La Lectio magitralis di Flavio Zanonato sul ‘Discorso politico’ contemporaneo

L’intervento dell’ex Sindaco di Padova, Europarlamentare e Ministro dello sviluppo economico nel Governo Letta*, in occasione della presentazione del libro di Ivo Rossi (Sala Paladin, Municipio di Padova, 22 novembre 2021)


Pubblichiamo l’intervento di Flavio Zanonato pronunciato nel corso della presentazione del libro di Ivo Rossi “L’Odissea dell’ospedale nuovo di Padova 2000-2021. Il Risiko degli interessi e la subalternità della politica” . Per qualità delle riflessioni e delle argomentazioni questo intervento si pone come una vera e propria “lectio magistralis” sul “discorso politico” comtemporaneo. Il testo è tratto dall’articolo pubblicato sul sito web di Ivo Rossi.

Flavio Zanonato: “Il nuovo ospedale di Padova e la disabitudine al dibattito pubblico”

Mi fa piacere vedere il grande interesse testimoniato dalla grande presenza, che sarebbe sicuramente stata maggiore in una sala più grande e senza il problema del Covid.

Credo sia sicuramente un omaggio al lavoro di ricostruzione della storia del “nuovo ospedale” da parte di Ivo Rossi, un riconoscimento – vorrei dire un risarcimento – per il lavoro che ha fatto nella sua attività di amministratore, ed è anche, come ha detto poco fa Paolo Giaretta, la testimonianza di un’enorme voglia di tornare a discutere delle vicende della città e di tornare a discutere in generale.

Va sottolineato che l’assenza di dibattito sui temi della città precede l’avvio dell’epidemia.

Noi viviamo ormai da molto tempo, non solo su scala cittadina ma anche su scala nazionale, in assenza di dibattito.

Non c’è più un’opinione pubblica che si informa, che conosce i fatti, che si forma un autonomo giudizio. Ci sono molti esempi. Pensate: a livello nazionale, se voi leggete i giornali o seguite i telegiornali di questi giorni, si parla di due cose: No VAX e ddl Zan, del resto i media si occupano pochissimo.

Eppure – per dirne una – in Italia sta sparendo l’industria del bianco, dell’elettrodomestico, l’industria delle lavatrici, dei frigoriferi, della lavastoviglie, aziende intere si stanno ridimensionando e spesso trasferiscono la loro produzione in alti paesi. Di tutto questo i media si occupano in modo svogliato e solo in presenza della crisi finale, come l’ACC di Mel, o la situazione drammatica della Whirlpool. Andrebbe fatta – a monte – una riflessione su come funziona il sistema informativo. E questo nodo riguarda anche la vicenda dell’ospedale a Padova.

In sostanza, è venuta via via a mancare un’opinione pubblica informata che – una volta – condizionava positivamente le scelte, naturalmente con argomenti seri, e che maturava in moltissime realtà: l’ordine degli architetti, degli ingegneri; altri soggetti come gli imprenditori, gli imprenditori edili, le associazioni del commercio e dell’artigianato, gli stessi sindacati. Tutti soggetti che – discutendo, problematizzando, formulando una serie di osservazioni – aiutavano l’amministrazione pubblica a fare le scelte più appropriate.

Oggi questa discussione non c’è. Ed è un grande problema. Perché il fatto che manca un’opinione pubblica informata e documentata in grado di discutere delle varie scelte che sono state fatte o che sono state annunciate – e qui non si capisce perché i giornali non consentono di distinguere le proposte realistiche dalle fantasie – rende difficoltoso e quasi impossibile partecipare alla vita pubblica.

Anche sulla quantità degli annunci ci sarebbe molto da dire, perché ci si domanda: “Ma se per finire il Centro Congressi non sono bastati sette anni e deve ancora essere completato, come si farà a realizzare tutte le cose che sono annunciate?“.

Sicuramente il venir meno di un’opinione pubblica documentata è dovuto anche alla fine dei partiti politici organizzati.

