Veneto: il discorso pubblico in avaria

TvTalk come fumerie, giornalisti inappetenti e corrivi, cazzeggio social autogratificante.

C’è da chiedersi: ha senso angustiarsi per lo stato comatoso dell’informazione in Veneto, ovvero osservarne i limiti e la superficialità e preoccuparsi per la sua correttezza quando, come diceva Saul Bellow, ‘il pubblico è distratto’?

E che sia distratto e disinteressato lo dimostrano i dati che attestano un crollo vertiginoso delle copie vendute, un vero e proprio collasso delle testate locali che hanno visto, tutte indistintamente, dimezzare i loro lettori nel corso dell’ultimo decennio (2009 – 2019), con una performance negativa del Gazzettino che dalle 102.381 (del 2005) è passato alle 40.525 attuali ; ad onor del vero va precisato che tali numeri debbono essere integrati dal conteggio degli abbonamenti e delle visioni online, ma il quadro fosco non muta.

vendite quotidiani del Triveneto

La ‘distrazione’ dell’opinione pubblica locale inoltre è confermata dagli orientamenti rilevati dai sondaggi (ed anche dai voti) e dai gradimenti oscillanti per molti esponenti di punta della società veneta in merito a ‘faccende’ che hanno avuto un impatto devastante sulla vita di molti cittadini e dell’intera comunità.

Dal Presidente osannato come ‘Padrone del Nordest’ (nella classica intervista in ginocchio) e diventato nel giro di poche ‘soffiate’ un reietto incarcerato e costretto a svendere la villetta, agli autocrati delle Banche Popolari passati dalla venerazione nel ‘parco buoi’ al velenoso vituperio rivolto loro dai risparmiatori ‘distratti’ e truffati.

Continuando con l’attuale Governatore che da modesto esponente di quarta fila del doroteismo leghista della periferia trevigiana è assurto agli onori di uno standing prestigioso attribuitogli dalla stampa specializzata in classifiche improbabili.

Per non parlare della fenomenologia specificatamente veneta della malattia autoimmune che colpisce in modo sorprendente l’integrità del territorio laddove, per esempio, le Associazioni agricole vicentine facevano pieno affidamento sulla qualità delle acque che alcuni untori disfattisti mettevano in dubbio (paventando un tragico inquinamento), per poi scoprire e dover ammettere che le indagini e le analisi – purtroppo – si erano incaricate di ‘rivelare’ (ai ‘distratti’) l’avvenuta devastazione delle falde.

Ma la manifestazione più eclatante dell’atteggiamento non propriamente vigile, per non dire credulone, di lettori e spettatori televisivi veneti si è avuta quando, su un editoriale molto pensoso del Direttore di un quotidiano locale, è apparsa la notizia che – nell’ambito della campagna di mobilitazione e propaganda per l’indipendenza simulata avviata da Luca Zaia – con cui veniva calato l’asso pigliatutto del ‘residuo fiscale’.

Da allora ogni argomentazione razionale su legittimità, procedure e dati obiettivi della trattativa per l’obiettivo del Regionalismo rafforzato, ha ceduto il passo alla narrazione della caccia al Santo Graal, in cui le mistificazioni e gli annunci miracolosi del Presidente veneto si intrecciavano con la gran cassa delle veline quotidiane della carta stampata e delle accese discussioni nelle fumerie dell’infotainement serale delle TV locali che, seppur stremate da crisi e ristrutturazioni pesanti, riuscivano e riescono a tenere in piedi palinsesti orientati a sollecitare l’orgoglio venetista.

Potremmo continuare con l’analisi delle cronache che negli ultimi anni hanno barattato gli episodi di marginalità sociale ed i traffici malavitosi collegati al mercato tutto indigeno del consumo di droga e prostituzione, con l’evocazione di una sempre imminente invasione di immigrati seriamente intenzionati a mettere in discussione l’identità e civiltà venete….

Giornalismo metronomo del discorso pubblico?

Insomma, se credessimo che ‘l’informazione giornalistica dovrebbe essere deputata a scandire il ritmo dei tempi che corrono’ e che conseguentemente il giornalismo rappresenta il ‘metronomo del discorso pubblico, dettandone i tempi e i modi’, constateremmo la situazione dell’informazione veneta immersa in una crisi identitaria che associa all’involuzione professionale degli Operatori dei Media la regressione del linguaggio e della qualità del ceto politico-amministrativo e dell’intera classe dirigente.

