Modello sociosanitario veneto: la Ferrari che ha bisogno di una seria revisione

Amnesie, manipolazione e buchi neri nella recente intervista dell’ex Direttore Generale della Sanità regionale al Corriere del Veneto. A cura di Dino Bertocco (i contenuti di questo articolo sono stati discussi e condivisi con Claudio Beltramello, Franco Toniolo, Ubaldo Scardellato, Margherita Miotto)

Riflettere e discutere del modello veneto di Salute pubblica fondato su una profonda integrazione ed interdipendenza dei servizi sanitari e sociali è fondamentale proprio ora, ovvero nel momento in cui esso è sottoposto ad uno stress violento e che evidenzia i punti di sofferenza e possibile rottura di un’Organizzazione che nell’ultimo decennio ha subito la ‘cura’ della coppia Mantoan & Zaia (l’uno nella funzione di Ufficiale medico l’altro in quella di Assistente infermiere).

Ancor più necessario ed utile si presenta il suo ripensamento organizzativo e gestionale alla luce dell’intervista rilasciata al Corriere del Veneto del primo novembre scorso dall’ex Direttore Generale della sanità veneta.

In essa i contenuti circostanziati ed i toni usati trasudano un trionfalismo ed una superficialità analitica, sia sul piano storico che prospettico che non possono essere derubricati come il canto del cigno, perché ben si conosce l’impronta e la persistente presa della ‘filosofia organizzativa’ che egli ha dedicato al governo del sistema regionale con una passione ed un’arroganza militari degni di una causa migliore.

Il carattere tronfio e fuori misura delle parole usate dal ‘Colonnello’ è riscontrabile nell’affermazione: “La macchina che ho costruito ha un sistema di guida che consente di governarla anche senza la mia presenza fisica” (sic!).

Ci sarebbe da fare della facile ironia sull’associazione fatta dal Mantoan tra Sanità veneta e la Ferrari, al solo pensiero dello stato attuale del Cavallino, tutto tranne che una vettura brillante, competitiva e ‘guidabile’ (sentire in proposito Charles Le Clerc).

Ma il parallelo può risultare utile per meglio ‘tarare’ l’atteggiamento ed i numeri evidenziati nell’intervista.

Possiamo convenire sul fatto che la chiamata e l’ingaggio del manager furono fatti dal Presidente Zaia con il mandato di mettere mano ai conti: per restare nella metafora automobilistica, c’era una vettura (sanità regionale) che aveva un consumo troppo elevato di combustibile e bisognosa quindi di un intervento di manutenzione.

Senza scendere nel dettaglio, esisteva una rete ospedaliera che necessitava sicuramente di essere razionalizzata in termini di gerarchia delle funzioni e di prestazioni correlate alla dimensione e qualità della domanda effettiva e non del lobbismo territoriale agito da leader politici locali ed associazioni professionali.

Non solo: si rendeva necessario focalizzare l’attenzione sulla gestione immobiliare ospedaliera promossa dalla coppia Sartori & Galan con il project financing spendaccione, non tanto e non solo per denunciarne l’irragionevolezza e gli effetti devastanti per la Finanza regionale, ma anche per comprenderne la pericolosità per la distorsione operata su una programmazione regionale in cui il carattere speculativo dell’edilizia ospedaliera rischiava di essere prevalente sulla valutazione dei bisogni reali di salute, dell’evoluzione epidemiologica e della profonda innovazione tecnologica e farmacologica delle cure in corso, fattori determinanti per ripensare il ‘modello logistico-territoriale’ dei servizi.

Questo secondo fronte – che necessitava di un aggiornamento, non di uno stravolgimento – era però troppo ingombrante sul piano politico da affrontare e probabilmente al di sopra delle competenze manageriali del nostro il quale ha preferito dedicarsi al lavoro di ristrutturazione, realizzata ed ora descritta euforicamente come straordinario cambiamento, dimenticando che la tanto decantata diversificazione delle funzioni degli ospedali esisteva già, e da molto tempo.

In realtà si è solo proceduto ad incollare l’etichetta hub e spoke ed a depauperare i territori a favore di un eccessivo accentramento di funzioni negli Ospedali capoluogo di provincia.

Operazione che, gestita in fretta e senza una strutturata gestione dei flussi dei pazienti, di fatto ha creato problemi sia agli operatori sanitari che ai cittadini.