Non ci sono più i partiti, non c’è più una sede in cui si discute, in cui si porta un’idea, un’idea che poi si confronta con le altre e che può anche cambiare.

Ognuno è libero di dire quello che vuole tanto non c’è la necessità di un riscontro.

Ho detto tutto questo come premessa.

Il lavoro di Ivo Rossi va controcorrente.

Ivo – con un grande sforzo di ricerca – documenta, sviluppa un ragionamento basato sui fatti e la logica, fa delle domande e chiede delle risposte. Dimostra delle situazioni oggettive.

Naturalmente si può sempre contrastarlo ma si deve farlo allo stesso livello, non si può farlo a colpi di slogan. Per questo il lavoro, il testo, di Ivo è un documento importante e per me imprescindibile.

La prima volta che mi è capitato di discutere della situazione dell’ospedale, diciamo la prima volta in cui ne ho discusso per andare nella direzione di fare qualcosa, è stato con Giampaolo Braga.

Braga aveva in mente due cose chiarissime: primo, che non si poteva continuare con l’ospedale di allora (l’attuale ha subito molte modifiche rispetto a quei tempi e sono molte cose che in qualche modo hanno attuato le proposte di Braga); secondo, che non c’erano molti soldi per cui la sua idea era quella di rigenerare l’ospedale nello stesso sito, un pezzo per volta, cercando di superare una serie di criticità. Ad esempio il problema della dispersione delle sale operatorie che erano collocate nei diversi plessi, un problema enorme perchè capitava non fossero a disposizione quando servivano per gli interventi chirurgici.

Per questo Braga era convinto di dover rigenerare l’ospedale nello stesso sito: la sua idea era quella di chiudere via Falloppio in superficie, costruire al suo posto una strada sotterranea e unificare in un’unica grande area l’ospedale realizzando i necessari parcheggi. Contemporaneamente i padiglioni dovevano essere ristrutturati dotando tutti i reparti dei necessari servizi non solo per l’attività medica ma anche per la dimensione dell’ospitalità da garantire ai pazienti (letti per camera, servizi igienici, ecc.). Facile intuire i vantaggi (in termini di costi) ma anche gli svantaggi di questa proposta che prospettava un cantiere permanente nell’area ospedaliera con un contorno di disagi facili da immaginare.

Tutti erano consapevoli che non bastava una “riverniciatura”: se metto a nuovo un’auto degli anni ‘70, anche se il restauro è perfetto, non avrò mai un’auto di oggi.

Sono state introdotte novità tecnologiche che non possono entrare in un corpo anziano e questo vale anche per una grande struttura sanitaria. Erano necessari quindi interventi molto importanti.

Quando si è cominciato a parlare seriamente di nuovo di un ospedale che sostituisse il Giustinianeo?

Quando Galan ha deciso che questa era una priorità per Padova e il Veneto, e che quindi come Presidente della Regione si sarebbe impegnato per una nuova grande struttura ospedaliera.

È già stato ricordato che aveva delle idee da “grandeur”, per cui la prima bozza di progetto, come è stato ricordato, si chiamava con un acronimo “Patavium”(Polo di alta tecnologia assistenziale del Veneto per l’integrazione universitario-ospedaliera multidisciplinare) e nella proposta di Giancarlo Ruscitti sarebbe costato un miliardo e duecento milioni di euro.

Erano state messe tutte le esigenze delle divisioni e delle cliniche e in particolare dell’attività universitaria, compreso un campus.

In quel periodo c’era un professore di medicina, era anche in Consiglio di Amministrazione dell’Università, che proponeva un ospedaletto piccolo, diceva: “No, la sanità la fa la Regione, noi universitari facciamo un ospedale con trecento letti, piccolino, abbiamo tutte le nostre specialità e possiamo sviluppare le nostre attività di ricerca“. Una posizione che non ha avuto seguito.

