Urge una transizione ecologica per il Veneto, cura di un territorio devastato

(Di Dante Schiavon). La cura dell’anima e dei luoghi devastati dall’incuria del territorio e dall’indifferenza per l’ambiente.
Salvare il paesaggio della propria terra è salvarne l’anima e quella di chi l’abita” (Andrea Zanzotto)

La cultura politica e imprenditoriale veneta è malata di uno “sviluppismo” che fa ammalare la terra. La definizione della Treccani sul significato del termine è chiara: “il rapido e continuo sviluppo, anche se effimero e inconcludente”.

Il Veneto, prendendo a riferimento oggettivi parametri ambientali e scientifici, dietro il suo idolatrato sviluppismo nasconde “ecologicamente” e “scientificamente” una situazione da allarme rosso.

Lungo è l’elenco delle criminali devastazioni ambientali in atto nel Veneto “reale”, anche se incompleto e in costante aggiornamento: l’inquinamento dell’aria (e conseguenti patologie e decessi) per la grave inconsistenza di risorse e leggi per ridurre l’uso di fonti fossili, l’inquinamento delle falde acquifere da PFAS di una grande fetta di territorio veneto, la cementificazione del suolo agricolo e relativo annientamento del settore primario bio-diversificato e “multi-colturale” a vantaggio della sola monocoltura del Prosecco, il “consumo di suolo fertile” che inibisce la sua funzione drenante delle acque meteoriche e la sua funzione “anti climalterante”.

Ed ancora l’inquinamento dell’aria per la presenza di impianti formalmente autorizzati alla gestione dei rifiuti tossici e per la presenza di capannoni industriali dismessi dietro i quali, talvolta, si nascondono un traffico e uno smaltimento illecito di rifiuti, l’inquinamento da percolamento dei rifiuti tossici sotterrati sotto il “mantra infrastrutturale”, l’inquinamento di cibi e la perdita di fertilità per l’uso di pesticidi in quantità doppia rispetto alla media nazionale.

Per non parlare della presenza diffusa di cave con ampliamenti legalmente autorizzati, l’inquinamento del paesaggio per la grigia “cementificazione affaristica” del suolo e la contemporanea presenza di un “ecomostro diffuso” costituito da capannoni dismessi, abitazioni in disuso e serrande di negozi abbassate.

L’inquinamento del paesaggio, in particolare, è simbolo e metafora della perdita della propria originaria identità socioculturale veneta, perché, come ben scriveva Andrea Zanzotto, “salvare il paesaggio della propria terra è salvarne l’anima e quella di chi l’abita”.

Ecco perché l’urgente bonifica ambientale del Veneto è anche una bonifica delle menti dall’ideologia sviluppista: il pensiero unico di una monocultura predatoria della “risorsa suolo” e di un provincialismo intellettuale che hanno azionato in maniera totalitaria e consumistica le leve di un progresso malato (“scorsoio”, secondo Andrea Zanzotto).

Superare la monocultura predatoria

Un “pensiero unico” in base al quale il suolo, l’aria, l’acqua, sono delle entità metafisiche, delle risorse infinite, degli elementi accessori e subordinati al profitto.

Ma in Veneto chi ha sabotato per decenni l’idea di uno sviluppo armonico e compatibile con la vita delle future generazioni, grazie anche alla gestione del “super potere mediatico” della comunicazione nel tempo della paura e del bisogno di sopravvivenza indotto dalla pandemia, ha fatto bingo alle elezioni regionali del 2020.

Ecco perché i rimossi e reali dati ambientali del Veneto non riguardano solo la loro dimensione ecologica sopra sinteticamente descritta, ma vanno incrociati con il dato sociologico sul peso e il valore che hanno queste manifestazioni di “democrazia rappresentativa” chiamate elezioni.

A mio avviso in Veneto non c’è una narrazione alternativa della realtà, vuoi per la subordinazione dei “media mainstream locali” al protratto esercizio del potere comunicativo leghista, vuoi per il vuoto e l’inerzia culturale e progettuale di chi si candida a declinare in modo diverso lo sviluppo.

