Votare SÌ alla riduzione dei parlamentari e negare il voto a chi non paga le tasse


No taxation without representation, nessuna tassazione senza rappresentanza, è uno slogan politico nato durante il 1700 che riassumeva una delle 27 rimostranze dei coloni americani nelle Tredici Colonie, che fu una delle principali cause della Rivoluzione americana. In breve, molti in quelle colonie credevano che, poiché non erano direttamente rappresentati nel lontano Parlamento britannico, qualsiasi legge approvata che li riguardasse fosse illegale.

Forse apparirà strano porre in relazione il referendum confermativo sulla legge che riduce i parlamentari del 36,5% rispetto al numero attuale di 945 eletti, partendo da un evento storico successo più di 300 anni fa e che ha scolpito per sempre una delle due facce della stessa medaglia, chi paga le tasse ha il diritto di vedersi rappresentato; il contrario è una stranezza. L’appartenenza ad una comunità ed il conseguente diritto di cittadinanza comporta la devoluzione alla “cassa comune”, secondo le regole vigenti in un sistema democratico ed in proporzione al reddito prodotto e goduto, di parte dei propri averi in piena osservanza del patto di fedeltà verso i consimili e verso la collettività. Il principio vigeva fin dall’inizio nell’antica città di Atene. Facile osservare che in Italia, una larga parte di cittadini, peraltro facilitati dalle oltre 500 scappatoie legalmente previste, adotta comportamenti per niente virtuosi. E che dire degli statisti vacanzieri alla “Papeete Beach” che per ragioni non di cassa per lo stato ma di consenso per la propria fazione, chiedono un forte abbattimento del carico fiscale per le imprese, la mitica “flat tax” sapendo benissimo che così facendo favoriscono ora e subito i loro titolari che nelle loro dichiarazioni avanti al fisco appaiono “cosi poveri che davvero non lo immaginavo”, come ebbe a dire il predecessore dell’attuale reggente di Palazzo Balbi già nel 2008. Osservando le statistiche tributarie regionali anche degli ultimi anni, la situazione non è affatto mutata. Tutto questo va oltre ed al di là degli slittamenti contributivi assunti dal governo in carica, per le note motivazioni pandemiche tutt’ora in corso.

Fin dall’inizio del secolo scorso in Italia, le imposizioni tributarie sui redditi da lavoro e pensione sono detratte dal datore di lavoro o dall’ente pensionistico, entrambi sostituti d’imposta per conto dell’erario. L’esatto contrario capita all’intera filiera produttiva che, a periodicità stabilita, versa “il dovuto, ma dopo” al fisco. Nelle economie a mercato aperto, Stati Uniti ad esempio, tutti godono della medesima posizione di partenza avanti all’erario: dipendenti ed imprenditori versano le tasse a cadenza periodica ex-post senza nessuna prelazione anticipata da parte di chicchessia. Perché i cittadini non sono tutti allineati nella medesima tempistica e quale è la ragione di tale handicap? Fatto 100 l’incasso dello Stato per l’IRPEF, ben l’82 % è pagato dai “soliti noti”, mentre: liberi professionisti, artigiani, commercianti, coldiretti, industriali contribuiscano solo con il restante 18%. L’evasione fiscale accertata nel 2019 è su base annua di 109,7 miliardi di €. Le imposte più evase sono l’Iva, con 35,9 miliardi, e l’Irpef lavoro autonomo e impresa, con una media di 33,3 miliardi, cui vanno sommati altri 5,3 miliardi di Irpef lavoro dipendente irregolare, per un totale di 38,6 miliardi. La somma è pari a 98,3 miliardi di mancate entrate tributarie, alle quali si devono aggiungere 11,4 miliardi di mancate entrate contributive. (fonte Nadef) Questione complessa, non solo irrisolta da decenni ma inasprita da sciagurati condoni c.d. “tombali” succedetesi negli anni, che hanno unicamente radicato l’opinione che tanto prima o poi chi non paga le tasse sarà graziato. In questa situazione, risulta difficile spiegare perché i servizi pubblici essenziali a godimento universale debbono essere garantiti dal cash mensile fiscale versato da dipendenti e pensionati. Forse che la sanità, la scuola, l’ordine pubblico e la sicurezza, la viabilità ordinaria, vengono utilizzati unicamente da una parte dei cittadini contribuenti? Per altro verso, lo Stato, anche per incapacità riformatrice delle classi politiche al governo del paese da metà degli anni Settanta del secolo scorso ad oggi, ha accumulato un debito stratosferico destinato ad incrementarsi fino a circa il 160% del PIL, una volta incamerati i fondi europei, mentre oltre il 70% dei cittadini ha una casa di proprietà e possiede nei propri depositi in banca ben 114 miliardi in pronta disponibilità. Come dire, il condominio cade a pezzi, ma ciascun condomino ha la maniglia d’oro nella porta d’ingresso. Il dettaglio da segnalare è che le politiche redistributive del reddito a favore di chi ha meno e/o per gli interventi nei momenti di emergenza vengono attuate dall’ente pubblico, se ne ha le possibilità finanziare oppure non resta che andare a prestito indebitandosi ulteriormente. Domanda, fino a che limite e fino a quando sarà ritenuto affidabile dai mercati lo Stato italiano? Lo tsunami capitato con il Covid-19, concordano tutti gli analisti ed i maître à penser del Bel Paese, richiede un’assunzione suppletiva di responsabilità individuale e collettiva nonché un cambio di paradigma. La nuova novella prontamente accolta dai politici, come di consueto, risuona un giorno e l’altro pure in tutti i dispositivi mediatici utili allo scopo. Una traduzione pratica del “nuovo corso” si è avuta durante la conversione del decreto-rilancio di agosto scorso. Il riferimento è alle concessioni demaniali marittime, ovvero alla facoltà data ad un’impresa balneare di esercitare la propria attività commerciale in esecuzione di un atto amministrativo. A fronte di questa chance, lo stato -poiché non sono mai stati aggiornati i canoni d’affitto del suolo pubblico da decenni- incassa poche migliaia di € per concessione. Viceversa, l’imprenditore ha ricavi in relazione ai mq occupati per centinaia di migliaia oppure milioni di €. Nel 2006 la nota «direttiva Bolkestein» adottata in Europa a valere per tutte queste situazioni, aveva sancito che una volta scaduta la concessione la medesima doveva essere messa a gara alla ricerca del miglior offerente e si presume del maggior incasso per la “casa ed il bene comune”. L’Italia, dove albergano i liberisti ed i sedicenti liberali concessionari di utenze radio-televisive, ha recepito con 4 anni di ritardo le regole europee e di proroga in proroga con l’ultima trovata post lock down, ha pensato bene di accordare una posizione di rendita consolidata per ulteriori 13 anni agli stessi imprenditori che sfruttano questa opportunità da 10, 20 o 30 anni. Tutti garantiti dal 2006 al 2033, più di un quarto di secolo e con la possibilità di trasferire la “licenza” ai propri figli, così come l’avevano ricevuta dai loro padri. Ottimo esempio di intrapresa all’italiana! Le ragioni del mercato aperto e competitivo anche per attirare giovani e nuove idee, flettono di fronte alle imminenti consultazioni regionali, considerato che il numero delle imprese balneari sono più di 52 mila con un giro d’affari di 15 miliardi annui, di conseguenza l’auspicato “salto di qualità della governance” è rinviato nel tempo. La norma è stata votata da tutte le forze di governo assieme a quelle di opposizione; si sa la penisola è lunga ed ogni regione che va al voto ha i “suoi” concessionari di beni demaniali. La dilazione poteva essere stata data con minor durata, ma i potenziali elettori si esaudiscono anche quando non hanno validi argomenti e chi rappresenta la “Nazione” (art. 67 della Costituzione) semplicemente non è affar suo.