Galan ha aperto inizialmente questa sfida e l’Amministrazione Comunale, a cui spettava l’indicazione dell’area, discusse sempre la proposta in modo collegiale. Io, Luigi Mariani, Ivo Rossi, Claudio Sinigaglia, altri assessori e consiglieri, ma anche esterni alla giunta, come Madalosso e la Miotto: discutemmo a lungo sul progetto e sulla necessità di avere anche una struttura ospedaliera più piccola dedicata ai padovani.

Mariani, assessore all’urbanistica si occupò dell’area dove collocare l’ospedale. Noi non decidemmo un posto a caso: “Ci piace quel posto quindi andiamo là…”. In uno studio ad hoc furono prese in considerazione più aree, ed è importante ricordare i dettagli di questa vicenda.

Era disponibile, per esempio, una grande area di De Benedetti, a sud della città, ma molto decentrata. Furono prese in considerazione altre aree prevalentemente a destinazione agricola.

https://www.padovaoggi.it/cronaca/nuovo-ospedale-padova-ovest-collocazione-ufficiale.html

Alla fine – con un ragionamento esclusivamente urbanistico – fu scelta l’area di Padova Ovest (65 ha) in sintonia con le previsioni viabilistiche dell’arco di Giano. Anche dal punto di vista dell’equilibrio dei “pesi urbani” l’area a Padova Ovest era una buona scelta, un buon compromesso. Inoltre quest’area sarebbe stata espropriata con un costo sicuramente inferiore al valore dell’area di San Lazzaro di proprietà comunale.

Si fa presto a dire “Ho un’area e la do“. Ci si deve chiedere: quanto vale l’area di cui si parla? E quanto costerebbe l’area che si vuole espropriare? Facile fare due conti e vedere la differenza enorme che c’è! Con la scelta di Padova Est è stata sacrificata una parte del patrimonio cittadino.

Alla velocità con cui scegliemmo l’area non corrispose un equivalente velocità della Regione. Le cose andarono lente perchè in qualche modo si sovrapponevano e contraddicevano vari interessi. Ricordo che si disse che l’area in Corso Australia era troppo piccola.

Ma alla fine la proposta fu accettata solo dopo che Zaia succedette a Galan nell’aprile 2010 e volle ridiscutere e ristudiare tutto con tecnici di sua fiducia.

Ci vollero circa 4 anni con defatiganti riunioni in Regione, però si concluse positivamente e nel libro trovate le foto dove si vedono Ivo Rossi, Barbara Degani e Giuseppe Zaccaria firmare l’accordo tra Comune, Regione, Provincia e Università sull’Ospedale e sulla sua collocazione.

Ora non so se vi è chiara una questione: l’ultima firma sull’accordo – sono cambiati, escluso Zaia, tutti gli altri protagonisti – ci riporta dopo sette anni esattamente al 2013, però con l’area a Padova Est.

Andate a vedere l’area, un’area completamente deserta dove non c’è neppure l’accenno di un’impiantistica e/o di una necessaria nuova viabilità, eppure bisognerà pensare a tutte le infrastrutture necessarie per una grande presenza dove sono necessari un impianto idraulico adeguato, un sistema fognario dalle adeguate dimensioni, una rete elettrica di notevole potenza.

Sicuramente tutto questo è il prodotto dell’assurdo, tossico, atteggiamento di Bitonci… Io non so se dovuto ad interessi sottostanti o ad una folle furia iconoclasta per cui tutto quello che era stato fatto prima andava distrutto.

So che quando con Ivo Rossi siamo andati a riamministrare la città di Padova abbiamo trovato un tram che non era il tram che volevamo, che avevamo progettato e addirittura messo in gara (tra parentesi, abbiamo scritto un libro in quell’occasione Ivo ed io, non l’abbiamo pubblicato perché abbiamo vinto le elezioni poco dopo) ma riprendendo in mano tutta la realizzazione della tranvia non ci siamo messi in testa di ritornare al progetto precedente perché saremmo stati bloccati per anni. Abbiamo deciso semplicemente di continuare e di realizzare il progetto della Destro e siamo riusciti a farlo in un tempo ragionevole, memori del famoso detto: “Tu semini e chi viene dopo vendemmia”.

