“Tecnici” pure i candidati sindaci: rettore a Padova e un ex calciatore a Verona

Rosario Rizzuto, rettore dell’Università degli Studi di Padova

In due fra le città del Veneto che si avviano alle elezioni comunali sono cominciate le grandi e piccole manovre per la conquista del Palazzo


C’è il passo del San Gottardo, posto al centro dell’omonimo massiccio da cui si gode il panorama delle Alpi Lepontine, e poi c’è la casa-quartier generale di san Settimo Gottardo, in cui sfilano in pellegrinaggio politici di varia collocazione per abbeverarsi alle sue panoramiche sulla politica padovana. Il 10 febbraio l’ex sindaco democristiano di Padova degli anni ’80 ha spedito una lettera aperta tutta pepe all’attuale borgomastro di centrosinistra, Sergio Giordani, infilzato al fianco doloroso della nuova Pediatria (contestatissima da una galassia di gruppi di sinistra e financo dall’Ordine degli Architetti) con la studiata richiesta di trasferirne l’insediamento nel nuovo ospedale a San Lazzaro, anzichè nell’area del Parco delle Mura, appellandosi al sacro verbo della Costituzione, che “tutela il paesaggio e il patrimonio storico” eccetera eccetera. Sceglie parole flautate, il vecchio leone dc, condite con una spruzzatina di polemica anti-élite: “L’amministrazione di Padova ha anche un debito morale pesante da rispettare ed è quello di riscattarsi dagli errori gravi del passato che hanno consentito lo stupro delle mura, del canale San Massimo, del Bastione Cornaro, con la connivenza colpevole delle cosiddette élites culturali e universitarie dell’epoca”. Conclusione, rivolta a Giordani: “Spero che tu, che ben conosco e stimo, non voglia essere complice nel perpetuare tale errore storico”. Tutto qui? Neanche per sogno. Gottardo chiede pure l’istituzione di un assessorato nuovo fiammante, dedicato ai fondi europei di “Next Generaion Eu”, come a Treviso. La Treviso da sempre leghista. Come dire: guarda, caro Sergio, la Lega fa meglio di noi, vogliamo essere da meno? Schiaffo e contro-schiaffo, in guanto neppure tanto di velluto. E’ da quando l’ex vicesindaco Arturo Lorenzoni ha scelto la strada della Regione che san Gottardo è in ambasce per la natura “civica” della maggioranza di centrosinistra patavina. E infatti raccontano che Arturo, e non solo lui (il presidente del consiglio comunale, Giovanni Tagliavini, sarebbe un altro), sia stato avvistato più d’una volta ai cancelli della sua dimora, molto frequentata anche dal battitore libero Antonio Foresta. C’è chi paventa il disegno di un “terzo polo” di centro, naturalmente civicissimo, dentro il quale rifarebbe capolino Marco Carrai (assessore con Zanonato) e alla cui porta busserebbe pure l’ex deputato di An Maurizio Saia, tornato in campo con il movimento Buona Destra (così tanto buona da essersi meritata un mezzo elogio di Lorenzoni, che ha ricordato come Saia sia “organico al mondo che ha sostenuto Giordani”).
A ogni modo, a noi qua preme sottolineare che la letterina di fiele abbia avuto spazio irregolare sulla stampa: il Mattino ci ha confezionato un bell’articolo in apertura di cronaca locale, mentre il Gazzettino l’ha confinata nello sgabuzzino della posta dei lettori. Un trattamento un po’ penoso, per un deus ex machina in servizio permanente effettivo, che ha avuto il suo ruolo in tutte le candidature di sindaci poi vincitori: da Giustina Destro a Massimo Bitonci fino allo stesso Giordani (a proposito di responsabilità delle élites del passato…). Fioccano invece, sempre sul Gazzettino ma anche sul Corriere del Veneto, le particolareggiate cronache sugli spasmi interni al centrosinistra e sulle manovre della Lega. Già, perchè in quel di Padova è partita la giostra dei riposizionamenti in vista delle comunali dell’anno prossimo. Carlo Pasqualetto, ad esempio, ha lanciato il bengala di auto-segnalazione al centrodestra: unico fra tutti, ha rifiutato di firmare la mozione di condanna all’assessore regionale Elena Donazzan sul caso, per la verità ingiallito, dell’esibizione canora di “Faccetta nera” alla radio. Il che, da parte non di un peone qualunque ma del capogruppo della lista del sindaco, è tanta roba. In Coalizione Civica, gamba di sinistra del fronte che governa Palazzo Moroni, i mal di pancia sono ormai gastrite permanente, e poco tempo fa hanno generato una vera e propria rivolta interna, capeggiata da Roberto Ongaro (ex presidente della Zip) e Sergio Ventura (già papabile candidato sindaco), poi rientrata per mancanza di consensi e appoggi. Da registrare, tuttavia, l’impietosa analisi dei dissidenti: “insufficiente determinazione politica”, è il giudizio sull’amministrazione Giordani, che imporrebbe all’ala sinistra dell’alleanza “un cambio di atteggiamento politico, basato sulla riaffermazione dei nostri valori costitutivi”, altrimenti il rischio è di “essere un esperimento che ha cercato di tenere insieme idee e diversità, che ha avuto consenso, ma alla fine non ha prodotto cambiamento”. Quando si dice uniti alla meta.
