(Dino Bertocco)

La favola del Governatore travicello che scambiò il Veneto per il suo orticello e trasformò un piccolo affare di uffici e strapuntini affacciati sul Canal Grande in un’epopea Serenissima da far vivere ai cittadini-comparse come un’avventura bellissima.
Ora però aiutiamolo ad uscire dal ‘Luca Truman show’
Stavolta il nostro amato Presidente ce l’ha messa davvero tutta e gli dobbiamo essere grati perché, con questa sua nuova fatica letteraria ci dona un’autobiografia che compendia in un unicum narrativo gradevole ed accattivante il racconto della sua infanzia, immersa negli incanti di un piccolo paese innocente con i profumi del Mulino Bianco nella campagna di Bibano, le fragranze dei sapori antichi e dei buoni sentimenti, dei riti familiari e locali, della sobrietà di una condizione sociale semplice e normale, con la vivida testimonianza di un’adolescenza prolungata fino a diventare permanente, dentro la sceneggiatura di un ‘Luca Truman show’ in cui appaiono solo figuranti ed al ‘popolo veneto’ immaginario è attribuito il ruolo co-protagonista della una soap opera nella quale è trasfigurata la realtà effettuale della vicenda storica.
Inoltrandoci nella lettura di episodi, esperienze ed impressioni dell’autore dettagliatamente ricostruite attraverso reminiscenze lucide e flashback illuminanti (a proposito, complimenti per la memoria!) si ha la netta sensazione di parabole, di una modalità, anzi di una ‘tecnica espressiva’ usata per rivelare il dono esplicito e generoso di una vita interamente dedicata alla propria comunità territoriale, identificata come il contesto nel quale intraprendere una carriera politica assorbente e totalizzante, tale da attribuirle la missione di bypassare ed archiviare il processo storico che aveva caratterizzato il tempo precedente, destinandolo alla damnatio memoriae.
Ed il progetto si realizza davvero! Sotto questo profilo, bisogna riconoscerlo, l’ottimismo del nostro ‘personaggio’ è stato totalmente ripagato.
Perché l’approdo a Palazzo Balbi sul Canal Grande che ci viene descritto, rappresenta la continuazione di un itinerario tra-sognato, dalla Marca Trevigiana alla capitale della Serenissima, con il progetto – intuito, come ci viene segnalato, in occasione di una serata culturale dedicata alle mura veneziane – di riappropriarsi e promuovere l’identità veneta conculcata nei banchi di scuola (“Sottovalutare l’importanza dell’identità locale ha contribuito ad alimentare ulteriormente il sentimento autonomista”, pag. 169).
Con un contrapasso che non sono in grado di giudicare se causato da analfabetismo storico, spirito di rivalsa o scelta consapevole (cioè cinismo), l’assunzione della Presidenza della Regione da parte di Zaia, coincide con l’avvio di un’opera di recisione delle radici del regionalismo veneto, con tutto il loro inestimabile patrimonio di elaborazioni progettuali, conquiste, leadership e protagonismi politici fondamentali per l’edificazione della Repubblica e la costruzione dello stesso Ente regionale concepito come un’Istituzione innervato dalla cultura della sussidiarietà, non certo di un’autonomia che anche semanticamente e simbolicamente richiama il concetto di separazione (ahinoi cavalcato realmente dal leghismo).
Nel libro il processo di lobotomizzazione della memoria avviato, naturalmente non viene teorizzato, ma nemmeno camuffato, perché vi sono contenute delle analisi e delle affermazioni che oscillano tra il paradosso e la provocazione, tutte in ogni caso prive di realismo e senso storico per il loro grado di astrazione e di allucinazione venetista, laddove si parla di ‘favola dello Stato centrale’, ‘autonomia unico volano per far ripartire questo paese’, ‘sottovalutazione del traino strategico del Pnrr’, oppure di aberrazioni interpretative con il rovesciamento del rapporto causa-effetto di certe fenomenologie di casa nostra, vedi la Mala del Brenta sicuramente di origine ‘autonoma’ anzi autoctona che sarebbe stata generata dall’inseminazione della Mafia del Sud…
A questo punto bisogna però aggiungere che gli sragionamenti presenti nel testo restano comunque incomprensibili ed indecifrabili se non vengono connessi, sotto il profilo politico-culturale, con i ragionamenti, la cornice ideologica e la visione strategica illustrati in un altro libro, pubblicato precedentemente, sia al Ragioniamoci sopra che a I pessimisti non fanno fortuna, ovvero Il rischio della libertà. Tra globalizzazione e diritto di autodeterminazione, scritto – in collaborazione con Davide Lovat – da Roberto Ciambetti, Presidente del Consiglio Regionale del Veneto con l’intento di lanciare un Manifesto che “delinea una riflessione antropologica, storica e politica che offra al lettore una visione presente e futura del mondo globalizzato antitetica al ‘pensiero unico e mondialista e progressista’ che fin dagli anni successivi (al profetico discorso pronunciato da papa Giovanni Paolo II all’Assemblea Generale dell’ONU nel 1995 sull’ ’Autodeterminazione dei popoli’ ) viene imposto in Occidente come l’unica forma di pensiero politicamente corretto, denunciando così una pericolosa vocazione totalitaria” (sic!).