Il dirigismo autocratico

Una tale strategia, per essere giustificata da subito ed anche ora che se ne riscontrano le conseguenze negative sul fronte delle prestazioni e delle liste d’attesa, aveva ed ha bisogno di esasperare la polemica sull’eredità del debito delle Ulss, con una sapiente manipolazione dei numeri, ovvero facendo lievitare a dismisura un temporaneo deficit di cassa e facendolo apparire come un abnorme deficit miliardario di competenza che in verità si è sempre aggirato fra i 150-250 mln, per effetto della sottostima del Fondo Sanitario Nazionale.

E’ davvero sorprendente constatare ex post come l’uso strumentale della leva finanziaria sia servita ad oscurare e disconoscere i criteri fondanti della programmazione regionale, che sono stati stravolti con le DGR attuative dei Piani sociosanitari, sia quello 2012-2016 sia ancor più l’ultimo 2019-2023.

Va comunque sottolineato che l’accentuato dirigismo autocratico si è potuto dispiegare per la debolezza politico-culturale del Consiglio Regionale (negli esponenti della maggioranza devoti alzatori di mano così come dell’opposizione, mai in grado di contrastarlo nei fatti salvo isolate eccezioni) e la sostanziale estromissione delle Rappresentanze amministrative territoriali dal confronto sulle scelte

E restando nell’ambito delle considerazioni relative alla manipolazione dei conti e dei costi, bisogna rilevare che nell’intervista emergono fatti e dati che hanno avuto un carattere destrutturante per la governance del sistema soprattutto per quanto riguarda l’equità sociale, ma nella visione del Manager (adottata, bisogna aggiungere, a scatola chiusa dal Presidente Zaia) essi hanno un valore puramente contabile.

Ci soffermiamo sull’addizionale Irpef: a prescindere da suo importo effettivo, va evidenziata la scandalosa ‘amnesia’, ovvero che la sua cancellazione ha significato la sottrazione al budget sanitario delle risorse finanziarie con cui il Veneto erogava prestazioni ‘extra Lea’ : in particolare 120-130 milioni che servivano per pagare le impegnative (parte sostanziale delle rette degli anziani non autosufficienti) per le RSA/Case di riposo, quota invece ricaduta nelle tasche delle migliaia famiglie degli anziani che non rientrano nelle attuali impegnative, del tutto insufficienti. Il ricorso ad una lieve tassazione per i redditi medio alti avrebbe consentito appunto di sostenere i maggiori costi delle famiglie gravate dall’incombenza della non autosufficienza e prefigurare una necessaria espansione della protezione sociosanitaria nell’affrontare l’invecchiamento della popolazione.

Nella lettura dell’intervista, vogliamo sottolinearlo, alcuni argomenti affrontati hanno un fondamento di verità e costituiscono un terreno di riflessione attuale, correlato alla strategia più efficace per fronteggiare Covid-19: nei mesi della virulenza del contagio si è parlato molto della differenza dei modelli veneto e lombardo.

Ebbene, se la nostra Regione ha conservato la sua matrice originaria di servizio prevalentemente pubblico e con forte radicamento territoriale, ciò si deve alla ‘resistenza’ che si è manifestata nei confronti dell’aggressivo pressing di un’imprenditoria privato-speculativa ben allevata e foraggiata dai cugini lombardi del Centrodestra.

Non siamo sicuri che la cifra dei ‘120 milioni tagliati ai privati’ sia corretta, ma è indubbio che nel decennio della gestione Mantoan non si sono avute incursioni ed attacchi al sistema pubblico, se non alla fine, in attuazione dell’ultimo Piano socio sanitario, attraverso le ‘schede’ ospedaliere e territoriali.

L’aggressione ai territori

Bisogna però registrare che nello stesso periodo incursioni sono quelle che hanno subito i territori nei quali si è inciso pesantemente e manomesso il processo di partecipazione delle comunità locali rappresentate dai loro Sindaci, alla co-responsabilità nell’indirizzo delle scelte.

E’ davvero stupefacente constatare come nell’intervista non si citi mai il Territorio, gli Enti locali siano ‘dimenticati’ e soprattutto ne sia ignorato il ruolo previsto dalla normativa, con particolare riferimento al ‘governo’ dell’integrazione socio-sanitaria.

D’altronde non poteva certo smentirsi il nostro Commissario: egli ha infatti interpretato la sua mission come un mandato per un sistematico e scientifico svuotamento delle Istituzioni sanitarie regionali e locali deputate ad orientarne e condizionarne il potere decisionale, per arrivare ad un accentramento esasperato di cui l’Azienda Zero è l’emblema.

L’esempio più eclatante riguarda il Ruolo della Conferenza regionale permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria prevista dall’art.113 LR 11 13 aprile 2011 e sue modifiche ed integrazioni

Ebbene in questi anni la sua funzione si è fatta evanescente fino ad arrivare alla sua scomparsa nella realtà, pur rimanendo pienamente efficace la legge di riferimento!