Ed inoltre che ciò è aggravato dal disorientamento determinato dal fatto che un ruolo potenzialmente centrale nell’ambito dell’Agenda pubblica, è però fiaccato da un declinante prestigio dovuto anche alla trasformazione profonda e continua dei modelli di produzione e distribuzione dei contenuti informativi, in particolare con l’irruzione dei social network diventati potenti strumenti attraenti e manipolabili dagli (ex) utenti-lettori e diventati armi efficaci di autopromozione dei leader politici.

Detta in modo rozzo e provocatorio: anche per una ‘firma’ dignitosa ed indipendente del giornalismo locale è dura prendere posizione e rivelare che ‘sotto il vestito del Governatore c’è poco o niente’, con questo facendo una considerazione veritiera, ma rischiando di vedere sé stesso ed il suo giornale investito da una shit storm organizzata dai gestori degli oltre 400.000 follower adoranti le gesta del prode Luca Zaia e pronti a difenderlo e veicolare senza tanti scrupoli anche le bufale più eclatanti pur di tutelare l’immagine del loro leader.

Discende quindi anche da un’inedita debolezza strutturale, l’adozione da parte dei Media di linee editoriali che evitano la riflessività prodotta dalla ricerca giornalistica e privilegiano la radicalizzazione delle posizioni nel tentativo (che risulta però vano) di recuperare audience: dentro questa strategia rientra anche l’uso ossessivo dei sondaggi correlati alla necessità di diffondere ‘dati’ con i quali occultare la superficialità e volatilità di cronache e fatti quasi mai indagati in profondità e nella loro complessità.

Ecco ‘giustificata’ la deriva di quella che negli Stati Uniti è stata definita il market driven journalism, ovvero la pervasiva attenzione per le soft news e per un’informazione centrata sugli scandali, sulle sprezzanti denunce e sulla creazione di una ‘pubblicistica dell’invettiva’ che dal libro-evento ‘La casta’ , ha creato un’ondata di discredito che da un lato ha investito il ceto politico ed i ruolo delle Istituzioni, dall’altro ha contestualmente ed inesorabilmente svilito il concetto di interesse pubblico, compromettendo la cruciale missione di coinvolgere i lettori e gli spettatori nella riflessività e discussione argomentata sui temi e gli eventi attinenti la sfera pubblica.

Esaminare quindi le difficoltà del sistema mediatico significa anche incontrare la contestuale crisi di fiducia e la caduta reputazionale del processo democratico, a tutti i livelli, soprattutto laddove da parte dei cittadini si manifesta la richiesta di una relazione dialogica che riguarda allo stesso tempo il rapporto con i Responsabili delle Testate piuttosto che con il Sindaco od il Presidente di Regione.

Ci sentiamo quindi di perorare la causa per un ripensamento del valore-notizia e dei criteri di notiziabilità, per restituire all’informazione la sua storica funzione di produzione di senso, di asset per una democrazia partecipativa in cui i significati sociali e la rappresentazione dei fatti sono ‘processati’ con strumenti rigorosi e coltivando l’autonomia del giudizio su eventi e protagonisti.

L’impostazione dell’Agenda setting

E’ a partire da tale presupposto che poniamo una serie di interrogativi ed esterniamo alcune perplessità sull’impostazione dell’agenda setting da parte della quasi totalità dei Direttori dei Media veneti (dai giornali cartacei a quelli online fino alle molte vivaci Tv Private) che danno vita ad una ‘trasfigurazione’ della realtà sociale, economica e politico-istituzionale nella nostra Regione, che indebolisce quando non spegne la capacità dei cittadini di misurarsi con la complessità e contraddittorietà dei processi di cambiamento in atto, compresi quelli legittimamente auspicati.

Dobbiamo fare una premessa: comprendiamo che nel settore dell’informazione, se si esclude la casta della ‘vecchia guardia’ di giornalisti che hanno beneficiato dei trattamenti economici, retributivi e previdenziali da riconosciuta corporazione, per le giovani leve la vita professionale è diventata una condizione grama o per usare una urticante espressione di Luciano Bianciardi ‘agra’, con un orizzonte denso innovazioni tecnologiche ed incertezza, trasformazioni organizzative e precarietà, turbolenze proprietarie e di mercato ristrutturato sotto la spinta della grandi piattaforme digitali.

Per darne una rappresentazione verosimile e diretta rinviamo alla testimonianza di una collaboratrice del Corriere della Sera, Barbara d’Amico, che ha annunciato la sua coraggiosa ed unilaterale interruzione del rapporto illustrandone la sciatteria e le condizioni umilianti con cui il Giornale l’ha costretta alla resa. Leggete qui la sua testimonianza e denuncia.