Invece l’atteggiamento iconoclasta di Bitonci ha fatto ipotizzare il nuovo ospedale in posti assurdi, abbiamo sentito di tutto, la più comica sull’area del gasometro; devo dire che anche le diverse autorità pubbliche che potevano intervenire non si sono fatte sentire più di tanto. Nessuno ha detto: “Ma dai non dire stupidaggini, lì non si può fare”.

Per ora siamo al punto che è stato firmato il nuovo accordo con l’impegno a realizzare l’ospedale nell’area di Padova Est.

Attenzione, io personalmente non credo che fare l’Ospedale nella zona di Padova Est sia un delitto contro cui schierare i carri armati, non è l’invasione della Polonia, la conquista dei Sudeti, non lo so, il Reich che annette l’Austria.

L’Ospedale si fa a Padova Est e di conseguenza – se ci saranno problemi di traffico – si dovranno costruire le strade necessarie. Per carità, non muore nessuno. Ma è sacrosanto domandarsi se è la scelta migliore, perché un’area meno costosa e urbanisticamente più adatta è stata abbandonata e forse anche domandarsi se verrà mai fatto.

Adesso ha evidenziato molte cose pratiche Stefano Merigliano, con concretezza, ovvero che adesso tornano di moda gli ospedali a padiglioni (il che sarebbe dimostrato pure dalla vicenda del Covid).

Anche l’Ospedale di Bologna è fatto a padiglioni come il nostro vecchio a Padova; in altri posti hanno scelto una soluzione che dal punto di vista logistico veniva spiegata come la più efficiente – un ospedale fatto con un’unica piastra – onestamente non so dire cosa sia meglio, lo devono dire gli operatori che lavorano all’interno della struttura ospedaliera; ma si può sapere perché tutto il sistema pediatrico non può intanto andare a Padova Est? Questa è una cosa che non si capisce. Che senso ha costruire nel vecchio ospedale?

Sembra logico pensare che se si vuole davvero realizzare il nuovo polo ospedaliero si debba intervenire nella nuova area per gli edifici che si devono costruire da zero. In modo da dimostrare che, pezzo dopo pezzo, visto che sarà a padiglioni, si sta realizzando qualcosa di concreto e non continuando, come si è fatto in tutti questi anni, a parlare senza vedere assolutamente niente. I vantaggi sarebbero evidenti perché non sarebbe necessario realizzare un cantiere in un’area dove si svolge contemporaneamente l’attività ospedaliera, con disagi per i pazienti e gli operatori, senza impattare sulle mura rinascimentali.

Sono molte le cose curiose che si sono dette in questi anni attorno alla vicenda del nuovo ospedale, tipo quella che abbandonando il sito attuale si sarebbe creato nientepocodimeno che un “buco nero“. Per la verità nell’ipotesi di Galan quell’area doveva avere una certa cubatura allo scopo di pagare una parte dell’investimento, ed era aperta la discussione sulla dimensione da consentire, ma si poteva anche pensare ad uno straordinario parco cittadino, strutture per attività culturali e ricreative, e non vedo nessun buco nero in queste ipotesi. E mi chiedo “cosa c’entra il buco nero?”. Qualcuno dice che l’area del Basso Isonzo è un buco nero? Si tratterà di vedere cosa si fa, o no? Per esempio liberare le mura da tutte le superfetazioni e rivederle nel loro splendore -quella è la parte delle mura più belle – realizza un buco nero? Si farà un percorso verde, si inventeranno delle cose, si sistemeranno tutta una serie di attività ricreative, si sposteranno dalle piazze i giovani che vogliono passare anche un periodo abbastanza lungo della serata, verso l’una, le due di notte senza interferire col riposo, col sonno dei residenti, una parte potrà essere residenziale per l’alloggio degli studenti, spazi e cubatura per privati e per recuperare delle risorse, ci saranno degli spazi per l’Università, insomma di tutto, escluso il fatto del buco nero. Cos’è il buco nero, un posto dove succedono cose tremende perchè non c’è più l’ospedale? Si tratta di un modo semplicemente propagandistico di parlarne.

