Report in Veneto, lettera aperta al “montanelliano” Luigi Bacialli

Il direttore dei tg di Antenna 3 e Reteveneta ha difeso Zaia dall’inchiesta della trasmissione di Rai3 con una rabbia che è la spia di un malessere. Non suo, nostro, di cittadini oppressi dal conformismo: la mancanza di una decente critica giornalistica nel regno dello Zaiastan


Caro Luigi Biacialli direttore di Medianordest (Antenna 3, Reteveneta, Telenordest, Telequattro),

la lettera aperta qui di seguito Le giunge da questo blog che liberamente ospita interventi di cittadini veneti non allineati da parte di un collega che non ha, anche per ragioni anagrafiche, la Sua pluridecennale esperienza, non è stato caporedattore con Indro Montanelli, non ha diretto quotidiani nazionali come L’Indipendente e storiche testate come il Gazzettino, che non ha fatto gavetta, non foss’altro per l’avvento del digitale, in giornali che ai tempi uscivano al pomeriggio, come fece Lei a La Notte di Nino Nutrizio, nè può vantare notorietà e prestigio pari ai Suoi, se non il modesto orgoglio di un onesto lavoro là dove mi è stato possibile svolgerlo. E’ mia convinzione, tuttavia, che non si debba possedere i galloni di generale per sottoporre a critica gli alti esponenti della categoria: è sufficiente avere un po’ di cervello (non molto, quel che basta) e la volontà di esporsi (che invece ha da esser parecchia, specie nella regione del “mi no vado a combatar“, del non voglio problemi, non voglio rogne).

Report fa politica?

Il 28 aprile un Suo fondo liquidava sprezzantemente la puntata di Report di due giorni prima, dedicata alla gestione della pandemia in Veneto, come “una brutta pagina” di giornalismo “basato su telecamere nascoste, gole profonde, accuse più o meno fantasiose”, nè più nè meno come un tentativo di “screditare” la sanità regionale con “accuse infamanti nei confronti dei vertici delle istituzioni locali, basate su congetture, illazioni, prove non verificate, testimonianze anonime”. Una vera e propria “operazione-sputtanamento fatto ad arte” contro il Veneto colpevole “di volere l’autonomia, di essere davanti agli altri, di avere un governatore più popolare degli altri”, attraverso la tecnica di “demolire l’avversario a prescindere”, in sostanza sfiorando il “venticello della calunnia”, fatto questo ancor più grave poichè la trasmissione di Sigfrido Ranucci fa parte del “servizio pubblico che prende un canone che viene sfilato dalla bolletta della luce”, e dunque “dovrebbe assicurare altrettanti attacchi in altre direzioni”, perchè “le critiche van sempre bene, purchè non siano processi sommari com’è stato questo”. A Suo dire, dato che qui “le vaccinazioni vanno avanti a ritmo serrato”, possiamo essere soddisfatti di “un governatore, una giunta e una politica che sta cercando davvero di risolvere i problemi e mettere in sicurezza i cittadini”. Perciò, in base al teorema Speranza (s’intende il ministro della Salute, secondo il quale non è opportuno strumentalizzare politicamente il virus), i giornalisti della Rai avrebbero dovuto evitare di “far politica”.

Sollevare dubbi? Un dovere

Il video dell’editoriale su Youtube (che si può vedere qui, comunque) è stato rimosso. Piacerebbe sapere come mai. Ad ogni modo, il Sindacato ha rilanciato una nota molto dura del Comitato Redazione della Rai del Venetonei suoi confronti, mentre, naturalmente, la stampa regionale non si è minimamente curata di dar conto della Sua difesa a spada sguainata di Luca Zaia. Sbagliando, secondo me. Non perchè Lei abbia bisogno di un’ulteriore grancassa mediatica, visto che una tribuna ce l’ha ed è pure importante, ma perchè rappresenta una significativa cartina di tornasole di cosa voglia dire fare informazione non soltanto secondo Lei, ma per i molti che la pensano come Lei. La sua posizione, se la riassumo bene, è la seguente: un gruppo di giornalisti i quali, desumendo per logica dal Suo definire Zaia un “avversario”, potremmo definire di sinistra (cosa, questa, in sè non infamante, a quanto ci risulta) ha costruito una requisitoria non per far luce su dati di realtà non ancora emersi o non del tutto chiariti, come l’incredibile discrepanza fra il 95% di asintomatici in Veneto contro una media nazionale del 60%, o la motivazione esternata off the records di non voler rischi legali dal privato produttore dei tamponi rapidi, ma per gettare discredito su un’amministrazione di centrodestra di cui sono sgradite la battaglia sull’autonomia e la popolarità del suo leader, che invece merita solo elogi. E tutto questo, a Suo parere, montando un servizio costruito tecnicamente in modi inaccettabili. Ora, partendo da questi ultimi, sommessamente posso opinare anch’io che, ad esempio, non aver reso edotto il telespettatore che quasi tutti i testimoni in chiaro erano del Pd o vicini al Pd (uno su tutti Alessandro Bisato, sentito in qualità di sindaco di Noventa Padovana quando è anche segretario regionale dei Dem, ruolo omesso nel sottopancia), non è stato un fulgido esempio di trasparenza. Ma l’uso della telecamera nascosta, quando l’informazione ricavata ha il requisito dell’essenzialità – e pare fuor di dubbio che quella “confessione” del direttore della sanità Flor, essenziale lo fosse – non è una pratica barbara, tutt’altro. Idem per la testimonianza anonima per la quale fa fede la credibilità degli autori del servizio (e anche su questo, permetta, non sembra si possa contestar nulla a Report, che l’autorevolezza se l’è conquistata in anni e anni di scoop). Quanto a congetture e illazioni, si potrebbero anche chiamare dubbi, i legittimi dubbi che un giornalista deve poter sollevare, perchè se avesse solo certezze matematiche e vidimate le inchieste non si farebbero mai: ci si limiterebbe a ripetere a bacchetta la versione ufficiale delle fonti istituzionali e finita lì (una concezione che pure qualche insigne collega ha avuto il coraggio di teorizzare, ma lasciamo perdere).

