Identità e rappresentanza politica veneta 1948-2020: memoria storica, white washing democristiano e mitologie leghiste

(di Dino Bertocco). La preziosa ricostruzione di Paolo Giaretta solleva un interrogativo: abbiamo vissuto e riconosciuto la stessa Regione Veneto?

Il Veneto, I presume”. Paolo Giaretta come Henry Morton Stanley: il racconto di queste pagine è la narrazione di una paziente quanto accurata ricerca lunga oltre mezzo secolo, attraverso una terra solo in apparenza familiare. Scoprendo, alla fine, proprio come David Livingstone, che la regione esplorata non è più la stessa degli inizi, ma ha cambiato fisionomia, connotati, geografia fisica e umana, forse l’anima stessa

dalla Prefazione di Francesco Jori


Diciamo subito che la pubblicazione del libro di Paolo Giaretta, “Identità e rappresentanza politica nel Veneto della Repubblica 1948-2020. Elementi per una storia politica, IL POLIGRAFO, è una scelta editoriale opportuna e tempestiva.

In esso l’autore (il cui curriculum è troppo conosciuto per ricordarlo qui) raccoglie alcuni saggi con cui nel corso del tempo egli è venuto annotando da protagonista diretto di molta parte degli eventi descritti e scrupoloso ricercatore, quella che senza retorica possiamo definire l’epopea di una Comunità regionale che dal dopoguerra ad oggi ha promosso un processo di accelerazione storica della propria partecipazione alla produzione e condivisione dei benefici dello sviluppo sociale ed economico e della crescita civile e democratica del Paese.

La ricomposizione dei testi, la scansione dei quattro capitoli e la preziosa documentazione, accompagnano il lettore in una rivisitazione storica che danno una chiave interpretativa unitaria di un materiale storiografico denso, che racchiude una complessità di fatti ed una molteplicità di personaggi che hanno contribuito a dare rappresentanza politica nazionale agli elettori veneti e ad edificare dalle fondamenta l’Istituzione regionale.

La scrittura agile e briosa tende necessariamente a valutazioni sintetiche su argomenti e leader politici, identificati come centrali nella ricognizione storica e nella iconografia regionali.

Ciononostante scorrendo le pagine sono numerosi i passaggi che suggeriscono la necessità di approfondimento ed anche interrogativi che alcuni giudizi sbrigativi sollevano.

Sui temi e dilemmi che il libro di Paolo Giaretta lascia aperti alla riflessione storiografica ed al dibattito politico-culturale, questo giornale ha ospitato numerosi interventi con articoli, focalizzati sui nodi cruciali evidenziati dall’autore; ne ricordiamo i più significativi:

Per una riflessione più generale invece sull’interpretazione più propriamente politologica che emerge dalla lettura del libro nel suo insieme, rinvio a miei due testi nei quali affronto l’esigenza di promuovere ‘Un ecosistema culturale per il Rinascimento etico-civile in Veneto’ ed in particolare i paragrafi 5 (Lo smarrimento epistemico della classe dirigente veneta) e 6 (L’egemonia culturale del Centro destra): leggi in www.medium.com/geecco RINASCIMENTO ETICO.

Ma, in questa occasione riteniamo necessario, proprio per valorizzare il significato e l’attualità delle analisi realizzate dall’autore, focalizzare alcuni punti problematici che attengono non solo ad interrogativi e perplessità dei giudizi che esse contengono, bensì soprattutto alla necessità di approfondimento che prefigurano e che richiedono un cambio di paradigma interpretativo sia sul piano storico che su quello politico.

Li espongo in modo sintetico, con la consapevolezza che essi introducono in un territorio poco esplorato di indagine e confronto tutto da aggiornare per i protagonisti odierni dell’attività politica e da amministrativa e che io stesso mi impegnerò ad implementare.

  1. Innanzitutto debbono essere maggiormente comprese le vere e proprie fratture intervenute nella storia politico-elettorale del Veneto: è del tutto inappropriato teorizzare continuità tra l’epopea democristiana (qualsiasi sia l’apprezzamento su di essa) e l’avvento del forzaleghismo seguito a ruota dal legaforzismo. Non dovrebbero essere presi troppo sul serio politologi e sondaggiologhi che, lo dico per semplificare, hanno scambiato le barbabietole da zucchero con le patate.

    La DC, veneta in particolare, è morta per molte cause e per mano di molti assassini, ma non ha avuto né eredi né epigoni.
    L’aveva ben capito Toni Bisaglia, di cui Giaretta riporta affermazioni significative, ma non quelle che hanno avuto un carattere profetico in quanto hanno trovato nel decennio successivo alla sua morte prematura, concretizzazione drammatica.

