Rigenerare la rappresentanza? Riguarda (anche) le associazioni imprenditoriali

Un saggio che ne analizza (e denuncia) l’involuzione indicando un programma di possibile innovazione organizzativa

Se vi assalisse la curiosità di rovistare tra le denunce dei redditi della ‘casta veneta’ e concentraste la vostra attenzione sui rappresentanti dell’Associazionismo imprenditoriale regionale, potreste rimanere ‘folgorati’ dal leggere certe cifre, diciamo clamorose, per non essere tacciati di moralismo usando la più appropriata aggettivazione, ovvero scandalose.

E vi chiedereste: per quale misteriosa combinazione di retribuzioni, benefit, rimborsi, gettoni, incarichi aggiuntivi, un ‘signore’ (che esiste davvero) con un curriculum ordinario – seppur arricchito da doti di leadership – può arrivare a percepire una somma di oltre mezzo milione di euro?

Beh, non vi dò subito una risposta, ma vi indico il percorso per trovarla: seguite le tracce della pluralità dei suoi abiti indossati e ruoli rivestiti, quasi sempre visibili e riscontrabili da dichiarazioni, partecipazione ad eventi, coinvolgimento in progetti ed iniziative…

Se sei il Presidente, il Segretario od un Dirigente di una sigla riconosciuta e ‘rappresentativa’, ti è quasi ‘naturale’ entrare in un giro di relazioni ed opportunità che ti consentono di alzare lo sguardo oltre la siepe della tua carica e scorgere orti-interessanti nei quali puoi intervenire mettendo a profitto (personale) le tue (presunte) competenze.

Il Veneto, per quanto attiene questa ‘fenomenologia associativa’ può vantare casi eccellenti: nel recente passato, per esempio, il clamoroso e devastante tracollo delle Banche Popolari, ci ha rivelato – tra tanti errori & orrori gestionali – che nei Consigli di Amministrazione succedutisi nel tempo, diversi membri, in quanto espressione, indicazione, suggerimento, delle Associazioni imprenditoriali, avevano trovato un comodo e ben remunerato strapuntino.

Sappiamo ormai molto delle cause strutturali dei fallimenti di BPV e BV, indicate nelle scelte strategiche velleitarie ed in una governance piena di buchi neri: ma sarebbe interessante anche un’indagine approfondita sulle scelte relative a finanziamenti, accrediti, fideiussioni, ecc., in cui erano in gioco progetti e pratiche di Associazioni e loro Rappresentanti in palese e colpevole conflitto di interessi.

Ma ancora una volta evitiamo il moralismo ed andiamo al sodo: ciò che emerge da quella vicenda non è solo il dolo, bensì una clamorosa incompetenza che richiama l’esigenza di verificare se essa continua a manifestarsi.

I nostri personaggi ‘incriminati’ (anche se non chiamati a giudizio) sono usciti di scena o restano imperturbabilmente attivi negli stessi ambienti associativi che li hanno catapultati nelle prestigiose sedi del potere bancario?

Una simile ricerca andrebbe realizzata in forma di indagine giornalistica, non necessariamente di inchiesta giudiziaria, per quanto riguarda la ragnatela di Enti e Società promosse dalle Camere di Commercio che, come abbiamo visto nell’intervista a Fernando Zilio ed al dibattito che ne è seguito, sono prolifiche e prodighe di incarichi e gettoni ai Rappresentanti delle Associazioni imprenditoriali.

Piena luce e trasparenza sui modelli gestionali e sui criteri di ripartizione delle risorse finanziarie in dotazione, in molti casi davvero cospicue, è sicuramente richiesta anche per gli ‘Enti Bilaterali’, Organismi che – particolarmente in Veneto – hanno una gloriosa origine, ma nel corso del tempo sono diventati degli ‘ammortizzatori sociali’ per le strutture associative che li hanno promossi attraverso la Contrattazione collettiva e che vi hanno attinto quote di finanziamento sostitutive delle mancate entrate provocate dalla riduzione degli iscritti, ovvero dalla crisi di rappresentatività.