Pubblico unico giudice

Venendo al nocciolo della questione per cui Le scrivo, Lei in cuor suo non crede che se un singolo approfondimento su un canale nazionale ha destato un simile putiferio, con non una ma ben due Procure, Padova e Vicenza, che hanno aperto indagini sull’affidabilità dei tamponi antigenici di prima e seconda generazione, se la Regione con i soldi dei contribuenti ha presentato un esposto per diffamazione contro Crisanti non solo per quel suo studio (non ancora un’evidenza scientifica, d’accordo, ma pur sempre uno studio di un membro del Cts regionale, scivolato poi sull’imprudente auto-accostamento con Galileo Galilei) ma anche per semplici opinioni espresse sui media (e un giornalista dovrebbe sapere quanto sia il più delle volte pretestuoso, se non peggio, il ricorso ai tribunali sul diritto di critica), sul serio non le viene una mezza perplessità che serva come il pane, da queste parti, un’informazione che cerchi di mostrare quel che non funziona piuttosto di quel che fila liscio, compito questo per cui lavorano già alacremente gli uffici stampa? E cosa vuol dire che un servizio pubblico dovrebbe garantire fari accesi anche su altri obbiettivi? Ogni testata, anche pubblica, ha la sua linea politica ed editoriale. Di destra, di centro, di sinistra, di tutto e il suo contrario n’importe quoi, ciò che importa è che informi con onestà intellettuale, chiaramente dalla propria prospettiva. Lei ha la sua, di convinto sostenitore della giunta Zaia, un altro può averne una opposta. Qual è il confine fra critica “che va bene” e “processo sommario”? Se ci fossero estremi per violazioni deontologiche, abbiamo un Ordine che dovrebbe vigilare (e se non lo fa, si può sempre segnalarlo). Altrimenti Lei, che fra l’altro è un assertore del libero mercato, mi insegna che il solo giudice è il lettore (o in questo caso, il telespettatore). Anche e soprattutto, ovviamente, nei riguardi delle televisioni private, che pure qualche soldo dal “pluralismo” del pubblico lo pigliano.

Contropotere

Dal 2019, nominato dalla suddetta giunta, Lei è alla presidenza (gratuita) della Veneto Film Commission. Non so se questo sia inopportuno o no, so però che sarebbe meglio che in Veneto esistano anche voci che, specularmente alla Sua, siano apertamente all’opposizione. Quando Montanelli dovette lasciare il Giornale per non piegarsi al diktat berlusconiano, Lei lo seguì in quella romantica e disperata impresa, durata poco, che fu La Voce. Nel suo editoriale d’esordio, il suo Maestro scrisse: “saremo certamente all’opposizione. Un’opposizione netta, dura, sia che vinca l’uno sia che vinca l’altro. Il difficile sarà distinguerci dall’altra opposizione. Se vince questa destra noi certamente gli faremo opposizione, cercando però di distinguerci da quella che gli faranno a sinistra. Se vince la sinistra noi faremo opposizione ugualmente ferma cercando di distinguerci da quella che gli faranno gli uomini della cosiddetta destra”. Non è necessario nè giusto essere contro per partito preso, ma quel che è sicuro è che essere più realisti del re, per altro con toni risentiti che non abbiamo udito nemmeno dai diretti interessati (Zaia preferisce far lo gnorri, è più comodo), non è esattamente ciò che si ci aspetterebbe. Un giornalista nel 2008 ha scritto: “Se non sono i giornali a essere «scomodi» chi altri, là dove nessuno vuol esporsi per timore di ritorsioni, potrebbe rappresentare meglio la critica, la discussione e il dissenso, ovvero il sale di ogni vera democrazia?”. Quel giornalista, egregio direttore, era Lei, nella pagine di “Casta stampata. Vizi, virtù e privilegi dei giornalisti”, un bel libro autobiografico in cui la prefazione, firmata da Massimo Fini – della cui amicizia e direzione, in un’altra Voce che si chiamava del Ribelle, nel mio piccolo mi onoro – si chiudeva così: “abbiamo perso la capacità di essere un «contropotere» nei confronti della classe politica. Perchè, nella stragrande maggioranza dei casi, ce ne siamo fatti servi. Non per nulla i media vengono chiamati, spudoratamente e senza nemmeno che più ci si accorga di che cosa questo significhi, gli «strumenti del consenso». E abbiamo fatto la fine che tocca, meritatamente, a tutti i servi. Non contiamo più nulla”. Lei invece conta, direttore. Per questo, a mio personalissimo avviso, non avrebbe dovuto ringhiare così, a difesa di chi sta oggi al potere in Veneto.