    Nella primavera ’84 che precedette il suo tragico annegamento, in un Convegno nella Sala delle conchiglie a Villa (allora) Contarini – Piazzola sul Brenta – egli rivolse un monito alla schiera dei suoi capibastone dorotei che suonava così: “Abbiamo sovvenzionato e sostenuto sia finanziariamente che attraverso la discrezionalità amministrativa, gli interessi di Imprese e Lobbies, senza alcun risparmio e controllo. Ed ora ci troviamo di fronte al fenomeno non solo dell’illecito arricchimento degli ‘erogatori’ ma – e ciò costituisce la novità angosciosa e tragica – i beneficiati si stanno organizzando e rivoltando contro di noi, volendo assumere in proprio la gestione della Politica ed il ruolo delle Istituzioni”.
  1. La questione morale emersa negli anni ’90 nella nostra Regione ha significato e significa sostanzialmente alcune cose:
  • 1. Nessuno, sottolineo nessuno, per convenienza-opportunismo-ignavia, aveva voluto farsi carico del messaggio lanciato dall’acuto leader veneto-italiano.
  • 2. Il processo incestuoso della sottomissione della politica al mondo spregiudicato degli affari, parecchi dei quali molto sporchi, inquinanti ed impattanti sul territorio è continuato con livelli di ‘libertà’ e spregiudicatezza i cui effetti nefasti sono emersi alla superficie delle terre, delle acque e dell’aria parecchi anni dopo (su questo capitolo dolorosissimo e trascurato nel libro di Giaretta, rinvio al mio ‘Performance di sviluppo e buchi neri di un progresso scorsoio
  • 3. Il cambio di ceto politico-amministrativo avviato con le elezioni del 1994 e successive non ha significato l’inizio di un (peraltro richiesto dagli elettori veneti) necessario rinnovamento bensì il consolidamento della metastasi in corso, colta dai più come occasione per improvvisarsi in un ruolo di medico, infermiere, Oss (operatore sociosanitario) del tutto impreparati e disinteressati a farsi carico della malattia.
  • 4. Il grado di degenerazione intervenuto è clinicamente attestato dall’omaggio giornalistico a quello che, ex post, possiamo considerare un tragico Nerone (Il Nordest sono io, sic!) e dall’assenza di denunce e sussulti etici intervenuti solo, e troppo tardi per essere efficaci, ad opera di un cronista solitario (Renzo Mazzaro).
  • 5. E’ il caso di ricordare che il malaffare ha avuto modo di espandersi ben oltre il recinto democristiano che preoccupava Bisaglia, tanto che per fare un solo esempio esso fece cadere in tentazione il giovane brillante vicesindaco socialista di Padova Sergio Verrecchia, ma gli atti giudiziari e la cronaca politico-amministrativa hanno fatto riscontrare in modo inequivocabile la consorteria trasversale ai Partiti di Destra e di Sinistra incistata nei gangli dei poteri regionali e locali.
  1. La favoletta del ‘popolo veneto’, ovvero il riconoscimento (nell’ambito dello Statuto della Regione Veneto) di una specificità etnico-culturale unificante ai cittadini che risiedono in un territorio disomogeneo che a tutti gli effetti non è molto di più di un’espressione geografica delimitata con vecchi criteri amministrativi, ebbene, ripeto, tale favoletta andrebbe interpretata come un escamotage per tentare surretiziamente di portare a sintesi unitaria una realtà politica che si sarebbe espressa attraverso matrici (collegi elettorali) che orientavano la rappresentanza verso la tutela di micro interessi di gruppo e territoriali, disancorati da una visione progettuale e programmatica della Regione.

    Il fatto semmai da rilevare e chiarire è che l’ingenua pensata dei fondatori della Regione, si è dimostrata la pietra miliare della metacomunicazione della Liga Veneta la quale avendo scoperto il valore dei miti e dei simboli, ha costruito un culto della memoria basata sulla retrotopia, ovvero la sistematica distorsione della storia veneta collegata molto più –sentimentalmente – alla Serenissima che alla Costituzione Repubblicana.

    Ciò ha comportato che l’opinione pubblica veneta è stata quindi succhiata dentro una bolla mediatica con cui sono state recise le radici della pianta che aveva fatto crescere il Veneto democratico ed ha mascherato con massicce dosi di retorica localista, un deficit mostruoso di conoscenza storica e dello stato reale delle attese, delle contraddizioni e delle strategie di cambiamento necessarie per il Sistema regionale nel suo insieme e nelle sue peculiarità socio-economiche ed amministrativo-istituzionali.
  1. La conclusione e sublimazione del disancoraggio antropologico dalle radici storiche e politico-culturali del Veneto si è determinata con l’avvento di Luca Zaia alla Presidenza della Regione, a cui Paolo Giaretta dedica il quarto Capitolo, tratteggiando un profilo corretto e veritiero che ne riconosce i meriti ed allo stesso tempo ne evidenzia la debolezza.

Anch’io traggo le mie considerazioni conclusive di questo rapido excursus sull’Identità e rappresentanza politica del Veneto, soffermandomi sulla figura del personaggio che nella sua singolarità si è autoincaricato di proporre ai veneti un patto originale: “Non chiedetemi di esercitare la responsabilità politica che mi competerebbe in termini di scelte strategiche e di programmazione. Io in cambio vi eviterò di fare i conti con la storia di corruzione e malaffare che ha contaminato la nostra Regione deturpando e depauperando la funzione della Rappresentanza politica”.

E tale scambio è potuto essere suggellato grazie alla rivoluzione del linguaggio e della comunicazione intervenuta nell’ultimo quindicennio e adottata con molta perizia ed applicazione da un leader (Influencer) che è riuscito a far transitare la subcultura leghista naif delle origini al gran ballo dell’informazione social diventata lo strumento della disintermediazione e dello svuotamento della rappresentanza politica delegata al Presidente solitario impegnato a dialogare ed intrattenere un rapporto diretto con i cittadini.

Su tale fenomenologia ho scritto l’articolo sopracitato commentando libro che risulta davvero utile per integrare e completare la ricerca storica intappresa da Paolo Giaretta nella sua parte finale.

Aggiungo che seguendo passo passo le orme della carriera del Presidente veneto ho avuto modo di verificare e certificare un’opera sistematica di ‘avvelenamento dell’opinione pubblica veneta’ che soltanto la ricerca e la documentazione storica possono contrastare con efficacia.

Per tutte le considerazioni sopraesposte (di encomio e di osservazione critica) non posso che augurarmi che il libro sull’identità e la rappresentanza politica veneta riscuota un ampio successo, ma soprattutto diventi l’occasione per un’attenzione ed una riflessione più attenta ai passaggi della nostra storia contemporanea che restano ancora avvolti nella nebbia della disinformazione e della propaganda.

Dino Bertocco