Ma la sparizione dai radar ha coinvolto anche il Ruolo dei Comuni nella programmazione regionale e locale. previsto dall’art.118 LR 11-2011 e dall’art. 5 LR 56/94.

In questo contesto di atrofizzazione della partecipazione democratica vengono svuotate le funzioni nella realtà operativa dei Comitati dei sindaci di Distretto e nella Conferenza dei sindaci delle singole Aziende Ulss.

Ed il ‘disegno manageriale-autocratico’ si manifesta anche nella Legge regionale di Piano socio-sanitario 48-2018 con cui si stimolano i processi di delega dei servizi sociali dei Comuni alle aziende Ulss senza prevedere un ruolo attivo di delega partecipata.

Per arrivare infine nella costruzione del Piano di zona: chi la fa da ‘padrone’ di fatto è l’Azienda Ulss e non i comuni che ne hanno la titolarità!

Insomma, bisogna dire che c’è stato del metodo nel lavoro di ‘neutralizzazione’ del ruolo degli Amministratori locali individuati come un avversario e non come partner, talvolta troppo esigenti e/od ingombranti, ma in ogni caso interlocutori con cui discutere e misurare l’efficacia delle politiche sociosanitarie, in quanto rappresentanti dei cittadini utenti (e pazienti) delle stesse.

E la metodologia usata ha avuto un impatto significativo e doloroso sull’ente-presidio del Territorio: il Distretto!

Con la LR 19/2016 che ha previsto l’accorpamento delle Aziende sanitarie e con la delibere conseguenti per definire il riassetto delle funzioni, si è intervenuti pesantemente nella organizzazione territoriale.

Se da un verso si affermava che ‘l’ospedale non si tocca’ ed ‘il numero dei distretti rimane quello previsto prima della riunificazione delle aziende’, dall’altro con accorta strategia organizzativa si sono ridotte fortemente le Unità Operative Complesse, si sono inventate le Unità Funzionali, si sono creati Distretti di serie a e di serie b, ottenendo l’effetto che dove esistevano aziende con più distretti questi alla fine sono stati ‘unificati’ impoverendone sia le competenze operative che l’interazione collaborativa con i Comitati dei Sindaci anch’essi unificati.

Last but not least un’annotazione relativa alla Medicina di famiglia: si era creata una notevole e giustificata attesa con il lancio delle Medicine di gruppo integrate, ma la loro implementazione è stata attuata in minima parte e in modo difforme negli ambiti delle Ulss.

Come pure è accaduto per gli Ospedali di comunità, le Unità territoriali riabilitative, gli Hospice

L’uomo solo al comando

Alla luce del sistemico rimodellamento dell’impianto originario dell’Organizzazione sociosanitaria regionale che abbiamo sinteticamente descritto, si può dunque meglio comprendere l’entusiasmo e dell’affetto paterno con cui il dottor Mantoan parla della sua creatura, meglio della sua ‘invenzione’, ovvero l’Azienda Zero.

Con essa infatti egli ha potuto surrogare i poteri e le responsabilità sottratti ai Territori, attraverso una abnorme struttura burocratica di accentramento che ha di fatto sancito una realtà non solo organizzativamente irrituale per tutti gli Ordinamenti regionali di gestione della Sanità, ma anche del tutto inaccettabile sul piano politico, ovvero l’uomo solo al comando!

Ed in questo senso risulta patetico il richiamo allo studio fatto sulla governance delle multinazionali per individuare una soluzione adatta per il Veneto.

Peraltro il ‘clima militare’ da lui generato trasmesso ai Direttori generali e da questi verso i Direttori e Coordinatori delle unità operative (Primari e Caposala per intenderci) ha avuto delle ripercussioni molto gravi per i medici, gli infermieri e tutti gli altri professionisti impegnati in prima linea che si lamentano di sentirsi trattati come ‘soldatini mandati al macello’.

E questo prima dell’emergenza COVID!

L’annullamento delle individualità, della libertà di pensiero e di parola (se non per celebrare l’apparato) unito a carichi di lavoro insostenibili (la maggior parte dei risparmi si è ottenuta con la contrazione degli organici) ha portato ad una preoccupante emorragia di professionisti.

Il numero di autolicenziamenti dal Sistema sanitario veneto pubblico, soprattutto di medici specialisti nel pieno della loro maturità professionale, da solo risulta come un campanello d’allarme gravissimo.