Le opposizioni vecchie e nuove, nel gioco delle parti della partitocrazia rappresentativa (di se stessa), si sono adagiate su quella narrazione dominante a spese dell’ambiente, anzi, di più: ne sono diventate mezzo di legittimazione democratica, culturale e politica. Su tutti i capitoli del libro sulle “criminali devastazioni ambientali” in atto nel Veneto le opposizioni partitiche oscillano fra l’adesione incondizionata, l’adesione con riserva, l’accademico e rituale voto contrario nei palazzi del potere, accompagnato da un astensionismo ideale e progettuale, nella totale indifferenza alle sollecitazioni dei cittadini e dell’associazionismo ambientale di base presente nei territori.

La riflessione si sposta allora sul ruolo che dovrebbe avere chi si candida con un auspicabile progetto alternativo a tale dissesto culturale e ambientale, partendo da un dato significativo: alle ultime elezioni regionali (dati Regione Veneto) 1.603.194 veneti non hanno votato, 4 elettori su 10.

A mio avviso non sono pochi coloro che non si rispecchiano nelle opzioni proposte dal potere leghista dominante, ma nemmeno nelle opzioni proposte di chi fa una politica di opposizione rituale, spenta, caratterizzata da un pericoloso appiattimento ideale e culturale su un modello di sviluppo condiviso nella sostanza e in un clima consociativo politico-confindustriale a spese dell’ambiente veneto.

La “tutela dell’ambiente veneto” nel tempo dei cambiamenti climatici, al netto del dilagante fenomeno comunicativo del “greenwashing”, è assente dall’agenda della “classe partitica dominante” e marginale o subita nell’agenda della “classe partitica di opposizione”. A livello nazionale quello che si sta profilando a spese dell’ambiente con il pensiero unico del “draghismo”, nei fatti e con impatti e modi differenti, è quello che va in scena da anni in Veneto.

Promuovere una biodiversità di pensiero

In Italia e nel mondo c’è bisogno, nel tempo dei cambiamenti climatici, di una “bio-diversità del pensiero”, particolarmente in Veneto dove il fumo della propaganda annebbia la “percezione” della deriva ecologica.

Per queste ragioni, in Veneto, chi vuole essere alternativa deve operare delle scelte coraggiose per quanto riguarda contenuti, uomini, strumenti di comunicazione, in totale controtendenza rispetto all’andazzo sviluppista condiviso.

Alle elezioni regionali del 2025 è necessario lavorare fin da subito, individuando a rappresentare il fronte alternativo un candidato giovane, che provenga dal mondo ambientalista, che sappia, da oggi al 2025, comunicare e padroneggiare l’uso dei media, affiancando alla “voce del padrone” un altro punto di vista e che, soprattutto, marchi a uomo le news e le fake news prodotte in modo industriale da chi occupa la scena dei media mainstream locali e fa un uso propagandistico dei social.

Un candidato che proponga per tempo ai veneti un progetto alternativo di sviluppo, che faccia “contro informazione” e “informi” in modo puntuale e pungente.

Sulla stessa falsariga va introdotta per i futuri candidati una specie di pari opportunità di genere: almeno la metà dei candidati di ogni circoscrizione dovrebbe essere di provenienza ambientalista, azzerando la classe dirigente partitica che non è riuscita, in regione e nei comuni dove ha governato, a proporre una visione alternativa e a porsi come un punto di riferimento per gli indecisi, gli astensionisti e i delusi dalla partitocrazia, finendo per legittimare la narrazione economica dominante.

In fondo, il confronto fra due visioni politiche è un po’ come una partita di calcio fra due squadre, in cui una delle due può perdere, ma solo dopo aver cercato di giocare a viso aperto proponendo il proprio gioco e, in caso di sconfitta, continuare a riproporlo, lavorando per una futura rivincita. Una rivincita dell’ambiente, della salute, della qualità della vita, di un’economia non predatoria, augurandoci, nel frattempo, di riuscire a contrastare seriamente, gravemente e soprattutto urgentemente i cambiamenti climatici.

Dante Schiavon