L’ambiente veneto è diventato un problema sanitario

di Dante Schiavon

L’ubriacatura mediatica che ha accompagnato le nostre settimane di isolamento ha finito per annebbiare l’auspicabile  nitidezza  del nostro sguardo sulla situazione sanitaria regionale.

Il governatore ci ha distratti dallo “stato dell’ambiente” e della “sanità pubblica” in Veneto, trasformando il monopolio della “comunicazione pandemica” in un carrello elettorale, svilendo il senso dell’autonomia, approfittando dell’esasperazione da clausura della popolazione  e riservandosi il compito di suonare la campanella della ricreazione alla gente sopraffatta dal bisogno di uscire.

È apparso come un angelo protettore della salute dei veneti e non come il responsabile del processo di “privatizzazione” in atto della “sanità pubblica” veneta, della riduzione dei posti di terapia intensiva dal 2002 al 2019 passati da  1176 a 717 e della carenza, a febbraio 2019,  di 1652 medici negli ospedali della regione. Ma, soprattutto, ha operato una grande operazione di “distrazione di massa” dai veri e gravi problemi ambientali della regione, problemi  che hanno influito anche sulla diffusione del virus.

Nel 2019 “l’inquinamento atmosferico” è stato considerato dall’OMS il “maggior rischio ambientale per la salute”. Le “conseguenze sanitarie” dell’inquinamento si sommano alle “conseguenze climatiche”: è un dato statistico e scientifico inconfutabile. Non è più lecito ridurre la sanità ai soli aspetti della “medicalizzazione” delle malattie e ai suoi costi economici a carico della collettività, operazione che sarebbe comunque monca e, se fatta premeditatamente allo scopo di nascondere l’eziologia delle malattie e la loro origine ambientale, squalificherebbe  moralmente e politicamente chi la compie e si candida anche  a declinare nel territorio veneto l’art.32 della Costituzione che così recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Leggendo il report “Mal’aria 2020” di Legambiente Veneto l’inadeguatezza della politica regionale veneta sul  fronte della prevenzione delle malattie da inquinamento appare evidente. In Italia sono 58600 i decessi causati dalle “polveri sottili”  e 14600 i decessi causati dal “biossido di azoto” (Agenzia europea per l’ambiente, anno  2016) e il Veneto, assieme a Lombardia ed Emilia Romagna, si situa in quel “bacino padano” definito dalla NASA la “camera a gas” d’Europa. In questa situazione emergenziale permanente il Veneto guadagna le prime  posizioni a livello nazionale per numero di capoluogo “malati cronici”, con ben 6 città che per tutto il decennio, dal 2010 al 2019, dieci anni su dieci, hanno superato i limiti di legge di 50 microgrammi/m3 per più di 35 giorni l’anno nell’esposizione della popolazione alle “polveri sottili”. Secondo il Ministero della Sanità ad ogni aumento di 10 microgrammi/m3 del PM 2,5 risulta associato un incremento di mortalità di tumore ai polmoni del 14%. Il legame biologico tra “salute” e la “qualità dell’aria” ci impone di posare uno sguardo diverso sui compiti della “sanità pubblica” e le sue correlazioni “ombelicali” di tipo scientifico, politico e amministrativo con “l’ambiente” e la “prevenzione”.  Tale correlazione scientifica, medica, amministrativa e politica tra “qualità dell’aria”, “prevenzione” e “sanità pubblica” deve essere il criterio con cui si redige il “bilancio sanitario regionale”. La dichiarazione dell’OMS, quando afferma che “l’inquinamento atmosferico dell’aria” che respiriamo è il “maggior rischio ambientale per la salute”,  ci obbliga ad allargare il campo d’osservazione, andando oltre le categorie settoriali che organizzano il nostro pensiero: la sanità deve garantire a tutti i cittadini la qualità del servizio medico-ospedaliero e incorporare, “costitutivamente” e “strutturalmente”, la “prevenzione ambientale”. Per realizzare tale cambio di orizzonte a favore di una “sanità della prevenzione” deve altresì cambiare il nostro linguaggio descrittivo delle misure e dei percorsi politici e amministrativi, monitorabili e di tipo interdisciplinare, utili a raggiungere gli obiettivi indicati dall’art. 32 della nostra Costituzione. Nel “bilancio sanitario regionale” devono  comparire, accanto al numero delle patologie e dei decessi riconducibili all’inquinamento dell’aria, gli obiettivi e relative misure per una loro sensibile e graduale riduzione e questa operazione deve essere pianificata in “modo interdisciplinare” dagli assessori  regionali alla sanità, alle attività produttive, all’ambiente, ai trasporti e altri soggetti istituzionali.

