertise scientifica e la passione civile con cui l’accademico ha affrontato la questione specifica, è superfluo segnalare che si esprime così riferendosi in particolare alle  voci ‘Emigrazione’ ed ‘Immigrazione’.

In questo periodo la prima è ritornata, per l’ennesima volta, al centro dei drammi umani e degli aspri conflitti politici  che genera, ma – purtroppo – “Il vero dramma non è l’emigrazione: ma il fatto che il cambiamento sociale è già avvenuto, e noi dobbiamo ancora cominciare a pensarlo”. (sic!)

Naturalmente le voci che si susseguono possiedono quozienti diversi di approssimazione e di dettaglio, ma costituiscono tutte insieme un incremento di conoscenza e, soprattutto,  una piattaforma cognitiva che stimola il desiderio di farne leva per l’iniziativa politica ed amministrativa in taluni casi  e l’approfondimento analitico in altri.

Penso per esempio che Fatica e Fiducia oggi vadano interpretate con una specifica attenzione al mutamento profondo che caratterizza la loro declinazione.

Ritengo altresì che (vedi alla voce ‘Immagine’) pur essendo vero “al Veneto è come se mancasse una narrazione nazionale positiva”, va compreso che  la sua notiziabilità è dentro un loop perverso: il ceto politico leghista lagnoso ha defraudato il Veneto delle buone e ragionevoli lamentele per la propria incapacità di renderle comprensibili ed accettabili con buoni argomenti utili a cambiare l’agenda politica e l’opinione pubblica nazionale.

Per quanto riguarda poi alcune voci correlabili (‘Impresa’, ‘Schei’, ‘Suicidio’) le illustrazioni sottendono  una fuorviante sottovalutazione dell’identità e della funzione storica del ‘capitalismo familiare’, un motore con una potenza intrinseca straordinaria,  generatore permanente di imprenditorialità, innovazione e creatività: risorse inesauribili ed inesauste  perché la loro matrice è fondamentalmente etico-culturale, della quale Gian Antonio Stella ha capito davvero poco,   ed è strettamente connessa alla vera ossessione che occupa la mente ed il cuore degli imprenditori veneti, la competitività, ovvero non l’accumulazione degli schei bensì delle conoscenze e delle tecniche per reggere alle sfide del mercato e ciulare (per usare uno slang milanese) i concorrenti.

A questo punto si dovrebbe aprire la discussione su una delle voci  più ingombranti che Allievi affronta con sobrietà e leggerezza, ma  verosimilmente pesa ed è presente in tutto il ‘discorso’ del libro: ‘Modello’!

Le sue parole sono inequivocabili e grondanti una schietta preoccupazione: “Quello che vagamente percepiamo, al contempo con terrore e curiosità, consapevoli dei rischi ma anche ansiosi di conoscerne le implicazioni, è che sta per cambiare – di nuovo – tutto. E in ogni ambito, anche nel lavoro e nell’impresa, come pure in politica, la vera nuova consapevolezza  starà nell’essere il cambiamento, e non solo nell’osservarlo o nel produrlo”.  (pag. 127)

Ebbene, raggiungere tale consapevolezza significa innanzitutto liberarsi del peso morto del modello e far leva sull’immaginario: sotto questo profilo non è casuale il titolo del libro laddove i (notevoli) contributi ci vengono indicati come risorsa per l’analisi non di una realtà data bensì di un immaginario.

 E qui la scommessa si fa davvero impegnativa se non proibitiva perché l’autore non ci consente di scansare i macigni (‘Scandalo’ = Mose, ‘Secessione’ = L’uso scellerato che se ne è fatta a fini di bottega, ‘Unione’ = “Tutto si può dire del Nordest, tranne che sia unito”…).

Resta il fatto però che il libro si conclude con la voce ‘Volontariato’ e con l’affermazione finale sull’esistenza delle “basi, anche valoriali, per costruire un modello proprio di impegno e di civismo solidale: come mostrano tante associazioni, individui, imprese”.

E’ un messaggio di concreto ottimismo che condividiamo pienamente e di cui siamo grati all’autore perché ci ha aiutato a leggere con lucidità e realismo un Nordest diventato “creatura vaga e magmatica” senza perderne di vista la molteplicità dei suoi volti, dei suoi enigmi e dei suoi problemi che non oscurano però la ricchezza e la qualità umana, sociale, ambientale prima ancora che economica.

Dino Bertocco