Ma c’è tutta una serie di questioni che fanno fibrillare il cuore un po’ stanco di una sinistra padovana delusa. Sul nuovo mega-parcheggio alla Prandina, anche questo osteggiato da rossi e verdi, secondo il Gazzettino l’intera (?) Coalizione Civica intende chieder conto una volta per tutte al sindaco. Legambiente, pezzo importante della Civica, è sul piede di guerra. L’assessore alla scuola Cristina Piva tira fuori dal cilindro l’idea di farci, logicamente, una scuola, trasferendo lì la Petrarca. Non le era venuto mai in mente prima, a quanto pare. Il casino scoppiato sul potenziamento dell’inceneritore di San Lazzaro è stato per ora silenziato trasferendo la patata bollente nelle mani dei ricercatori dell’università, a cui è stato commissionato un responso scientifico per un’operazione, voluta dalla Regione e subìta dal Comune, cioè da Giordani che però non può far la voce grossa perchè il gestore, l’emiliana Hera, ha i suoi interessi di mercato da difendere, e nel cda, difensori dell’ambientalism non se ne vedono. In tutto questo bailamme, la sortita di Gottardo è la spia che, nel retrobottega, la macchina delle strategie e delle trame sul successore di Giordani va già a pieno regime.
Su entrambi i lati della barricata, va da sè. La Lega ha deciso: il suo uomo destinato a espugnare la giunta sarà un civico. Salvini dixit. Alberto Stefani, commissario provinciale, l’ha ripetuto in tutte le salse. Non d’accordissimo è il commissario cittadino, l’ex sindaco Massimo Bitonci che dice in giro e alla stampa che molti cittadini (chissà quanti, di preciso) gli chiedono di riprendersi la rivincita, dopo la congiura che lo rovesciò con la regia dell’attuale sindaco-ombra Massimo Bettin. Bitonci o no, a essere in pole position è il rettore dell’ateneo Rosario Rizzuto, molto conosciuto in città per essere praticamente un giorno sì e l’altro pure sui giornali (e anche sui muri: l’anno scorso la sua faccia campeggiava sui manifesti affissi in tutta la città con l’invito a donare il 5 per mille al Bo). Sulla carta o meno, Rizzuto ha incassato futuri tagli di nastro come la “Cittadella dello sport e del benessere” in via Corrado (ok dal Comune, 12 milioni da Cariparo), o come il “Palazzo delle Esperienze”, ovvero riunire in un’unica sede, fra stazione e Stanga, i laboratori di Scienze, Ingegneria e Biologia. Il Rizzuto in pectore sembra non essere graditissimo neanche a Roberto “Bulldog” Marcato, l’assessore regionale che fra i leghisti padovani è un mito, anche se ultimamente appannato, messo un po’ ai margini da Zaia. Assieme a Bitonci, al senatore Andrea Ostellari e al consigliere regionale Fabrizio Boron, Marcato fa parte del quadrumvirato che Stefani deve tenere ufficialmente compatto per segnare il risultato finale. Marcato però una sua mossa l’ha fatta, non evidenziata da alcuno nel suo senso politico profondo: quando nei giorni scorsi ha ribattuto a brutto muso all’insulto rivolto a Salvini dal docente universitario Massimo Zeviani (già comunista, molto amico dell’ex sindaco di sinistra Flavio Zanonato: “faccia di m…”, è stato l’epiteto rivolto al voltagabbana, orgogliosamente non ritrattata), il Bulldog ha in realtà attaccato l’università, che non sarebbe esattamente la culla “del pensiero filosofico, del sapere, della trasmissione di valori, asse portante della democrazia”. Un siluro sotto il pelo dell’acqua a Rizzuto. In palese difficoltà, questi ha dovuto stigmatizzare il linguaggio del professore anti-leghista. Il messaggio criptato, da parte del Marcato furioso, era un altro: se il Magnifico Rettore pensa di non dover passare da lui, nella costruzione della propria candidatura a sindaco, si sbaglia di grosso. Sarà un lungo anno, quest’anno pre-elettorale, per Padova.