Siccome è legittimo ritenere che i due leghisti Presidenti, rispettivamente della Giunta e del Consiglio, siano ispirati dallo stesso pensiero, si può capire meglio il senso di alcune altre valutazioni lunari che si incontrano nel libro di Zaia e che acquistano un significato allarmante perché fanno emergere esplicitamente la volontà di un ‘posizionamento’ del Veneto nello scenario internazionale, disancorato da valori e scelte di politica internazionale italiane ed europee, ovvero delle democrazie occidentali: si parte dal ritenere “il mondo occidentale sempre più povero” alla “guerra tra Russia e Ucraina è vicina geograficamente e si manifesta anche in ripercussioni dirette sulla nostra vita e sul nostro benessere, oltre a costituire un dramma umanitario”.
Ora dovrebbe risultare chiaro perchè il viaggio, nella Crimea ‘liberata’ dalle truppe di Putin, della delegazione della Regione veneta guidata da Roberto Ciambetti per portare solidarietà e festeggiarne l’indipendenza e la concomitanza della preparazione del Referendum autonomista concepito, promosso e divulgato dai leghisti come passaggio fondamentale per l’autodeterminazione (eufemismo per indicare l’Indipendenza) del Veneto, rappresentano la manifestazione di una visione strategica ontologicamente filorussa, mascherata in modo fariseo ed opportunistico con le parole e l’atteggiamento ‘pacifista’ da buon obiettore di coscienza (quale in effetti Zaia è).
Mi sono soffermato su questo passaggio perché da esso traspare la cifra delle amnesie e della doppiezza che connota anche molti degli altri discorsi, pur importanti e significativi affrontati nei diversi capitoli.
Se si esclude la riflessione sui nuovi diritti civili per i quali la riflessione e le proposte dell’autore sono apprezzabili e condivisibili, oltre che costituire un ‘cambio di linea e di orizzonte valoriale’ significativo del tradizionale mondo leghista e di alcuni suoi testimonial radicalmente avversi all’allargamento della sfera delle libertà individuali, su tutta una serie di altri temi, le analisi e le policies che vengono adombrate peccano di superficialità, di qualunquismo, di un provincialismo per molti versi inevitabili quando si suppone presuntuosamente e velleitariamente di misurarsi con le questioni sociali emergenti lette ed affrontate da un epicentro e con una visione venetiste.
Ciò che colpisce è la totale assenza di riflessione ed analisi critica dell’arretratezza e delle contraddizioni latenti che hanno caratterizzato la governance regionale nell’intero periodo della Presidenza zaiana; pur lasciando sullo sfondo la querelle sulle questioni più rilevanti (dal degrado del sistema sociosanitario al collasso finanziario della Pedemontana), restano i buchi neri della (mancata) programmazione e delle concrete politiche di bilancio regionali, inficiate dal pretestuoso ed ideologico rifiuto di adottare gli strumenti previsti dall’autonomia fiscale per l’autofinanziamento.
E le conseguenze nefaste sono state recentemente accertate dalle ricerche che hanno fatto emergere le pesanti penalizzazioni subite dalle fasce di popolazione più fragile, tra gli anziani ed i giovani.
E proprio sui giovani, ma anche su salario minimo, sulla sfida ecologica, sull’immigrazione, le analisi e le ricette su cui Zaia si sofferma a lungo e con puntiglio risultano prive di dati ed argomentazioni congrue, connotate più da un linguaggio, al solito, propagandistico che da proposte concrete e praticabili.
Ma, naturalmente è sull’autonomia, ‘made di tutte le battaglie’ che l’autore opera lo sforzo maggiore per convincerci della bontà e ragionevolezza della posizione della Regione Veneto.
Purtroppo, anche in questo caso il carattere esplosivo delle tensioni e contraddizioni in seno alla maggioranza di Governo e dello stesso progetto di legge Calderoli, non viene nemmeno preso in considerazione, anzi l’esame di un nodo cruciale come quello del Presidenzialismo, evidenzia un atteggiamento, persino patetico, di sottovalutazione della reale dialettica politica nazionale che interessa non solo il conflitto inter-partitico, ma in modo ancor più accentuato il ruolo del Parlamento, il rapporto nord-sud, l’irrisolta questione storica (ecco che rientra dalla finestra) dei LEA.
Sul merito dei contenuti, del negoziato e della prospettiva relativi alla ‘Autonomia differenziata’, per una valutazione rigorosa e puntuale delle tesi sostenute nel libro, rinvio all’intervento di Ivo Rossi che ha affrontato la complessa materia in un recente convegno:
Mi preme sottolineare che in uno dei passaggi chiave, Rossi, confermando la doppiezza che ho più sopra rilevato e la sotterranea pulsione indipendentista della leadership leghista veneta, denuncia la manomissione dello Statuto regionale nel quale il testo del 1971 recitava “Il Veneto, è regione autonoma, nell’unità della Repubblica, secondo i principi e i limiti della Costituzione”, è stato riformato con la seguente dicitura : “Il Veneto è regione autonoma, secondo il presente Statuto, in armonia con la Costituzione (…)”.