Anche l’analisi inerente quanti professionisti escono dal sistema al primo giorno utile di pensionamento (anche se la legge consentirebbe di restare qualche anno in più) va nella stessa direzione di segnalazione di un disagio, di un clima pessimo, di una difficoltà oggettiva che il personale sanitario vive oggi nel Sistema Sanitario pubblico veneto.

E mai si è sentita una parola di analisi o di autocritica da parte della coppia Zaia-Mantoan riguardo la forza lavoro persa, fuggita.

La carenza di personale è sempre e solo stata spiegata con la ‘errata programmazione di Roma’.

Peraltro dimenticando anche che la Regione molto può fare per le borse di studio degli Specializzandi e per il numero di corsi universitari triennali delle professioni sanitarie.

Non è comunque nostra intenzione demolire pregiudizialmente la visione e la strategia con cui l’ex Direttore Generale ha inteso ‘plasmare’ e ‘disciplinare’ la sanità veneta che presentava, com’era naturale, alcuni impacci, difficoltà gestionali, sofferenze finanziarie, bensì di entrare nel merito delle singole scelte.

In questa nostra replica ad un’intervista troppo sbrigativa e dai toni presuntuosi, ci siamo proposti di riportare alla luce gli elementi di criticità, autoreferenzialità e le aberrazioni che non ci convincono della sua narrazione.

Quella di un manager il cui orgoglio e la cui spregiudicatezza potrebbero essere tollerati in un campo di battaglia, ma assolutamente no all’interno di un ambiente professionale, umano e politico-istituzionale la cui ‘salute’ è generata dall’etica e dai valori condivisi, la cui efficienza di sistema è strettamente correlata al ‘benessere organizzativo’, ovvero al clima di fiducia, partecipazione e responsabilità garantito e supportato da strutture e metodologie operative orizzontali, cooperative, con un affidamento dei compiti orientato dalla meritocrazia e non attraverso ‘repulisti’ e ricorso a yes man ed a yes woman.

Insomma, riteniamo giunto il tempo di sottoporre ad una severa e rigorosa verifica critica un decennio di potere incontrastato, i cui eccessi ed effetti perniciosi sono anche conseguenza del profilo modesto di un ceto politico regionale dimostratosi non all’altezza del compito affidatogli e che ha preferito sottrarsi alla responsabilità di scelte e decisioni strategiche difficili affidandole ad un Ufficiale medico predisposto all’esercizio del comando, ma non a quello del governo.

Considerazioni conclusive

E’ quindi una nuova cultura della governance sociosanitaria che queste note intendono promuovere!

Non sembri quindi paradossale la nostra proposta di indicare gli obiettivi, le finalità e le indicazioni dello stesso Piano socio sanitario 2012-16, poco e male attuato e in parte stravolto (in particolare nell’applicazione) con l’ultimo Piano socio sanitario 2019-23, come una possibile base di una riflessione e di aggiornamento strategico ed operativo, ovvero per affrontare e correggere le distorsioni intervenute e che abbiamo inteso evidenziare.

Naturalmente il necessario turnaround deve essere pensato e realizzato avendo ben presenti una serie di fattori strutturali e di drammatici insegnamenti originati dalla pandemia ancora in corso, da un lato, e di scelte prettamente politiche che competono alla Giunta ed al Consiglio Regionale, dall’altro.

In primis la decisione di ricorrere ai finanziamenti straordinari del MES che potrebbero consentire una programmazione inedita per tutta una serie di interventi e misure che attengono alle innovazioni tecnologiche, alla indifferibile riqualificazione logistica delle Rsa, alla realizzazione del nuovo ospedale padovano, agli investimenti in ricerca e formazione.

Ed in secondo luogo la partecipazione del Veneto, attraverso il suo Presidente, al riorientamento delle funzioni della Conferenza delle Regioni e della stessa Conferenza Stato-Regioni, affinchè siano affrontate ed assunte tempestive decisioni relativamente alla gestione del Fondo Sanitario Nazionale, viziata da inaccettabile dissipazione di risorse, ai costi standard, alla valutazione dei rischi pandemici incombenti, alle misure per la long term care, ecc.

Ma il vero punto di partenza e di discontinuità che ci sentiamo di suggerire a tutti i Professionisti dell’ambito sociosanitario ed ai Rappresentanti delle Forze sociali e politiche, è il riconoscimento che l’Organizzazione, i Servizi e le Prestazioni del ‘sistema’ debbono trovare un ancoraggio ed una legittimazione nei contesti territoriali di Comunità locali il cui benessere e la cui coesione costituiscono criteri cogenti per la ‘misurazione’ della loro efficienza e della loro efficacia.

Dino Bertocco


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