Robotica ed intelligenza artificiale tra realtà e fantascienza. Rischi potenziali e vantaggi reali

Rischi potenziali e vantaggi reali
Articolo di Roberto Fasoli. Presentazione della Redazione

Ci è sembrato opportuno pubblicare questo ponderoso articolo di Roberto Fasoli, per un paio di ragioni sostanziali: a) l’autore vi ha riversato una ricognizione approfondita della trasformazione in atto nell’intero mondo del lavoro, con la curiosità intellettuale e la sensibilità sociale che gli derivano dal peculiare cursus professionale e politico-culturale che lo ha visto appassionato Dirigente sindacale della CGIL veronese, vivace e competente Rappresentante nel Consiglio Regionale del Veneto ed attualmente generoso militante e testimone dell’Associazione Avviso pubblico; b) la seconda è strettamente correlata all’esigenza che l’emergenza Coronavirus ha determinato nei processi produttivi e di gestione dei servizi nei quali i nuovi vincoli del cosiddetto ‘distanziamento sociale’ hanno imposto il ripensamento della funzione surrogatoria delle tecnologie, il carattere non solo sostitutivo di robotica ed intelligenza artificiale. Ebbene, le analisi e, soprattutto le proposte contenute nella relazione – tenutasi in un tempo in cui la pandemia sanitaria ed economica non era certo presa in considerazione – riverberano tutta la loro attualità in quanto focalizzano i caratteri strutturali delle debolezze sociali emergenti, gli strumenti e le azioni necessarie per affrontarli. In queste settimane nelle quali si è discusso animatamente e polemicamente, da parte dei diversi protagonisti del mondo del lavoro, su tempi e modalità della ‘ripartenza’ della aziende e si è osservato con sorpresa che in Germania tale problema non aveva provocato grandi ambascie: verosimilmente perché in quel Paese la funzione del lavoro ha trovato una relazione ed un equilibrio innovativo ed efficace (sul piano quantiqualitativo) con i processi di innovazione pervasivi introdotti da robotica ed intelligenza artificiale. Ecco perché la lettura di questo articolo diventa un esercizio utile di riflessione e preparazione alle sfide del tempo presente, un documento-base di riferimento ed orientamento per le strategie di rimodellamento del sistema socioecomico.

La Redazione


Ringraziamento e nota metodologica.

Il testo di questo breve saggio è stato scritto in occasione del Terzo incontro su ‘Robotica, Intelligenza artificiale e lavoro’ – tenutosi l’anno scorso (25 febbraio 2019) – nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla Commissione Scienza e Fede della Diocesi di Verona e dalla Fondazione G. Toniolo.

Sono grato agli organizzatori perché, coinvolgendomi, mi hanno obbligato ad approfondire il tema del lavoro, al quale mi sono dedicato per molti anni della mia vita di sindacalista e di esponente politico, analizzando in profondità i cambiamenti indotti dalla rivoluzione tecnologica in atto, esaminando rischi e opportunità.

Tale incombenza mi ha spinto a studiare una serie di questioni di estremo interesse che riguardano discipline che spaziano ben oltre l’economia, la sociologia, il pensiero scientifico, così come è stato confermato nei due precedenti incontri.

Mi ha fatto anche piacere poter essere coinvolto in un percorso di grande significato culturale, politico e sociale che ha avuto l’ambizione di misurarsi con un tema così difficile e così attuale. Certo il percorso è appena iniziato ma è importantissimo averne colto la centralità. Per indole sono attratto da tutto ciò che non conosco e rischio, di conseguenza, di disperdere la mia attenzione inseguendo le innumerevoli sollecitazioni emerse in questa discussione, dagli incontri preparatori e dalle due prime conferenze del ciclo.

La bibliografia a disposizione è estremamente vasta. Ad un certo punto ho dovuto decidere di porre uno stop al lavoro di ricerca che dovrà certamente continuare e approfondirsi, per poter focalizzare e definire i punti di riflessione ai quali sono arrivato, in via provvisoria: nel documento sono citati una serie di testi che ho scelto come riferimento anche perché penso possano costituire un filo conduttore del percorso che ho fatto.

Ho volutamente circoscritto il tema alle ricadute sul lavoro della rivoluzione tecnologica in atto cercando di proporre, più che dei numeri, delle riflessioni di tipo qualitativo sui rischi e sulle opportunità, dedicando la seconda parte del mio intervento ad una ricognizione delle cose possibili da fare nell’immediato e in prospettiva per affrontare questo tema.

