Caro Zaia, non siamo tutti cretini

Palesemente in difficoltà dall’inchiesta di Report per l’autodafè del numero uno della sanità Flor, mister Scaricabarile ne esce per com’è: un uomo che non sa prendersi le sue responsabilità


Per nessun motivo al mondo vorremmo essere nei panni di Luca Zaia. No, non per il rinculo della puntata di Report andata in onda ieri sera (“Il giallo veneto”, servizio di Danilo Procaccianti, Rai 3, 26 aprile), dal momento che non ci sarà nessun rinculo e l’imperturbabile presidente di Regione scivolerà come al solito sul velluto. Il cordone di difesa, d’altronde, è già in azione. A mo’ di esempio, è sufficiente leggere la chiusa dell’articolo di stamane del Giornale di Vicenza che, bontà sua, a differenza del Gazzettino, ha quanto meno parlato del caso: “Il presidente Zaia, anche se intervistato (da Report, ndr), oggi avrà modo di smontare ogni accusa dall’unità di crisi di Marghera” (sic). Sarà contento il portavoce Carlo Parmeggiani, di tanto zelo anticipatorio. E’ per un’altra ragione che non vorremmo essere Zaia: perchè al posto suo andremmo a nasconderci dietro un salice piangente, piuttosto di scappare, come di fatto fa regolarmente e ha fatto anche stavolta, davanti agli inquietanti dubbi sollevati dai dati e dalle testimonianze raccolte dalla tramissione di Sigfrido Ranucci. Dice: ma sempre di nascondersi si tratta. Vero, ma per mister Scaricabarile è una tecnica che non ha nulla a che vedere con la vergogna, sentimento proprio di chi tiene alla faccia prima che a tutto il resto. Zaia tiene di più a tutto il resto. Cioè all’immagine bronzea di chi non ammette mai un errore, e se errore è stato, è logicamente da attribuire al capro espiatorio di turno. Uno psicoterapeuta direbbe che trattasi di banale sindrome narcisistica che impedisce di assumersi la responsabilità. E Zaia, piaccia o no a lui o ai suoi accoliti, è responsabile finale degli atti compiuti anche dai famosi tecnici, anzi, da tutto ciò che dipende dalla macchina che egli ha non solo l’onore, ma anche l’onere di amministrare, pagato con gli schei nostri, e per giunta eletto semi-totalitariamente con un 77% che non lo sgrava, semmai ancor più lo grava del peso di ogni fatto riguardante la Regione Veneto.

Il gioco delle tre scimmiette

E’ stato Zaia, tanto per cominciare, a scegliere fiduciariamente Luciano Flor come direttore della sanità regionale. Se Flor nel tragicomico off the records visto ieri (parentesi: ma possibile che questi dirigenti con fior di curricula e stipendi non sappiano come funziona il giornalismo d’inchiesta e ci caschino sempre? chi è l’ingenuo, dottor Flor?) ha rivelato che era “meglio dire che non esiste” lo studio sulla parziale inaffidabilità dei tamponi rapidi, inviato il 21 ottobre scorso dal professor Andrea Crisanti, carta canta, a lui (che allora dirigeva l’Azienda ospedaliera di Padova) e per conoscenza anche alla direttrice della Prevenzione, Francesca Russo, altrimenti la ditta produttrice, la Abbott, avrebbe potuto far causa, non siamo forse di fronte a un’aperta autosconfessione rispetto a quando, a telecamere accese, aveva sostenuto che semplicemente non c’era alcuno studio autorizzato, senza altre spiegazioni? E quando il capo della struttura più importante dell’intero ente, con il compito di curare e possibilmente di salvare vite, si comporta così, è plausibile che il presidente, repetita iuvant responsabile davanti ai cittadini, se ne lavi le mani come ha fatto nella consueta conferenza stampa-farsa di oggi, dichiarando che “il comportamento di Flor non mi compete”? Dato che a Zaia piace tanto la metafora (demenziale) del pubblico come azienda, sarebbe concepibile che un amministratore delegato faccia spallucce, se il suo primo collaboratore in un settore nevralgico fosse beccato a dire una cosa per un’altra, essendoci fra l’altro dei morti di mezzo? Come minimo, sarebbe costretto a renderne conto. Invece Flor manco era presente, oggi. Di più: Zaia, pensando evidentemente che ad ascoltarlo ci fossero dei cretini lobotomizzati, ha premesso serafico che Report di ieri sera, in cui pure compariva fra gli intervistati, lui non l’ha visto. Come dire che vale zero, quel che ne è uscito (o mal che vada, anche qua con notevole faccia di tolla, a suo avviso dimostrerebbe “la trasparenza” del suo operato). A casa nostra, questo significa offendere l’intelligenza altrui.

Crisanti, chi era costui?

