Orgoglio veneto tradito

Il triste vaniloquio davanti al cimitero

Nel volto scavato dall’insonnia e dallo stillicidio di cifre inequivocabili, le occhiate che emergono dalla mascherina sono sufficienti a segnalare la grande delusione e il fastidio per aver conseguito un primato che sa di macchia.

Il fiume di parole, i cartelli alzati con su scritti a chiare lettere numeri che confondono e si confondono ieri raccontavano un’altra realtà.

Quei numeri che fino a pochi giorni prima servivano a dimostrare la superiorità del Veneto rispetto al resto del mondo, ottenuta grazie alla guida illuminata ed alla migliore squadra dell’emisfero nord, quei numeri dal 5 dicembre sono impressi su fogli che certificano un primato diverso, che mette in discussione quello faticosamente costruito.

Mettono in discussione il vaniloquio della superiorità della medicina territoriale rispetto al resto d’Italia, ed in particolare di quella lombarda. Mettono a nudo la narrazione fedelmente riportata dai tanti Filippo (a proposito, che sia vera la malignità di Crozza sul fatto che Filippo è figlio di Don Bertolo?) che in questi mesi si sono trasformati in educati cortigiani, infaticabili costruttori della mitologia del veneto faber e del suo inarrivabile ‘governatore’.

3.638 positivi, per la prima volta, collocano il Veneto al primo posto nella non invidiabile classifica del contagio.

Eppure siamo la metà degli abitanti della Lombardia che, nonostante Galera, grazie alle misure adottate migliora mentre noi andiamo indietro.

Altri 78 morti, portano a 4194 le vittime, fatto non solo di nonni, quegli stessi nonni che Luca chiede che i nipoti possano vedere a Natale, e Dio non voglia, malauguratamente infettare.

Con la nuova classifica il vero rischio è che crolli il mito del Veneto immacolato e del suo prev(s)idente!

Un uomo riconosciuto ed osannato su tutti i media per le sue doti di buon senso, novello salvatore nella prima fase della pandemia, quello che aveva fatto tutte le cose per bene e per primo.

Lo stesso che aveva ingaggiato Crisanti per fare i tamponi a Vo e che, anche dopo aver estromesso il virologo, ha continuato a rivendicare il primato dei suoi compiti fatti a puntino.

Ma soprattutto il protagonista assoluto ed incontrastato della soap opera di maggior successo nelle Tv locali della Regione, realizzata con la genialata della trasformazione della sede della Protezione Civile di Marghera in uno studio televisivo.

Da quella sala di registrazione è andata in onda una diuturna conferenza in cui, senza domande inopportune, veniva sciorinato un resoconto confortevole, contenente la metacomunicazione di una terra fortunata perché governata dal tocco magico del suo caro leader.

Ebbene, ogni puntata – fino a pochi giorni fa – descriveva Luca come un salvatore che si calava sui tanti Lazzaro stesi sui letti d’ospedale facendoli risorgere.

Ora, d’improvviso e traumaticamente, quel mito faticosamente costruito di un popolo eletto e del suo eroe, si infrange davanti al bar dove molti, troppi veneti illusi di appartenere ad una umanità privilegiata, si incontrano rigorosamente con la mascherina abbassata, calice in mano per conversazioni ad un palmo di naso.

Così per condividere quel drop-let invisibile che, a parte i fastidi dell’alitosi, che male vuoi che faccia.

Tanto è in arrivo Natale e le cene con i nonni attendono di diventare nuovi numeri di un incubo imprevisto.

E di fronte a questo, forse per la prima volta, Luca, umanamente colpito, si ritrova a fare i conti con un popolo che sembra non riconoscere il capo e le sue raccomandazioni.

L’Osservatore veneto