La prima domanda che poniamo riguarda proprio l’improcrastinabilità del declino dell’intero comparto produttivo dell’informazione e dell’intrattenimento e la formuliamo con l’ipotesi interpretativa (un po’ maliziosa in verità) che mette in relazione il baratro nelle vendite dei Giornali e nel mercato televisivo con il contestuale collasso etico-civile di una realtà regionale socio-economica che letteralmente dipinta come una formidabile locomotiva senza ostacoli, è deragliata per i massi, non segnalati sui binari, dei Project financing furbetti, del Mose, delle Popolari, dei PFAS, e della stessa fragilità di un tessuto di PMI che deve fare i conti con un contesto territoriale deficitario di risorse infrastrutturali materiali ed immateriali.

Una tale associazione comporta un corollario, ovvero una sequenza logica che ci porta ad esprimere il desiderio di comprendere perché la stampa locale è arrivata a ‘scoprire’ i tumori morali, di cui c’erano numerose avvisaglie e manifestazioni per le quali non erano necessarie eccezionali doti di segugio, quasi sempre ex post l’esplosione di scandali e la ‘caduta’ di Personaggi-chiave omaggiati – fino al crollo della loro credibilità pubblica – di riconoscimenti ed untuose riverenze per il ruolo di conduttori delle magnifiche sorti progressive del venetismo?

La preoccupante inanità dei media locali

I Media locali hanno dimostrato una preoccupante incapacità di realizzare una seppur incolore ‘registrazione dei fatti cronaca’ che avrebbero dovuto indurre, non si dice coraggiose denunce, ma almeno inchieste di avvertimento dei pericoli gravanti sulla comunità regionale.

Si è assistito in questi anni ad eventi drammatici ed alla messa in atto di sceneggiature tragicomiche che avrebbero attratto irresistibilmente la cinepresa di Pietro Germi.

Stavolta Vicenza si sarebbe candidata ad oscurare Treviso non solo con la sua indiscutibile bellezza, ma per i suoi personaggi (prevalentemente ’Signori’, senza ‘Signore’) protagonisti di una società immersa nell’ipocrisia e nella vile subalternità ai potenti di turno e con quasi tutti i sepolcri imbiancati.

‘Le mani sulla Banca’ è stato sinonimo di ‘Le mani sulla Città’, ‘Le mani su certe produzioni industriali’ è stato (ed è) sinonimo di ‘Le mani sulla salute dei cittadini’, ma tali titoli non sono apparsi nella Stampa e nelle Tv locali: non, come si potrebbe pensare, per il ‘condizionamento ambientale’ subito dai cronisti, bensì per gli indirizzi ed i vincoli di una linea editoriale semplicemente e banalmente dettata da una proprietà, il Gruppo Athesis
(https://www.gruppoathesis.it/) che ha come principali azionisti le Confindustrie di Verona e di Vicenza, e che rappresenta un grande ‘media company’, radicato ed egemone in una delle aree più ricche e strategiche del Paese e con una capacità di ‘raggiungere ogni giorno con un’offerta
integrata (Quotidiani, magazines, web, TV, radio, eventi, libri) 4 milioni di persone che vivono tra Verona, Vicenza, Brescia e Mantova.

Potremmo quindi dedurre che i mancati alert e la mancata ‘piena copertura’ informativa sugli ‘episodi spiacevoli’ che hanno colpito, in particolare il territorio vicentino, sono stati originati da una precisa scelta editoriale, ovvero di ‘non allarmare’ e far preoccupare vieppiù una popolazione affezionata al carnet di prodotti e programmi di un Gruppo impegnato a trasmettere un messaggio ottimistico e tranquillizzante.
Certo, un rapporto così organico tra Potere economico e Aziende dell’Informazione configura un potenziale e patologico conflitto di interesse, ma si può sempre nutrire fiducia e speranza su una possibile linea di autonomia dei professionisti in servizio all’Athesis, piuttosto che alle altre Società editoriali operanti in territorio veneto. Vogliamo andare a vedere come tale autonomia ha dato prove di vitalità? Ci si sarebbe aspettato che l’evidente crollo di credibilità ed adeguatezza della classe dirigente veneta diventasse un’occasione propizia per i media locali, ovvero per riannodare un dialogo (ed abbonamenti e visioni) con i lettori ed i telespettatori, sollecitati con inchieste, forum, tavoli tematici, dati statistici veritieri, a riflettere, discutere, focalizzare contenuti e percorsi di un processo di responsabilizzazione che determinasse l’inversione di tendenza, ovvero l’aggregazione ed una sorta di empowerment etico-sociale, di cittadinanza attiva mobilitante per visioni ed azioni di futuro sull’infinita agenda veneta di ritardi, tensioni, contraddizioni che richiedono un sussulto di mobilitazione cognitiva, di generosità individuale e collettiva.