Un calcio all’ipocrisia

Verona ha la nomea di città “nera”, di destra-destra, popolata da neofascisti, parafascisti o tardofascisti a ogni angolo. Ma la sua anima autentica affonda le radici nel sostrato cattolico, riferito non soltanto alla Curia vescovile ma anche all’interprete più estrema e settaria del cattolicesimo di affari e potere, l’Opus Dei (l’altra, molto influente in tutto il Veneto, è Comunione e Liberazione). Ad ogni modo, se non baci le pile da fedele pecorella di qualche gregge organizzato, in riva all’Adige non fai molta strada. Quale miglior futuro candidato sindaco, allora, che un campione di fede, soprannominato “Chierichetto” e “Anima candida”, obiettore di coscienza alla leva, uomo tutto casa e parrocchia che per di più ha indossato la maglia azzurra della Nazionale di calcio, e oggi cura istituti scolastici ispirati alla scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani? Damiano Tommasi è quello che fa per noi, hanno pensato nelle poco segrete stanze del Pd scaligero, nonostante un primo rifiuto nel 2017 dovuto, come ha detto il pio sportivo intervistato da Stefano Lorenzetto su L’Arena il 7 febbraio, all’increscioso fatto che “avrei dovuto lasciare l’Aic”, l’Associazione Italiana Calciatori di cui è stato presidente dal 2011 all’anno scorso. Sarà, ma la chilometrica conversazione a tutta pagina, con dovizia di particolari sulle mirabilia della didattica chez Tommasi, sembrava proprio un primissimo biglietto da visita da papabile sfidante per Palazzo Barbieri. A controprova, il suo schermirsi ritroso all’insistenza sull’ipotesi di impegnarsi. Comunque, se ancora non si ha contezza delle opinioni politiche e amministrative del devoto Damiano, una mezza idea sul suo modo di vedere il mondo, invece, ce la possiamo fare. A parte rivendicare una vena sognante (“Sono un sognatore. Infatti la chat della nostra scuola si chiama ‘Soci di sogni'”: eh la madonna!, sbotterebbe Renato Pozzetto), il mite Tommasi, incalzato dal perfido Lorenzetto, emerge come acuto pensatore della contemporaneità, in particolare in due passaggi. Quando le vicende della sua carriera lo portarono a vivere in Cina, a Tientsin, il fatto di lavorare – è sempre il crudele Lorenzetto a pungolarlo – in un regime non proprio democratico non costituiva per lui nessun problema, anzi, bisognerebbe “sfatare il mito della Cina che vuole dominare il mondo”. Detto che Tommasi nel merito non ha torto, nel senso che non si capisce perchè se gli Usa vogliono egemonizzare il pianeta non deve poter ambire a farlo (fra l’altro in modi meno cruenti degli “esportatori di democrazia”) una Cina ormai superpotenza a tutti gli effetti, semmai ha avuto torto a non replicare che questi appunti morali bisognerebbe girarli anche a schiere di imprenditori italiani che con i cinesi stipulano contratti a profusione. Si chiama capitalismo, baby. Ma hic sunt leones: l’allora giocatore della Roma che si autoassegnò all’ultimo anno di contratto uno stipendio da operaio in seguito a un grave infortunio, trova tuttavia assolutamente normale che un Cristiano Ronaldo, per aver dato calci a un pallone per vent’anni, oggi sia seduto sopra una montagna da 1 miliardo di euro: “sono più i soldi che Ronaldo guadagna o quelli che fa guadagnare? Non è strapagato. In questa economia di mercato mantiene allenatori, preparatori tecnici, sponsor, aziende, tv, giornali”. Ma non sarebbe auspicabile neppure un tetto ai compensi? – gli fa l’intervistatore. Risposta pregna di spiritualità cristiana: “Per quale motivo? Per un fatto di equità sociale? Allora dovremmo stabilire se sia giusto che nel mondo esistano persone che hanno quattro case e altre che dormono per strada. Sarebbe già tanto se una società non spendesse per un fuoriclasse più di quanto non si possa permettere”. Quindi – torna alla carica quel satanasso di Lorenzetto – Diego Armando Maradona lui quanto lo avrebbe pagato? “Lei – ribatte Tommasi – che prezzo darebbe alla Pietà di Michelangelo?”. Noi parliamo in partibus infidelium, ma mica siamo tanto sicuri che sia tutta ortodossa, almeno stando alle prediche di papa Francesco, questa tolleranza per sfacciati arricchimenti in uno sport che non è più uno sport ma business famelico, con cifre da capogiro sideralmente scollegate dalla realtà (e anche da un minimo rispetto dell’equità, già, proprio l’equità). E’ anche vero, tuttavia, che a differenza del possibile candidato del Pd veronese, noi non si è seguaci del prete rivoluzionario di Barbiana, quello che scriveva, non esattamente come un prete-manager da Opus Dei o Cl, cosette tipo questa: “Buttar giù tutto. Eliminare il predominio del potere economico da qui a stasera. Sostituirlo con il dominio di una legge morale che neghi radicalmente il diritto di possedere se il possedere dell’uno dovesse sminuire il diritto di un altro alla vita o alla casa”. Che volete: quando c’è la fede, c’è tutto.