Naturalmente mi sono preso delle libertà e dei rischi, consapevole del fatto che a problemi radicalmente nuovi non possono essere proposte soluzioni di ieri e che non esistono risposte semplici e immediate a problemi complessi. Propongo quindi uno schema di ragionamento articolato in quattro punti che mi auguro possa essere utile allo sviluppo della ricerca e della discussione. In sintesi:

1. Come si trasforma il lavoro nella quarta rivoluzione industriale nell’impatto con le nuove tecnologie.

2. Quali rischi e quali opportunità si determinano.

3. Come si modificano la rappresentazione e la rappresentanza del lavoro.

4. Quali linee di azione sono possibili per affrontare i nuovi problemi.

Come si trasforma il lavoro nella quarta rivoluzione industriale nell’impatto con le nuove tecnologie

Oggi si parla sempre più diffusamente di quarta rivoluzione industriale, di industria 4.0., si moltiplicano articoli di stampa e pubblicazioni specialistiche. Senza tornare su temi in parte già trattati nei precedenti due incontri è bene ricordare alcuni concetti che vengono messi in evidenza in modo molto chiaro dal libro di PATRIZIO BIANCHI, ‘4.0. La nuova rivoluzione industriale’, il Mulino 2018, pp. 119, euro 11,00.

Lo consiglio vivamente per la completezza e la chiarezza pur nella sua sinteticità. Bianchi ci ricorda due cose importanti. La prima. Ogni rivoluzione industriale, a partire da quella descritta da Adam Smith nel 1776, fino a quella attuale è stata possibile e affonda le sue radici nei grandi cambiamenti, e in qualche caso in vere e proprie rivoluzioni, a livello politico, scientifico, culturale. Si tratta di una affermazione di grande rilievo che ci obbliga ad allargare il campo di analisi. Nel caso di Adam Smith ci si riferisce a Oliver Cromwell, a Isaac Newton, a John Locke tanto per citare alcuni nomi simbolo nelle tre aree sopra indicate. La seconda considerazione che ci propone Bianchi è che tutte le rivoluzioni industriali “trasformano il lavoro e tutti i rapporti sociali connessi con l’organizzazione del lavoro” e in esse ” vengono meno le vecchie consolidate routine di mediazione e rappresentanza sociale; cadono vecchi valori e con fatica emergono nuovi sentimenti condivisi e propri di una società in profonda trasformazione” (p. 10).

Come è noto la quarta rivoluzione industriale in atto, caratterizzata dalla intelligenza artificiale, dalla connessione di tutto e di tutti e dalle grandi trasformazioni tecnologiche che interessano non solo il mondo della produzione e la vita sociale ma anche la vita stessa delle persone (attraverso l’ormai diffuso utilizzo delle biotecnologie) è stata preceduta da altre rivoluzioni con un impatto molto importante. La prima, da metà ‘700 fino alla seconda metà dell’Ottocento è stata caratterizzata dall’utilizzo delle macchine a vapore; la seconda, dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni ’70-’80 del Novecento è stata caratterizzata dal fordismo e resa possibile dall’uso massiccio dell’elettricità e del motore a scoppio. La terza, dagli anni ’70-’80 del Novecento alla fine del secolo, è stata caratterizzata dall’uso massiccio delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dai computer.

Oggi siano entrati nell’era della rete, dell’intelligenza artificiale, dei Big Data, dei robot di nuova generazione che sono usciti dai confini della manifattura per estendere il loro raggio di azione in settori ritenuti fino a ieri al riparo dalle conseguenze derivanti dall’introduzione massiccia delle nuove tecnologie. Per chi vuole farsi un’idea di quanto sta succedendo segnalo due letture tanto agevoli quanto rigorose e documentate: RICCARDO STAGLIANÒ, ‘Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro’, Einaudi 2016, pp. 252, euro 18,00 e sempre dello stesso autore ‘Lavoretti. Così la sharing economy ci rende tutti più poveri’, Einaudi 2018, pp. 232, euro 18,00.

Due titoli tra i tantissimi oggi disponibili. Non intendo ripercorrere in dettaglio le caratteristiche della nuova fase, già descritte nei precedenti incontri, quanto analizzare, come mi è stato chiesto, cosa sta succedendo al lavoro. Parto da uno schema che propone Bianchi perché lo considero molto efficace. La prima rivoluzione industriale permette di passare dalla produzione artigianale personalizzata alla produzione standardizzata di massa, la seconda enfatizza al massimo questo passaggio e lo porta a livelli sconosciuti in precedenza attraverso il fordismo-taylorismo, la terza arriva alla produzione flessibile che incora oggi esiste anche se sempre più soppiantata dalla produzione individuale personalizzata in grandi volumi resa possibile dalle nuove tecnologie e dalla rete.

