Dopo la sciagurata stagione dell’incuria, della corruzione e della manomissione, implementiamo il modello veneto nell’ambito di un Servizio Nazionale rinnovato.
Documento per l’avvio di una discussione su: ‘de coronavirus e servizio sanitario’
Dobbiamo cominciare a prefigurare sin da subito il futuro del Sistema sociosanitario, nel vivo dell’emergenza COVID-19, avendo la piena consapevolezza che è indispensabile ripartire puntando su due direzioni:
A) Fare tesoro di quanto questo evento ci ha lasciato come lezione sui nostri valori, sugli stili di vita, sulle interconnessioni che legano visibilmente e invisibilmente il nostro pianeta e tutte le sue innumerevoli specie: fare tesoro significa riprogettare (ciascuno per la sua parte) il futuro capitalizzando (con massima semplificazione…) il bene e riducendo quanto più possibile il male. Facile ad enunciarsi, magari condividendo la posizione, molto più difficile e aleatoria la sua concretizzazione, sia a livello personale che organizzativo e istituzionale.
B) Definire un ordine di priorità e di ‘filiera degli interventi’ per rimuovere le paure, ritrovare il benessere e la fiducia, ridurre i conflitti e le pressanti povertà, spesso originate da corruzione, indifferenza e ingiustizie. Il sistema economico va messo nelle condizioni di ripartire, uscendo dall’infarto con buona dose di liquidità, con le banche ‘aperte’, con una tregua per gli assedi fiscali/contributivi (nel frattempo da rivedere strutturalmente) per giungere nel 2021 ad una messa a regime.
Il punto di partenza per ogni ‘tema’ va individuato in una azione/proposta di educazione: una società democratica cresce in termini di civiltà se sa rendere le persone coscienti e responsabili. Nessuno può negare che nel periodo di ‘resto in casa’ hanno vissuto meno la reclusione coloro che potevano fare leva sulla natura (dall’orto, al giardino, ai boschi), sull’arte (libri, musica, pittura…), sulla fede e su una tranquillità economica.
Premesso queste considerazioni di carattere generale e poste come semplici appunti, è importante una riflessione sul nostro sistema sanitario e sulle azioni prioritarie che ‘il fatto avvenuto’ tende a suggerire.
Servizio sanitario migliore, davvero?
Va subito detto che le continue affermazioni che il nostro è il sistema sanitario migliore al mondo sono risultate in poche ore e con terribili effetti false.
Non occorre documentare: basti dire che per quanto riguarda il Veneto dal 2002 al 2018 sono stati eliminati 430 posti letto di intensiva e dal 1999 6300 posti letto ordinari. Se intervistassimo un qualsiasi responsabile di struttura (per intenderci quelli che chiamavamo Primari) la risposta alla domanda “Qual è la maggiore preoccupazione di cui si sente gravato?”, la risposta sarebbe: “Il rispetto del budget!”, perché non casualmente le strutture sanitarie (dal territorio agli ospedali) sono denominate dagli anni ’90 aziende e come tali devono produrre: niente bilanci in rosso! Nel privato significa produrre utili, nel pubblico risparmi.
Ma non è il caso di soffermarci sul passato: lo citiamo solo per immaginare un futuro migliore, con una programmazione che abbia a cuore davvero le persone (e non il business, pure lecito), che instaurino un’etica e una deontologia che rispettino da un lato la professionalità degli operatori e dall’altra la persona-paziente. Il noto cantautore e medico Enzo Jannacci ricordava che paziente non significa uno che deve avere pazienza ma una persona che, come l’etimologia latina ricorda, sta soffrendo.
In realtà i decenni trascorsi e vissuti ‘nell’ambiente’ hanno evidenziato la quotidiana co-presenza di punti di vista sostanzialmente diversi con l’effetto di generare servizi radicalmente diversi, sia a livello di programmazione sia di gestione. Una constatazione suffragata da infiniti dati statistici, oltre che da dirette esperienze, è data dal fatto, da tutti riconosciuto, di squilibri assistenziali tra le diverse aree-realtà del Paese…
Consigliamo, per non disperderci in tante e sterili esemplificazioni, di perseguire ora una semplice, unica e onesta riflessione su cosa significhi mettere al centro la persona, superandone il diffuso uso come mero slogan e non come ‘stella polare’ per le scelte e le azioni, sia per coloro che hanno la responsabilità dei programmi e delle risorse sia degli gestori/operatori del Servizio Sanitario.
