Telelavoro e teledidattica? Non basta la tecnologia: riprogettiamo le città

(Di Franco Torcellan). La pandemia Covid-19 ha attivato procedure di lavoro e di didattica a distanza evidenziando ritardi e difficoltà; non si tratta solo di risolvere problemi tecnici e di banda, di disporre di piattaforme e competenze, serve un cambiamento culturale profondo determinato da un’innovazione sociale implementata nel territorio

In questi giorni risuonano, in una orgogliosa rivendicazione di capacità innovativa, parole inglesi di cui conosciamo, se va bene, il significato letterale, ma non l’accezione tecnica.

Vanno di moda termini quali smart working e eLearning, ma in realtà ciò di cui si parla è “lavoro da casa” (a cui si è costretti), per il quale si dovrebbe utilizzare il termine telelavoro, e “didattica da casa” (a cui si è ancor più costretti).

Inglese o no, sembra che non si voglia riconoscere il dato reale e cioè che la collocazione “smart” o “distante” è la sola propria abitazione, luogo non particolarmente innovativo, poco eroico, assolutamente privato, dove di solito si sta sbracati (e l’ospite improvviso ci scopre) e dove magari si combatte tra fratelli e genitori per l’utilizzo del computer.

In realtà perché il lavoro e la didattica siano davvero intelligenti, bisognerebbe riprogettare le nostre città e i nostri modelli sociali fin dentro le nostre case (che non sono state costruite per il telelavoro). 

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titolo originale: “Telelavoro e teledidattica? Non basta la tecnologia: riprogettiamo le città
autore: Franco Torcellan
Fonte : AgendaDigitale.eu (16/04/2020)