Questo scenario cambia radicalmente e in modo veloce mettendo in discussione tutte le vecchie logiche. La bibliografia consigliata da Bianchi è molto interessante. Mi permetto di segnalare ANNALISA MAGONE, TIZIANA MAZALI, ‘Industria 4.0’, Guerini e Associati 2016, pp. 175, euro 18,50 e LUCA BELTRAMETTI, NINO GUARNACCI, NICOLA INTINI, CORRADO LA FORGIA, ‘ La fabbrica connessa’, Guerini e Associati, pp. 214, euro 18.50. Segnalo anche KLAUS SCHWAB, ‘ La quarta rivoluzione industriale’, Franco Angeli 2015, pp. 316, euro 22.00; LUCIANO FLORIDI, ‘La quarta rivoluzione industriale. Come l’infosfera sta trasformando il mondo’, Raffaello Cortina Editore 2017, pp. 285, euro 24,00 e infine un libro di due autori molto noti che lavorano al MIT di Boston che ha fatto molto discutere: ERIK BRYNJOLFSSON, ANDREW McAfee, ‘La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante’, Feltrinelli 2015, pp.316, euro 22.00.

Oggi però c’è solo l’imbarazzo della scelta. La nuova realtà della produzione in cui tutte le fasi sono interconnesse è finalizzata a soddisfare quasi in tempo reale domande individuali in continua evoluzione. Ciò è possibile attraverso un nuovo rapporto tra uomini e robot, processo che cambia non solo le tecniche di produzione e l’organizzazione del lavoro, ma anche i rapporti sociali e la società stessa.

Vediamo più da vicino cosa cambia nel lavoro.

La CGIL da tempo ha costituito un gruppo di lavoro che sviluppa ricerche su questi temi e recentemente, tra le altre cose, ha prodotto un importante volume intitolato ‘Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative’. Lo hanno curato ALBERTO CIPRIANI, ALESSIO GRAMOLATI, GIOVANNI MARI ed è stato edito da Firenze University Press 2018, pp. 747, euro 24.90.

Si tratta di un’opera di grande interesse che affronta il tema da molteplici punti di vista. All’interno, tra le tante cose interessanti, segnalo il saggio di STEFANO MUSSO dell’Università di Torino dal titolo ‘Le trasformazioni del lavoro nelle rivoluzioni Industriali’, pp. 359-370, che propone sette criteri per esaminare i cambiamenti del lavoro e più precisamente: 1. Divisione del lavoro/qualità del lavoro quanto a contenuti di professionalità 2. Natura giuridica del rapporto di lavoro (contratto individuale/collettivo) 3. Stabilità del rapporto di lavoro 4. Rapporto tra tempo di lavoro re tempo libero (o tempo di vita) 5. Rappresentanza e dialettica degli interessi 6. Welfare/ legislazione sociale 7. Distribuzione del reddito.

Come ben si vede alcuni punti si riferiscono alla prestazione lavorativa in quanto tale, altri al suo rapporto con la vita personale, altri ancora al suo peso sociale, al suo valore, alla sua tutela. In sintesi le ultime tendenze in atto si possono così indicare:

1. Polarizzazione progressiva del mercato del lavoro con una forte diminuzione delle mansioni intermedie. Convivono alte e altissime professionalità con forme di vera e propria manovalanza se non di semi-schiavitù anche a causa del lavoro nero e irregolare di cui spesso sono vittime gli immigrati.

2. Dalla fase dei contratti collettivi si registra oggi un ritorno a forme individuali di contrattazione che riducono la forza negoziale del lavoratore e indeboliscono la sua capacità di organizzarsi in modo collettivo.

3. Sul piano della stabilità del rapporto di lavoro si sta arretrando a forme di stagionalità o di alternanza tra periodi di grande lavoro a situazioni di carenza, con carriere discontinue e precarie che obbligano spesso non solo a cambiare lavoro ma sempre di più a prestare lavori diversi per poter arrivare a condizioni economiche decenti.