Il cambiamento necessario dentro di noi
Ebbene, quali possono essere le priorità che il nostro sistema sanitario deve affrontare una volta conclusa la fase di emergenza? Da dove vogliamo ri-partire quando ci troveremo un mondo comunque da ricostruire, non tanto fuori (non ci sono distruzioni, a differenza delle storiche guerre o di quelle che ancora avvengono in tante parti del nostro poco amato pianeta) ma dentro, dentro di noi come cittadini, persone, operatori, dentro i valori, le regole, le finalità dello sviluppo, i desideri e i sentimenti, l’ingegno, la scienza, le nuove generazioni e il loro soffocato ruolo…
E’ forse la ricostruzione più difficile perché è più spontaneo ritornare al passato e agire sui danni di un prolungato, tragico “fermo” di produzione economica: facile rischio se a decidere ‘il nuovo corso’ è ‘la vecchia generazione’ con le vecchie regole, con i vecchi vizi e virtù, con le vecchie verità.
Proviamo a indicare una scaletta di ‘obiettivi-contenuti’ nel campo strettamente della sanità (che è solo ‘un pezzo’ della salute, ovvero il benessere): si dovrebbe abbracciare un immenso territorio d’indagine a cominciare da quello ecologico, che non siamo in grado neppure di sfiorare, ma che va detto dovrà fare comunque da cornice indispensabile anche per costruire una buona sanità.
Ecco i campi di possibili (ed auspicabili) azioni
1. Riconoscere con provvedimento legislativo, quale fonte superiore rispetto ai contratti di lavoro, al personale sanitario, dei servizi essenziali a livello comunale, provinciale e regionale, e delle aziende municipalizzate un significativo premio di produzione con fondi ad hoc ma anche ‘prelevandoli’ dagli altri comparti/operatori che non svolgevano nel periodo attività essenziali d’emergenza, indipendentemente dalla loro o meno presenza in servizio. L’intervento oltre che essere un concreto ‘segno’ di risposta alla fatica e ai rischi affrontati da questo personale, vuole costituire una precisa, insindacabile modalità di retribuzione meritocratica.
Dare di più a chi ha dato di più, evitando che ‘furbetti’ vengano trattati economicamente e moralmente in modo uguale. Non si tratta di togliere, ma di dare ‘il di più’ a chi più ha dato. Altrimenti, le espressioni…eroi, angeli…sono pura demagogia e ritualità. E ciò a valere solo ed esclusivamente per il 2020 come legge d’intervento speciale, che provvederà altresì a prevedere un assegno speciale per i familiari dei deceduti in servizio a causa coronavirus. Da considerare l’ipotesi di borse di studio nel caso della presenza di figli orfani.
2. Poniamo due questioni che probabilmente non saranno neppure prese da nessuno in considerazione, ma si auspica che ne venga evidenziato e discussa la palese contradditorietà:
A) perché l’orario settimanale dei dipendenti pubblici è difforme da quello privato? Sarebbe tempo da ripristinare un’omogeneità accompagnando contempo misure sostanziose per favorire l’accesso al part-time;
B) perché non abolire la libera professione sia intra moenia che extra prevedendo un forte adeguamento delle retribuzioni al personale medico ospedaliero?
3. Ridisegnare le linee-guida di sistema e di pianificazione dal livello sanitario centrale, ridefinendo i parametri fondamentali sulle dimensioni degli ospedali (chiudere e trasformare in linea generale quelli piccoli attorno ai 200 posti letto e trasformarli…,), sulla media dei posti letto in linea con la media europea, le dotazioni organiche, gli investimenti in medicina preventiva e predittiva, i rapporti con gli enti che formano gli operatori sanitari (dalle Università ai centri di formazione professionale). Pur mantenendo il decentramento previsto in materia dalla riforma del Tit. V della Costituzione, il fatto coronavirus’ ha rilevato e rivelato che vanno rafforzati strumenti di pianificazione nazionale e provvedimenti coercitivi (seri e senza tante interpretazioni) contro le violazioni, dal commissariamento ai procedimenti giudiziari per le relative violazioni.