In un’intervista resa al Corriere della Sera e riportata da G. Stella in un recente articolo il noto impresario Flavio Briatore spiegò che «gli affitti delle concessioni balneari andrebbero rivisti tutti. E almeno triplicati». «Parlo anche di me», aggiunse tranquillo, spiegando d’essere partito per il Twiga da un canone pagato dal vecchio concessionario di 4.322 euro l’anno per salire fino a 17.619». A fronte di un fatturato intorno ai quattro milioni. Il dato stupefacente è che costui, sfrutta una bene pubblico ne ricava milioni e ha la residenza fiscale a Montecarlo dove versa le tasse, sbalorditivo! Macron in occasione delle agevolazioni concesse a causa del coronavirus ha stabilito che chi non ha la residenza fiscale in Francia, non può chiedere alcunché. Per conoscenza del lettore, il Presidente della Repubblica francese non è né comunista né socialista. La legge in vigore elenca tassativamente le cause di perdita dell’elettorato attivo, sia definitivamente che temporaneamente, come nei casi dei sottoposti a misure di sicurezza personali detentive oppure alla libertà vigilata oppure al divieto di soggiorno oppure i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici ed altro ancora. Ecco, ribaltando l’assioma dei coloni inglesi per chi fruisce di beni pubblici in concessione attivandosi in termini d’impresa deve avere l’obbligo di avere anche la residenza fiscale personale in Italia, altrimenti: no taxation no representation in perfetto stile e contenuti liberal. È auspicabile che la prossima legge elettorale, recepisca questo concetto ed inizi a ristabilire -anche per questa via- un sano e corretto rapporto tra il bene di tutti e l’utilità singola che va valorizzata, ma non a discapito delle entrate dovute per le finalità generali.

Infine, venendo al quesito referendario pur essendo il parto sgangherato e becero di un’azione di parte volta a piantare una bandierina pentastellata, va colta nella direzione di marcia ed è opportuno votare SÌ.

La necessaria decurtazione degli scranni degli eletti a Montecitorio e Palazzo Madama, era stato un problema segnalato dalla Commissione Bozzi insediata nel 1983, allorquando con l’istituzione ufficiale delle amministrazioni regionali (1970) e poi del Parlamento europeo (1979), ci si rese conto che il numero di politici da eleggere era aumentato notevolmente. 1983-2020, anche qui sono trascorsi 37 anni del tutto inutilmente causa la neghittosità di deputati e senatori a ridursi nel numero e il diniego del popolo votante a riforme organiche della Costituzione, Centro Destra nel 2001 e Centro Sinistra nel 2016.

Enzo De Biasi