4. Il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita cambia radicalmente non solo per l’estensione del tempo di impiego che arriva a saturare l’intera settimana senza più il tempo libero, nessuna distinzione tra giorno e notte e giorni feriali e festivi, ma anche per le modalità della prestazione. La connessione continua invade il tempo libero e per alcune professioni siamo di fronte ad una sorta di reperibilità ininterrotta. Si può dire che non esista più il tempo libero tradizionalmente inteso, anche perché attraverso i cellulari le persone restano sempre connesse e praticamente sempre al lavoro; anche quando non se ne rendono conto attraverso la connessione lavorano gratuitamente per altri fornendo informazioni e dati. YUVAL NOAH HARARI, autore di una serie di libri di grandissimo successo, nel suo ultimo libro ‘21 lezioni per il XXI secolo“, Bompiani 2018, pp. 524, euro 24,00, a pagina 127 paragona la disponibilità a cedere gratuitamente e in modo felice alla rete la nostra risorsa più preziosa, i dati personali e le nostre scelte, per aver servizi di posta elettronica gratuiti e simpatici video di gattini, alla sconsiderata disponibilità degli africani e degli indiani d’America a cedere grandi territori agli imperialisti in cambio di perline colorate e paccottiglia. C’è da riflettere a lungo su questa situazione e sulle sue implicazioni.

5. Sul piano della rappresentanza si passa dalla concertazione/contrattazione (sono due concetti distinti) alla disintermediazione negando il ruolo delle associazioni di rappresentanza. In questo quadro potrebbero riprendere un ruolo le forme di rappresentanza orizzontali di tipo intercategoriale che faticosamente cercano di ricomporre un lavoro che si particolarizza e si intreccia sempre di più anche all’interno dello stesso ambiente. In qualche modo si torna alle vecchie ‘chambres du travail“.

6. Si indeboliscono i sistemi di protezione e di sicurezza sociale e arretrano i diritti conquistati con tanta fatica. Viene dato spazio a forme di welfare aziendale, e quando va meglio di categoria, e a forme di protezione legate alla bilateralità che tentano di compensare gli arretramenti sul piano delle tutele universalistiche, ma certamente spesso si presentano come sostitutivi di forme di contrattazione economica e certo non aiutano a salvaguardare la difesa universale dei sistemi di protezione. Rinascono forme associative di tipo mutualistico e cooperativo, in particolare tra i lavoratori autonomi di seconda generazione.

7. Cresce a dismisura la disuguaglianza salariale e sociale a tutto vantaggio dei profitti con una forte divaricazione anche all’interno del mondo del lavoro tra chi esercita mansioni di alta qualificazione chi invece svolge compiti meramente esecutivi. Queste in sintesi le tendenze in atto.

Sarebbe necessario approfondirle punto per punto. Va osservato anche il fatto che contemporaneamente si aprono anche spiragli di novità e di opportunità che vanno colti superando atteggiamenti passivi e rassegnati rispetto a situazioni che, come tutte le vicende umane, sono suscettibili di modifica attraverso l’azione intelligente, determinata e organizzata delle persone, delle associazioni, delle istituzioni. Lo dico chiaramente. Comprendere le tendenze in atto e le potenzialità e le minacce in esse contenute non può essere un alibi per rassegnarsi ad un destino ineluttabile. Si può e si deve trovare il modo per rappresentare e tutelare il lavoro nelle sue nuove forme per quanto oggi possa sembrare difficile.

Ci sono sempre alternative. Bisogna trovarle o meglio costruirle. Rassegnarsi alla logica espressa dall’acronimo T.I.N.A. (There Is No Alternative) è quanto di peggio possa capitare a chi ricopre posizioni di responsabilità e dovrebbe occuparsi di questioni legate alla qualità della vita sociale e personale delle donne e degli uomini di oggi.

Quali rischi e quali opportunità si determinano

Abbiamo già anticipato una serie di rischi che in buona misura sono già in atto. Ora vediamo più da vicino alcune questioni più generali. La prima in assoluto è quella relativa alla conservazione dei posti di lavoro. Keynes già negli anni ’30 parlava di ‘disoccupazione tecnologica’.

Poi le vicende successive, almeno fino agli anni ’70 del secolo scorso parevano dargli torto. Poi è risultato progressivamente sempre più evidente che la curva che misura la progressiva crescita della produttività cominciava a divaricarsi da quella dell’occupazione e si è iniziato a parlare di ‘jobless growth’, di crescita senza occupazione. Molti studiosi, prevalentemente economisti, sostengono che, come è sempre avvenuto, dopo un iniziale disallineamento, sotto la spinta dell’innovazione l’economia è destinata a crescere e con essa l’occupazione recuperando la perdita iniziale e andando più avanti. Tra gli italiani segnalo ENRICO MORETTI, ‘La nuova geografia del lavoro’, Mondadori 2014, pp. 276, euro 19,00.