Ma non è mica finita. Flor assente ingiustificabile, anche la Russo non avrebbe concesso un minuto del suo tempo per visionare la tramissione. Praticamente erano tutti impegnatissimi, ieri sera. Non solo: la Russo, imperterrita, ha ripetuto la solfa di non aver ricevuto lo studio Crisanti (in due parole: se era vero che 3 su 10 tamponi rapidi di prima e seconda generazione non davano risultati attendibili, voleva dire che nella seconda ondata di ottobre-gennaio sono stati mandati a lavorare camici bianchi e infermieri potenzialmente positivi al virus, specie nelle Rsa piene di anziani fragili), quando è stato inoppugnabilmente mostrato il contrario. Se poniamo fosse vera la versione della Russo, ciò non equivarrebbe a un vuoto da poco, perchè a firmare quel documento non era un quidam a caso, ma il microbiologo che nella prima fase pandemica era stato l’artefice del metodo Vo’ (“case history unico”, cit. Zaia) che, applicato su vasta scala, ci avrebbe probabilmente risparmiato la vita da galera che abbiamo fatto in questo lungo snervante annus horribilis. Sostanzialmente la Russo, che una certa dose di ingenuità deve averla pure lei, ha ammesso che Crisanti, eroe in primavera, in autunno non era degno neppure di essere preso in considerazione. Il che rafforza la tesi di quest’ultimo, secondo la quale Zaia e la sua cerchia di fedelissimi tecnici hanno continuato a difendere l’uso massiccio di rapidi per prendersi il merito politico di tenere in fascia gialla i veneti.

Asintomatico sarà lei

Lo scoop di Report però riguarda il numero di asintomatici che sarebbe stato gonfiato, secondo una testimone anonima che lavora come tracciatrice proprio al Dipartimento Prevenzione diretto dalla Russo (anonima, certo, perchè ha un bel dire Zaia che per eventuali ritorsioni lavorative “c’è il sindacato che può far denuncia”: quale semplice dipendente rischierebbe il tritacarne, anche solo giudiziario?). Nel calcolo dell’indice Rt che influiva sull’assegnazione del colore delle Regioni, solo i positivi sintomatici venivano conteggiati. Più asintomatici, quindi, meno rischio di finire in arancione o in rosso. A sentire la gola profonda, a novembre si sarebbe accorta che i contagiati sarebbero stati classificati di default come privi di sintomi, con “schede precompilate” anzichè essere contattati ad uno ad uno dai tracciatori telefonicamente. La Russo replica che non era umanamente possibile star dietro all’ingolfamento di quel periodo (“momenti di non performance”), e in più ci sarebbe stato un errore tecnico nel trasferimento dei dati da un sofware a un altro. Qui bisognerebbe analizzare attentamente i numeri girati successivamente a Report per comparare con esattezza i tempi, perchè mentre la media nazionale di asintomatici a ottobre era del 60%, in Veneto, come si può udire in questo video, Zaia dichiarava addirittura un 95% (“non c’è emergenza sanitaria”). Ma sì, lo schizzare in alto di tutte le voci, contagi, mortalità e compagnia brutta (2 mila deceduti in più della media italiana) è stata “una folata di vento fuori dal comune”, colpa delle varianti, e poi quel benedetto tampone molecolare, cioè non veloce, avrebbe paralizzato il personale ospedaliero e delle case di riposo, inoltre i due primari di Padova che prima hanno preso le distanze da Crisanti e poi hanno parlato di “essere stati presi per il collo” e poi hanno smentito, che volete che importino, è Crisanti a essere “un puro, un ingenuo”, come ha detto sprezzante Flor non comprendendo di rendergli invece omaggio (“chi è indipendente non è governabile”, ha chiosato Ranucci); e anche quella piddina della Laura Puppato, che invia esposti a tutte le procure e scopre che a Montebelluna, la settimana prima di un’annunciata ispezione del Ministero, i ricoveri sono crollati stranamente solo lì, che cosa pretende, la verità? Meglio tacere, abbozzare, far finta di niente, minimizzare, negare, svicolare, e sia benvenuto piuttosto il medico veronese vicesegretario dell’Anaao, che si è adontato con apposito post contro quei lazzaroni di Report che gli hanno rubacchiato le dichiarazioni, perchè il “tempismo”, passati quasi cinque mesi dal “picco”, gli sembra “fuori luogo” – come se la verità andasse in prescrizione a scadenza quadrimestrale.

Marzullesco

La verità, la verità, signori. Quella cosetta fastidiosa che dovrebbe essere la prima preoccupazione dei giornalisti, pur consapevoli che mai può aversi tutta, o del tutto. Nel centro di diffusione propagandistica di Mestre, quest’oggi Zaia si è anche tolto lo sfizio di ridicolizzare i cronisti presenti rivolgendosi alla Russo così, testuale: “Siccome nessuno qui ha il coraggio di chiederglielo, glielo chiedo io: qualcuno le ha chiesto di caricare gli asintomatici?”. La sventurata rispose: “E’ una domanda che non merita risposta”. Ecco, dai, su, basta con l’ipocrisia degli inviati dei giornali schierati a far sembrare quelle passerelle delle conferenza stampa: se le faccia da solo, le domande, Zaia, e da solo si risponda. Non solo per sè, anche per gli altri (per dire, l’assessore alla sanità Manuela Lanzarin, a cui il Duce, pardon Doge, ha rinviato la pratica di un buffetto a quell’imprevidente di Flor, non ha spiccicato parola per quasi un’ora e mezza. Umiliante). La verità, dicevamo. La verità è che l’imperdonabile orrore che suscita Zaia non sta nell’aver cercato di tenere la sua gente al riparo dalle restrizioni più dure per non far collassare l’economia, ma precisamente nell’evitare una pur sacrificante operazione-verità che avrebbe sì, magari provocato il passaggio in rosso prima, ma non lo avrebbe esposto alle accuse di un giallo fittizio adesso. Cosa volete, è prassi di un certo tipo umano preferire il nascondimento, il gioco delle tre carte, il dribbling scansabuche piuttosto di avere le palle di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Perciò, e non per altro, siamo fieri di non essere come Luca Zaia.