Il saggio di Mirco Casteller e Carmelo Rigobello, ‘RIGENERARE LA RAPPRESENTANZA. E’ tempo di Organizzazioni in 3D’, proprio alle difficoltà ed al declino dei ‘Corpi intermedi’ dedica un’appassionata attenzione che deriva prioritariamente dalle intense e coinvolgenti esperienze professionali degli autori dedicate all’Associazionismo artigiano, vestendole da progettualità promozionali la cui unica funzione era la riduzione dei costi del sistema, ovvero compensare la crisi di rappresentatività. Aggravando di anno in anno il costo a carico delle imprese e dei dipendenti.

Nella Prefazione Francesco Bresolin, focalizza con rigore i fattori della crisi congiunturale e dell’innovazione tecnologica che mettono a dura prova gli assetti organizzativi di un Associazionismo al quale ‘è affidata molta parte della democrazia economica in Italia’, ma che evidenzia anche la ‘sofferenza di rappresentatività’ che esso manifesta, dovuta a problemi interni ovvero ad incapacità di adeguamento ai mutati scenari e soprattutto ad una perdita di contatto e di dialogo con la base’.

Rigenerare la rappresentanza. E' tempo di organizzazioni in 3D

Egli riconosce grande merito al testo in ragione del fatto che in esso si trova ‘una mirabile sintesi tra struttura e strategia, temi che da sempre hanno alimentato non solo dibattiti scientifici, ma anche conflitti gestionali e di governance’.

In effetti nel libro convivono un’analisi spietata, sorretta dal pieno dominio del territorio esplorato, dei limiti e contraddizioni del modello organizzativo tradizionale, ed una pulsione valoriale che è alla base di una proposta progettuale che contiene non solo le direttrici per una rigenerazione ma anche precise, meditate indicazioni operative per riorientare apparati e strutture verso l’innovazione.

E tale passaggio strategico comporta una rivisitazione critica della mission: ‘la creazione di un sistema in cui fornire non solo benefici materiali, pur essenziali (pensiamo alla gamma di servizi alle imprese che nel corso degli anni si sono moltiplicati in rapporto alle incombenze burocratiche-amministrative-fiscali introdotte dalla legislazione), ma soprattutto beni immateriali quali il senso di responsabilità, comportamenti etici, credibilità, reputazione, fondamentali per l’avvio di un nuovo modello di sviluppo’.

Risulta davvero stupefacente come nella sua lettura del saggio Bresolin rilevi ed espliciti con enfasi ciò che nel testo è espresso come un auspicio, ovvero che la proposta illustrata ‘volta a rigenerare le organizzazioni di rappresentanza potrebbe essere l’occasione per le associazioni di categoria di diventare potenti strumenti di cambiamento della società, della politica e soprattutto di quegli agenti fondamentali che sono le imprese’.

In realtà gli autori hanno adottato uno strumento di analisi troppo esigente e scrupoloso per lasciare spazio ad ipotesi ottimistiche.

Il ‘ bisturi’ con cui penetrano sotto la pelle delle Organizzazioni, ne evidenzia le debolezze endemiche nel contesto della crisi e di una società complessa che ‘provoca da un lato un processo di difesa e di arroccamento su posizioni del passato, dall’altro una spinta disgregatrice alla quale non si è data ancora una risposta adeguata’.

E la ‘prognosi’ che formulano è sconsolante: ‘In effetti, a tutt’oggi, questi cambiamenti non sembrano scalfire gli apparati, come se ci fosse una tendenza a non cambiare né cuore né pelle né cervello: non cambiano “dentro”, e quindi enti pubblici e organizzazioni di rappresentanza nella maggioranza dei casi rimangono immobilizzati nei loro stili e nelle connesse azioni. Con una mentalità decisamente ancorata al passato, forse perché ricco di privilegi’!

Ciò che nella parte introduttiva di questo articolo abbiamo segnalato come una fenomenologia deteriore osservato dall’esterno delle Organizzazioni, il saggio la evidenzia e denuncia come risultante della esplorazione diretta del loro funzionamento effettivo, con un linguaggio crudo, ai limiti del disprezzo.