Nelle regioni del “bacino padano” le “polveri sottili” hanno “accelerato” la diffusione del virus e il “sistema immunitario” delle persone affette da patologie pregresse riconducibili all’inquinamento è stato attaccato con maggior virulenza dal Covid-19. Il Coronavirus ha moltiplicato per mille la necessità e l’urgenza di un nuovo modo di fare “prevenzione sanitaria” che sovverta la scala delle priorità politiche ed economiche della regione Veneto. Il sistema immunitario delle persone affette da patologie del “sistema respiratorio” e dell’apparato “cardiocircolatorio” (sia acute che croniche), acquisite a seguito dell’esposizione alle polveri ambientali, non è in grado di far fronte ad un attacco virale. Non solo. Un altro dato accompagna tale considerazione: in Italia l’aspettativa di “vita sana” dopo i 65 anni è  tra le più basse fra i paesi Ocse (dati 2015). Ma davvero dopo il “libera tutti”  vogliamo tornare a quella normalità sanitaria e ambientale? Vanno capovolte le priorità della politica veneta. In Veneto la lotta all’inquinamento dell’aria non è mai stata una priorità, tant’è che, lo ripetiamo ancora una volta, in ben 6 città venete per tutto il decennio, dal 2010 al 2019, dieci anni su dieci, si sono superati  i limiti di legge nell’esposizione della popolazione alle “polveri sottili”. Nella regione Veneto “l’è tutto da rifare”, direbbe il buon Gino Bartali.  Bisogna ridurre il peso inquinante del riscaldamento domestico,  del trasporto su gomma, degli allevamenti intensivi: è da qui che deve partire il “percorso sanitario virtuoso” e non da diagnosi sanitarie “ex post”, senza la comprensione delle cause ambientali e l’assunzione di responsabilità da parte di chi deve garantire la tutela della salute come diritto sancito dalla Costituzione. La regione Veneto ha speso, fino ad ora, 300 milioni per la SPV, quasi un milione per candidare le colline del Prosecco a Patrimonio dell’Umanità, 14 milioni per un “referendum propagandistico sull’autonomia: tutte scelte politiche che “sottraggono” risorse alla lotta all’inquinamento atmosferico e al contrasto ai cambiamenti climatici. Andando a rileggere i dati di Pendolaria 2017 di Legambiente si nota come la spesa regionale per infrastrutture nel periodo 2003-2017 abbia riservato 1.094,71 milioni di euro per le strade e solo 93,85 milioni per ferrovie e metropolitane e che per il servizio pendolare nell’anno 2017 era stanziato lo 0,22% del bilancio regionale. Vanno capovolte le priorità della politica veneta che, anche per il 2019, ripropone scelte incredibilmente inadeguate a quello che sta succedendo al clima “meteorologico” e “sanitario”.

Nel 2019 infatti sono stati ridotti i finanziamenti all’Arpav che dovrebbe eseguire i controlli sulle emissioni e mancano risorse, uomini e mezzi per controllare la manutenzione e l’efficienza  di stufe e impianti di riscaldamento. Sempre  nel 2019 la regione ha stanziato solo 500.000 euro per la rottamazione delle auto inquinanti, 1/52 di quanto stanziato dalla Lombardia (26,5 milioni di euro) e 1/18 di quanto stanziato dall’Emilia Romagna (9 milioni di euro), le altre regioni che fanno parte del “bacino padano”. Se questo è il quadro che riassume la situazione ambientale e i suoi riflessi sul “clima”, sui livelli di “inquinamento” e “sanitari” della regione, più che autocelebrazioni mediatiche forse sarebbe il caso di pensare almeno ad un minimo di autocritica. L’esperienza della pandemia e della quarantena ci obbligano  a guardare alla complessità della vita sociale ed economica, delle relazioni fra persone e cose, delle connessioni fra le attività umane e le loro conseguenze sull’ambiente, sul clima, sulla salute. Dobbiamo aggiungere un altro tassello al tentativo di un argomentare più complesso, meno semplicistico, dove inquadrare la “tutela dell’ambiente”, oltre che per il suo “valore ecosistemico generale”,  per la sua “funzione primaria di tutela della salute” di chi lo vive. Non possiamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema.

Dante Schiavon