Commenta Ivo Rossi: “L’eliminazione del riferimento all’unità della Repubblica, fatto non casuale e figlio di una lettura in cui la stessa non è più considerabile come un vincolo e un orizzonte immodificabile, ha introdotto un vulnus che lascia intendere, con tale omissione, che l’unità (assieme all’indivisibilità, anche questa presente in Costituzione), non costituisce più un valore fondante e fondativo anche per il Veneto”.
Mi fermo qui con il commento su un libro che in ogni caso ho letto con molto interesse e che invito a leggere, perché in tutta onestà, seguo da molti anni l’operato ed il camaleontismo del Presidente veneto, del quale ho avuto modo di riconoscere la dedizione e l’impegno strenuo nella rappresentanza degli interessi e della vocazione ‘federalista’ della nostra Regione, ma al punto in cui siamo giunti, si rende ineludibile dirgli con estrema sincerità: “Non crediamo più al Luca Truman show”!
Possiamo convenire con lui che l’ottimismo è decisamente preferibile al pessimismo.
E per questo confermo che gli dobbiamo essere grati: nel suo libro egli ha reso trasparenti la sua visione ed i suoi propositi, senza infingimenti ed esponendosi in trasparenza alle repliche, alle critiche, alle contestazioni ed alle controproposte.
Ed è proprio la sua narrazione fantasiosa che contiene e consente di riconoscere la fragilità della sua attuale posizione politica: vi è teorizzato che “i pessimisti non fanno fortuna”, ma – leggendo con lucidità, realismo e senza pregiudizi, i suoi contenuti – si può obiettargli che “gli illusionisti portano rovina”!
Dovremmo quindi convenire su una terza asserzione “(molto) meglio essere realisti”.
Purtroppo nella situazione politica attuale del Veneto l’anoressia culturale indotta, provocata, persino (riconosco che è un ossimoro) ‘alimentata’ dal regime leghista insediatosi nell’ultimo quindicennio, ha debilitato gli anticorpi dell’esercizio critico, asservito lo stressato sistema dei media locali ed il residuo giornalismo stremato e subalterno, diffuso cortigianeria e servilismo identificabili in casi clamorosi di autoannichilimento volontario e rinuncia alla libertà professionale, e last but not least, l’annientamento di un’Opposizione cagionevole, sia in Consiglio Regionale che nel Territorio attuato con l’adozione di un Regolamento ‘orbaniano’ che ha reso la nostra Regione un ‘Laboratorio politico degli orrori’.
Il leghismo di casa nostra in soli tre lustri ha infatti prodotto:
a) Il sistematico oscuramento della tradizione cattolico-democratica e riformista, maturata in oltre mezzo secolo di vita repubblicana, e dei suoi molti/molte esponenti storici.
b) La destrutturazione incosciente del modello storico di virtuosa integrazione sociosanitaria territoriale.
c) L’annullamento dell’autonomia fiscale regionale con effetti perversi sulla gestione della spesa sociale.
d) Il progetto malvagio della VENEXIT in anticipo con il disastro epocale europeo epocale della BREXIT.
e) La fratellanza veneta di sangue con il pericoloso Presidente brasiliano (Bolsonaro). f) La tifoseria filorussa ed il gemmellaggio con la Crimea.
g) Simpatie e comprensione per i facinorosi che hanno assaltato Capitol Hill.
h) I rimproveri a Zelensky per la durezza della sua opposizione all’invasione putiniana.
i) Il consenso alla guida sovranista salviniana ed alla sua deriva centralistica ed assistenzialistica che ha danneggiato fortemente Veneto e Nord.
j) La creazione di un muro di incomprensioni con il Sud che costituisce una sfida vitale per la rigenerazione politico-istituzionale e finanziaria per l’intero Paese.
Capite bene perché da molto tempo insisto per far cessare lo stucchevole ‘Luca Truman show’ in onda reti unificate ed a menti ottenebrate: chi ha buona memoria ricorderà che il protagonista in realtà era prigioniero e vittima della ‘comunità’ che lo seguiva 24 ore h 24 (senza che ci fosse una pandemia) e si prestava premurosamente alla sceneggiatura.
Questo mi fa dire che oggi in Veneto la scelta di interrompere la telenovela dipende dal ‘pubblico’ e dalla maturazione della consapevolezza civica, prima che politica della sua classe dirigente, la quale deve assumere in prima persona il compito di farsi carico di una quota di responsabilità decidendo se continuare ad essere comparsa e succube di una gestione dispotica o protagonista della partecipazione democratica al governo di Comunità regionale complessa e vitale il cui destino non può più essere delegato ad un aspirante autocratino circondato da un gruppo di fedeli ruffiani.
Per un approfondimento, invito a leggere un paio di miei precedenti interventi:
Dino Bertocco