4. Investire nella medicina del territorio, ponendo a regime le ‘buone pratiche che in determinate e diverse realtà già esistono per quanto riguarda il ruolo dei medici di medicina generale (secondo le soluzioni ‘Ggruppo’) e dell’attività di Distretto, troppo spesso vissuta come ‘centro di burocrazia sanitaria’.
5. Ridefinizione di un Piano organico (da aggiornare almeno ogni due anni) di sanità e di protezione civile per le pandemie e le emergenze nazionali con un quadro generale di riferimento e con una organica declinazione (per regole e modalità) a livello decentrato, dal livello regionale a quello comunale: il piano prevede risorse per investimenti (dalle attrezzature alla formazione degli operatori) e per la gestione. Il piano si deve ricollegare ad una pianificazione generale per quanto riguarda la manutenzione del territorio rispetto alle sue note fragilità (terremoti, inondazioni, siccità, restauro edifici e opere storiche/d’arte). In questa direzione vanno rafforzati i Dipartimenti di prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali.
6. Impostare azioni di educazione sanitaria con interventi e strumenti capillari. La vicenda del coronavirus ha messo a nudo la diffusa e profonda carenza di conoscenze (= ignoranza) a livello della popolazione: le azioni spot o di buona volontà non creano una cultura di prevenzione ma solo buoni ma circoscritti eventi. Va organizzata non su basi volontaristiche ma istituzionali con una massiccia programmazione nazionale (anche per favorire una economia di scala ed una omogeneizzazione ‘di comunicazione’), con ricadute operative territoriali, utilizzando personale di distretto e del dipartimento di prevenzione. Gli ambiti d’intervento sono le scuole, le associazioni di categoria, i centri di formazione, le parrocchie… Tale programmazione va connessa con una parallela programmazione di educazione civica scolastica e per adulti, creandone l’anno zero, e rilanciando a livelli sia istituzionali che dei soggetti di rappresentanza sociale ed economica una educazione etica. Esistono già buone pratiche da usare come format per attivare rapidamente le attività educative.
7. Rivedere (ma anche questo è un ‘punto’ difficilmente praticabile se manteniamo una visione senza proiezione nel futuro) le scelte sulle case di cura private accreditate a carico del pubblico: senza negare che anche nel campo sanitario ci possono essere “i privati” è assolutamente incomprensibile che esistono privati pagati dal pubblico attraverso il meccanismo accreditamento-convenzionamento, e guarda caso in queste strutture confluisce buona parte anche di ex medici pubblici collocati in pensione. Va definita una scelta politica prevedendo un periodo transitorio di qualche anno (indicativamente 5) di congelamento della situazione in atto, prima di un suo radicale superamento.
8. Concentrare le strutture per la ricerca scientifica evitando dispersioni di risorse e di interessi, dando ‘in pasto’ ad un giornalismo da ‘fai da te’ occasioni per disorientare la gente e per delegittimare un qualificato, accreditato mondo tecnico-scientifico.
Una annotazione di metodo: evitare leggi che ‘rincorrono le virgole’ (poche e chiare regole erga omnes, per le eccezioni ci pensa il buon senso e il giudice…, e ridurre drasticamente la burocrazia che deve essere per se stessa interconnessa. Il paradosso è che abbiamo un esercito di amministrativi e di contro carenze di operatori sanitari!
Per approfondire:
- “Ecco perché in Germania si muore molto meno per Coronavirus rispetto all’Italia” (da peopleforplanet.it);
- “In Italy, going back to work may depend on Having the Right antibodies” (dal New York times);
- “Centralismo e regionalismo nella stagione del coronavirus” – di Gianclaudio Bressa e Ivo Rossi (da ivorossi.it)