Noi scegliamo di riportare integralmente il brano che riassume il messaggio che Carmelo Rigobello e Mirco Casteller hanno voluto lanciare, ovvero scuotere ‘il cuore, la pelle ed il cervello’ di quanti sono titolari di responsabilità in strutture ed organizzazioni restie a misurarsi con le sfide del cambiamento:

Il fattore più rappresentanza continua ad essere intesa come difesa di diritti e di interessi corporativi, di categoria, concezione che, se nel passato ha sostenuto importanti espressioni di democrazia e di rispetto di diritti/valori consegnando alla storia sociale del Paese risultati e riconoscimenti, ora segna il passo perché rischia avvitamenti ed involuzioni di grave natura patologica (….) troppi dirigenti trasformano la rappresentanza in un mestiere, in una scalata a posti in banca, in camere di commercio, in aziende municipalizzate, in incarichi politici, avendo come leva una ingannevole espressione tipo: “così contiamo di più!”. Spesso con un altro fattore patogeno: quello di porre rappresentanti al vertice di organismi anche se privi di una professionalità specifica, il passo dalla democrazia alla oligarchia (con raffinati camuffamenti…) è dietro l’angolo’.

Tale amara constatazione è il preludio ad una riflessione che sospinge gli autori ad una visione d’insieme della realtà, esaminandola attraverso uno sguardo antropologico-culturale per constatare che ‘Per quanto riguarda il ruolo dei dirigenti, possiamo dire che frequentemente registriamo gli stessi “vizi” e le stesse “virtù” diffusi nella classe politica: la tendenza a sviluppare una posizione di prestigio, ad acquisire vantaggi personali e privilegi, a compensare talvolta una non brillante attività imprenditoriale, a ricercare “carriere” anche ben remunerate’.

Non c’è, però nelle conclusioni del saggio, il cedimento al pessimismo ed alla delusione: vi traspare piuttosto una cognizione ancor più solida di quella che emerge nelle parti dedicate alla illustrazione delle caratteristiche, degli strumenti operativi e degli obiettivi delle ‘organizzazioni proattive’.

Da essa e per essa si possono trarre delle considerazioni che sollecitano ed impegnano ad un ulteriore salto di qualità nell’affrontare la sfida della ‘rigenerazione della rappresentanza:

I cambiamenti – pur essendo tecnici, economici, giuridici, tecnologici – producono grandi sbandamenti a livello culturale, soprattutto nei confronti della generazione “adulta”, in quanto abituata ad atteggiamenti e comportamenti diversi, frutto di faticose conquiste. Ecco perché si afferma che questo è un tempo di rivoluzione culturale: non ideologica, ma esistenziale, imprenditoriale, sociale. Dunque, in primo luogo, culturale, mentale’!

Le nostre conclusioni

Anche per noi, a questo punto, si rendono necessarie delle annotazioni in forma di prime parziali valutazioni:

  1. Innanzitutto per esprimere a Carmelo e Mirco le nostre scuse per avere finora ignorato un libro davvero prezioso, che ci ha fatto apprezzare la ricchezza interpretativa, l’onestà intellettuale e la sofferenza per un lavoro ancor più faticoso e stressante in quanto riversato su ‘edifici’ che hanno costituito la casa in cui hanno speso parte significativa della loro vita professionale, frequentando (e collaborando con) migliaia di amici e colleghi, con i quali hanno condiviso passione civile, sentimenti, valori, sacrifici.
  2. In secondo luogo per sottolineare che ci appare ‘singolare’ e probabilmente non casuale che un tale libro abbia avuto una circolazione circoscritta e soprattutto non sia diventato un documento basico per la promozione di una mobilitazione cognitiva e processi formativi intensi e prolungati da parte delle Organizzazioni a cui era espressamente indirizzato.
  3. In terzo luogo per segnalare sommessamente che il nostro webmagazine si propone di essere uno spazio ed uno strumento di discussione e divulgazione peculiarmente sugli argomenti focalizzati nel libro.
  4. Infine per affermare, anzi confermare, che sarà nostro precipuo impegno mettere al centro della nostra linea editoriale la questione della rigenerazione di tutte le rappresentanze che, anche noi, abbiamo identificato come passaggio ineludibile per affrontare quella che abbiamo definito la ‘crisi epistemica della classe dirigente veneta’!

Dino Bertocco