Ed invece?

Abbiamo assistito alla messa in scena di una riedizione aggiornata della ‘Storia di Sior Intento’, la soap opera sull’Autonomia, con cui i Direttori di giornali e Tv hanno avviato una narrazione imperniata su un’autentica contraffazione della realtà.

Perché è avvenuto questo?

Verosimilmente essi hanno dovuto fare i conti con la fenomenologia di un mercato in cui i ‘clienti’ sono sempre più disattenti in quanto attratti dalle sirene dei messaggi e dell’informazione social, oramai prodotta e distribuita autonomamente e senza intermediazioni, dallo staff- comunicazione di un Presidente di Regione sempre più a suo agio nel ruolo di PRM (Public Relation Man) ed in grado quindi di influenzare ed orientare (anche attraverso la moral suasion dei contributi regionali) un Sistema dei media locali impreparato se non disinteressato ad esercitare una funzione critica delle funzioni e responsabilità di un PRG (Presidente di Regione Governante).

Il venir meno di un’attività di watch dog in questi anni ha comportato degli effetti nefasti sull’opinione pubblica che è stata progressivamente diseducata a leggere criticamente la fenomenologia politica regionale e territoriale.

Potremmo a questo punto soffermarci su una molteplicità di argomenti, fatti ed eventi in cui abbiamo riscontrato l’approccio manipolatorio dell’informazione.

Ma c’è un episodio che avrebbe meritato e merita tuttora di essere ben focalizzato per la sua valenza simbolica (oltre che per l’impatto sociopolitico): mi riferisco alla diffusione pilotata di una notizia centrata su una ipotetica ed immaginaria ‘palude’ nel terreno di Padova Ovest, dove era previsto l’insediamento del Nuovo Ospedale, che ne avrebbe inficiato l’edificazione.

Ebbene, è bastato il breve articolo che riportava un sibillino comunicato di un Ufficio pubblico, per determinare lo sconvolgimento della Programmazione comunale e regionale di un’infrastruttura fondamentale nel territorio padovano e causare un ‘incesto finanziario ed ambientale’ i cui danni saranno cospicui, ma non saranno certamente imputati all’oscuro cronista del giornale locale. Clicca e leggi qui l’articolo di Ivo Rossi sulla questione, pubblicato al tempo.

Cloroformizzazione dell’opinione pubblica

Se in apertura di questo articolo abbiamo parlato della condizione di ‘distrazione’ degli utenti del sistema mediatico locale, a questo punto della riflessione potremmo ragionevolmente sostenere che essa non è un dato sociologico, una mera constatazione di fatto.

Emerge piuttosto che essa, in una certa misura, è conseguenza di un’opera (consapevole o meno, malevola o no) di ‘cloroformizzazione’ dell’opinione pubblica veneta che ha inanellato una serie di mis-fatti: episodi occultati, emergenze mascherate, fumo negli occhi, irresponsabilità protette, grancassa propagandistica al servizio del mediocre ceto politico al comando nei Palazzi veneziani, ossequio a prescindere nei confronti delle Rappresentanze di un Associazionismo in crisi di identità ed utilità socio-professionale.

Nell’ultimo lustro sono aumentati i fogli di un dossier tanto esplosivo quanto corrosivo della deontologia professionale di Operatori della Comunicazione indecisi a tutto, in quanto il loro opportunismo nei confronti dell’establishement non ne ha premiato l’attività editoriale e contestualmente non li ha resi avvertiti della necessità di un cambiamento di registro.

A coloro che lo avessero posseduto o ne fossero entrati in possesso, il coraggio avrebbe suggerito loro e dovrebbe spingerli oggi ad evitare nella narrazione del Veneto il pensiero di Guido Calogero sull’Italia (‘una sterminata capacità di vivere sulle finzioni’), ovvero di raccontarlo con una maggiore aderenza alla realtà delle sue virtù, ma anche tensioni, viltà e contraddizioni.

Senza presunzione e con la piena consapevolezza delle difficoltà che debbono affrontare, credo però ineludibile da parte loro la necessità di modificare l’agenda setting.

Basta vivere sulle finzioni!