Ad un certo punto è sembrata una grande conquista il fatto che un istituto finanziario era disposto a dare i soldi per la realizzazione del nuovo Polo ospedaliero. Qualche giornale ha titolato “trovati i soldi”. Non si tratta di una novità, da sempre gli istituti finanziari danno il finanziamento per opere pubbliche attraverso dei mutui; la stazione appaltante, la regione in questo caso, pagherà le rate del mutuo per un certo numero di anni, nessun elemento di novità!

Ultima nota che faccio è quella di vedere come l’informazione padovana si è mossa su questa vicenda: c’è molto da riflettere. Siamo di fronte ad una informazione, forse anche per come si formano i nuovi giornalisti (giovanissimi poco pagati, che non hanno la conoscenza storica di quello che è successo visto che vanno in pensione tutti i vecchi -come il povero Aldo Comello – giornalisti che conoscevano la storia della città e che avevano i rapporti personali giusti per capire cosa stava succedendo) che ha perso ogni senso critico e si limita a riportare ciò che viene raccontato senza neppure formulare delle domande, senza avere le minime curiosità di fronte ad una proposta, a un’idea a un progetto.

Se viene detto: “Metteremo i binari sottoterra e l’area della stazione Fs diventerà tutta piatta, in modo da collegare l’Arcella con il resto della città” i giornali cittadini riporteranno come cosa fatta l’abbattimento della barriera ferroviaria tra città e Arcella ed è sufficiente una piantina o un rendering. Nessuno chiederà se ci sono i soldi, chi finanzia il progetto e la sua realizzazione, nessuno domanderà delle pendenze da superare, nessuno chiederà i tempi di realizzo.

Viene proposto un grandioso padiglione per la musica leggera, e che verrà realizzato sopra uno dei grandi padiglioni della fiera, naturalmente ci sono i disegni, i rendering, qualche foto. Ma capire come sarà possibile realizzarlo, dove parcheggeranno le decine di migliaia di persone che si prevedono, chi finanzierà questo progetto, eccetera eccetera, non è un problema che la stampa si pone.

Questo atteggiamento della stampa locale mi preoccupa molto e penso che gli stessi amministratori locali facciano fatica a rendersi conto della complessità nel realizzare i progetti: difficoltà finanziarie, difficoltà tecnico-realizzative, difficoltà burocratiche. Non basta avere in mente un’idea, questo è il primo passo, bisogna far seguire tutta una serie di cose concrete. Pensate: pare che fra poco si partirà con la realizzazione del nuovo tratto tranviario, ma mi chiedo che differenza ci sia tra ora e quando abbiamo progettato noi la linea che va a Voltabarozzo? E perché sono passati tutti questi anni prima di partire? E lo stesso si potrebbe dire per il centro congressi che forse vedremo inaugurare all’inizio dell’anno, lo spero fortemente, si tratta di un’opera appaltata sette anni fa.

Concludendo, ribadisco che mi piacerebbe ritornasse la capacità di discutere e di confrontarsi, perché se c’è un’opinione pubblica che stimola si realizzano le cose per bene, altrimenti anche chi governa non ne percepisce il messaggio, ed è un messaggio che invece deve tenere sempre presente.

Flavio Zanonato

* Flavio Zanonato (Padova, 24 luglio 1950) è un politico e giornalista italiano, europarlamentare per l’VIII legislatura. In precedenza, è stato sindaco di Padova dal 1993 al 1999 e dal 2004 al 2013, e ministro dello sviluppo economico nel Governo Letta.