Lombroso e il Sud. Il contradditorio ruolo della Sardegna e dei Sardi

di Giuseppe Gangemi

Nel volume Lombroso e il Sud è presente un saggio, di Rosario Perricone, che affronta il tema della paura di Lombroso di essere impopolare. Perricone trova questa paura in una lettera di Lombroso a Giuseppe Pitré. Quest’ultimo e Lombroso si scambiano, nel corso di 33 anni 16 lettere, di cui sono state ritrovate fino a oggi 15 scritte da Lombroso e solo una da Pitré. La corrispondenza comincia dopo la pubblicazione de L’Uomo delinquente, nel 1876.

Giuseppe Pitré recensisce negativamente il volume su La Rivista Europea. Lombroso reagisce scrivendogli per giustificare le proprie argomentazioni e negare che esse abbiano origine da “sprezzo” od “odio”. Anzi, sostiene che si tratti di “vero proprio amore che vuol scoperte le piaghe perché si riparino. La Sicilia ha uomini che superano in ingegno tutti gli altri d’Italia … ma è in stadio di evoluzione sociale arrestato per le condizioni politiche – e bisogna che si metta all’unisono – e perciò occorre che ci mettiamo tutti d’accordo – noi nel rivelare voi, nell’aiutare a curare”.

Trovo molto significativi tre passi in questa lettera e sono, direttamente una, indirettamente le altre due, collegate alla Questione sarda.

Prima frase, indirettamente collegata alla Sardegna: “La Sicilia ha uomini che superano in ingegno tutti gli altri d’Italia” è una rassicurazione. Vuol dire che i Siciliani non potrebbero mai essere giudicati come i Sardi dei quali, per i primi tre quarti di quel secolo, si andava dicendo che la prova dell’essere i Sardi una razza non occidentale, probabilmente di origine negra, stava nel fatto che il popolo sardo è rimasto del tutto assente dallo sviluppo della civiltà occidentale, come mostra la mancanza di uomini illustri. In altri termini, parlando della Sicilia come luogo di nascita di uomini illustri, Lombroso mette le mani avanti facendo intendere a Pitré che quanto si dice dei Sardi non si può pensare dei Siciliani.

Seconda frase, direttamente collegata alla Sardegna: “guai se a un Piemontese si dice che vi è cretinismo più che altrove; guai se a un Melfese si dice che la Basilicata è il paese più infrollito d’Italia – ed io ho sul tappeto un lavoro sui Sardi (che credo derivati da popolazioni Negre) che io non ho coraggio di pubblicare per timore di vedermi anzi contro tutti i Sardi come un sol uomo”. Ho cercato di spiegarmi il perché di questa confessata paura dei Sardi, che ne L’Uomo delinquente Lombroso ha mostrato di non avere nei confronti dei Napoletani e dei Siciliani: sia i primi, sia i secondi vengono accusati di avere esibito forme di cannibalismo sociale (nel 1799, a Napoli, con i Sanfedisti in rivolta; nel 1866, a Palermo, con i protagonisti della rivolta del Sette e mezzo). Questi ultimi sarebbero addirittura arrivati all’infamante comportamento di avere offerto al pubblico e venduto carne umana.

Inizialmente, ho cercato la spiegazione nel passato della Sardegna e credevo di averla trovata nel falso, costruito nel 1845, per reagire all’accusa di non avere avuto uomini illustri che abbiano contribuito allo sviluppo della civiltà occidentale: le Carte d’Arborea che accreditavano la presenza di una resistenza militare e culturale sarda ai Bizantini, nel VII

secolo, e agli Spagnoli, nel XIV. I falsi eroi di quelle resistenze diventano, per i Sardi, personaggi da assumere come modelli. Negli anni della lettera a Pitré, i Sardi ancora vanno costruendo monumenti e intitolando vie a questi eroi immaginari che la ricerca storica ha dimostrato non essere mai esistiti. Da questa esperienza, è stata la mia prima spiegazione, sono nati i timori di Lombroso, confessati a Pitré, di suscitare le reazioni di tutti i Sardi.

Terza frase, rivolta a tutti e, quindi, anche ai Sardi: l’atavismo nasce da uno “stadio di evoluzione sociale arrestato per le condizioni politiche”. Se questo è vero, è evidente che Lombroso potrebbe avere avuto una motivazione, diversa dalla paura, per non fare la ricerca sull’atavismo dei Sardi, che dichiarava di voler fare nel 1876 e che non ha mai realizzato.

Finché si è limitato a dichiarare atavici esclusivamente i sudditi dell’ex Regno delle Due Sicilie, le condizioni politiche che hanno messo queste popolazioni in stadio di evoluzione sociale arrestato, potevano essere costituite solo dai governi precedenti quello Sabaudo (cioè il governo borbonico e quello spagnolo); ma se anche i Sardi vengono dichiarati atavici, le condizioni politiche che hanno messo in stadio di evoluzione sociale arrestata, tale da produrre l’atavismo dei Sardi, possono essere anche quelle costituite dal governo sabaudo che ha governato la Sardegna per 150 anni (per più tempo di quanto i Borboni abbiano governato le Due Sicilie), prima dell’Unificazione.

Se l’atavismo dei Meridionali è responsabilità anche dei Sabaudi, allora non può più essere vero che l’atavismo sia causa di un arresto dovuto a fattori politici uniti a una questione di razza: l’arresto di civiltà è assente al Nord dove vivono gli Ariani, a cominciare dai Piemontesi, ed è presente al Sud dove governanti e governati sono di origine africana.

Solo dopo i Fasci Siciliani, Niceforo trova il coraggio di scrivere La delinquenza in Sardegna. Ormai le teorie lombrosiane dilagano in Sicilia (per merito della frattura tra popolo basso e classe dirigente approfonditasi con i Fasci Siciliani) e sono assenti in Niceforo i timori di Lombroso.

Nel 1871, la teoria dell’atavismo meridionale era servita a Lombroso per attribuire la responsabilità di quei 10 anni di brigantaggio o, meglio, di massacri e guerra civile tra Italiani, all’atavismo dei Duosiciliani.

Quando Niceforo estende l’atavismo anche ai Sardi, Lombroso accetta il fatto compiuto e si preoccupa solo di sganciare la teoria dell’atavismo da una rigida impostazione territoriale. Egli ridefinisce la teoria delle due razze stabilendo che, non più tutti i Settentrionali ariani e tutti i Meridionali africani, bensì i Settentrionali ancora tutti ariani, mentre i Meridionali vengono suddivisi tra popolo basso di razza africana ed élite di razza ariana.

Lombroso enuncia questa riformulazione in quattro articoli: due sul Corriere della Sera e due su La Lettura, rivista mensile del quotidiano milanese.