Ci si attende un’operazione di ‘disvelamento’ della realtà, con la densità delle emergenze sociali, economiche ed ambientali che possono e debbono essere rintuzzate sollecitando le migliori energie culturali, professionali, amministrative ed imprenditoriali affinchè si facciano carico di innovare e qualificare una Governance regionale all’altezza delle sfide e non appiattita sulla verbosità e sulla propaganda ‘coperte e rilanciate’ da linee editoriali senza dignità e credibilità.

La strategia di comunicazione su ‘Proseccum et circenses’ è ottima e legittima per la promozione di una leadership politica, meno convincente per un giornalismo che dovrebbe trovare intrigante e gratificante sciorinare al pubblico un racconto avvincente sulla memoria storica del federalismo antropologico e della cultura della sussidiarietà che costituiscono le radici dello sviluppo e del regionalismo, isterilite dalla dimenticanza e tracotanza dell’attuale maggioranza di governo.

Un giornalismo professionale ed orgoglioso della propria peculiare missione, assumerebbe il compito di scovare e far brillare quotidianamente con interviste, documentazione, profili, i tanti interlocutori esterni alle redazioni che sono portatori di abilità, storie, competenze, battaglie civili, imprenditoriali che danno il senso e la rappresentazione di un Veneto dinamico e non rattrappito nelle paure e nel rivendicazionismo sterile nei confronti di ‘centri’ ed ‘autorità’ che vanno aggrediti con progettualità concrete e praticabili.

E proprio in ragione di questa apertura, con il riconoscimento dai talenti che sono diffusi, ma vanno cercati e fatti emergere, nel racconto giornalistico vanno fatti entrare anche i cittadini a cui concedere spazio e voce all’interno di una relazione realmente e sinceramente coinvolgente.

Esistono inoltre questioni con tutte le caratteristiche per ‘incendiare’ davvero il dibattito e suscitare un interesse diffuso tra i lettori, i telespettatori e vasti strati dll’opinione pubblica, solo a non farsi frenare dalla corrività: può ancora passare sotto silenzio l’esplosiva contraddizione all’interno del mondo leghista veneto della scelta lepenista-nazionalista salviniana antitetica all’ispirazione federalista simil indipendentista che ha dato origine al Partito nella nostra Regione?

Ed ancora: in qualche trasmissione, in qualche editoriale, in qualche corsivo redazionale, può essere innescata una riflessività che consenta di distinguere nettamente il pericolo rappresentato da qualche ‘negro a zonzo o ad elemosinare’ da quello della infiltrazione malavitosa nelle imprese e/o nei traffici di stupefacenti che attengono alle strategie poliziesche per l’ordine pubblico e non alla vulgata (leghista) sull’immigrazione?

Per non tralasciare, last but not least, l’enormità dei fattori di competizione per l’intero comparto produttivo-industriale nostrano che la buona informazione si deve incaricare di indagare ed illustrare, anche nella crudezza con cui si manifestano: vedi l’emigrazione dei giovani ‘skillati’ che non sono più attratti dalla qualità delle nostre piccole imprese, ma soprattutto vedi la re-visione dell’ideologia venetista del ‘piccolo è bello’ squadernata dal neoPresidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, nell’intervista al Foglio di giovedì 19 dicembre cm.

Insomma, per concludere: è di nuovo tempo che i giornalisti, per usare le parole di un loro collega, pubblicate in un post, si impegno a ‘raccontare cittadini che ogni giorno tengono su questo paese nella scuola, nelle imprese, nella chiesa, nella società’ ; Daniele Ferrazza aggiunge con amarezza che (fare ciò) ‘ è evidentemente troppo difficile. Meglio ricorrere ai sottopancia della politica, sempre disponibili e dall’eloquio fluente. E fare gli accomodanti giornalisti divani, proni a tutti colori. Comodi salotti’.

Noi siamo meno pessimisti e confidiamo che gli strumenti della comunicazione digitale a disposizione, gli spazi di mercato per un’informazione di qualità, le esperienze innovative sia delle grandi testati che – soprattutto nelle realtà territoriali – delle piccole e coraggiose iniziative editoriali, consentano di immettere nel discorso pubblico una nuova freschezza di contenuti, l’originalità di nuovi format, l’attrattività di un approccio critico che coniughi la denuncia con il rigoroso fact checking, l’inchiesta e la documentazione con la serietà delle fonti, la vivacità del linguaggio con il rispetto dei ‘clienti’.

Crediamo altresì, e ne parleremo prossimamente, che nell’ambito del processo di rinnovamento auspicato, una funzione di arricchimento del pluralismo delle voci e per l’emersione di fatti e temi collegati al cambiamento culturali ed alla trasformazione sociale e politica in atto, possa essere interpretata dal civic journalism.

Dino Bertocco