Molti altri autori sembrano molto meno ottimisti e tra essi non solo il già citato Staglianò ma anche tanti altri autori stranieri, in qualche caso passati da una iniziale fase di fiducia a una successiva di dubbio quando non di esplicita preoccupazione. È il caso di JARON LANIER, pioniere delle realtà virtuale, approdato a una profonda sfiducia sugli effetti delle nuove tecnologie fino alla pubblicazione di un recente polemico volumetto dal titolo ‘Dieci buone ragioni per cancellare subito i tuoi account social’, il Saggiatore 2018, pp. 211, euro 10,00. La disputa sul futuro dell’occupazione è apertissima e il suo esito è incerto. Credo sia necessario essere molto prudenti anche se va colta una differenza sostanziale rispetto al passato. Le rivoluzioni precedenti in grandissima misura arrivano a sostituire lavori routinari, di fatica fisica. Oggi si sostituiscono progressivamente anche mansioni e lavori di tipo intellettuale che fino a ieri si ritenevano al riparo dai rischi e dalla concorrenza delle macchine. Diventa sempre più difficile stabilire fino a quali confini si potrà spingere l’intelligenza artificiale e identificare di conseguenza i lavori che posso pensare di essere in qualche modo al sicuro.

Resta un fatto indiscutibile. Oggi l’intelligenza artificiale e i robot espellono dal mercato del lavoro una quantità di persone che è molto difficile pensare di poter ricollocare nel breve-medio periodo con conseguenze rilevantissime non solo sul piano economico e sociale, ma anche sul piano del vissuto personale, dei comportamenti, delle mentalità, dell’atteggiamento e degli orientamenti politici.

Un grande premio Nobel per l’economia, Wassily Leontief, ha spesso paragonato i lavoratori rimpiazzati dalle macchine ai cavalli sostituiti dai trattori nel lavoro agricolo. Aldilà del fatto che gli uomini sono molto diversi dai cavalli e hanno capacità che i pur rispettabili equini non possiedono, su un punto penso che Leontief abbia ragione e lo ricorda DOMENICO DE MASI, illustre studioso dei problemi del lavoro, in uno dei suoi primi libri, per molti aspetti anticipatori ‘Sviluppo senza lavoro’, Edizioni Lavoro 1994, pp. 130, lire 12.000, riportando in esergo la seguente frase di Leontief. “Credere che i lavoratori sostituiti dalle macchine troveranno inevitabilmente un’occupazione nella costruzione di quelle stesse macchine, equivale a pensare che i cavalli sostituiti dai veicoli meccanici possano essere utilizzati nelle differenti branche dell’industria automobilistica“.

Al netto di tutte le approssimazioni del caso è del tutto evidente che si rischia, per essere prudenti, quanto meno una divaricazione. Quand’anche, speriamo, fosse possibile creare con l’innovazione nuovi posti di lavoro, è difficile pensare che possano essere occupati dalle persone espulse dal lavoro a causa delle macchine. È altamente probabile, se non certo, che quei posti siano destinati a persone molto diverse da quelle espulse che spesso per età, storia, livelli di formazione, non sono facilmente reimpiegabili nella nuova economia della conoscenza’.

Ciò comporta la necessità di politiche molto coraggiose e adeguate al problema; di questo parlerò nell’ultima parte della mia comunicazione.

Un secondo rischio è dovuto al fatto che alla crescente polarizzazione delle competenze si accompagna anche l’ampliamento delle differenze salariali con una straordinaria crescita della ricchezza nelle classi apicali e un altrettanto straordinario aumento delle fasce di povertà che colpisce oggi anche un numero consistente di persone che hanno un lavoro e, talvolta, anche a tempo indeterminato. Sul tema della disuguaglianza nelle sue varie declinazioni possibili, all’interno della popolazione e del modo del lavoro si potrebbe e si dovrebbe aprire una discussione molto approfondita anche perché sembra ormai consolidata e maggioritaria l’opinione che essa eserciti un ruolo negativo nei confronti dei processi di crescita economica. Tra la vasta letteratura in proposito scelgo di fare riferimento al libro di JOSEPH E. STIGLITZ, ‘Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la disuguaglianza per tornare a crescere’, il Saggiatore 2016, pp. 189, euro 22,00.

Ci sono questioni legate anche alla positiva e crescente affluenza delle donne nel mercato del lavoro originate dal un forte cambiamento dei costumi e delle mentalità e dal bisogno sempre più diffuso che per assicurare un dignitoso livello di vita alle famiglie entrambi i coniugi lavorino anche a causa del progressivo peggioramento delle condizioni salariali dovuto alla polarizzazione della ricchezza. Ciò enfatizza i già seri problemi legati al lavoro di cura o, come alcune studiose preferiscono definirlo, al lavoro di riproduzione sociale. È un tema di grande complessità che si intreccia strettamente a quello della differenza di genere. Ma su questo bisognerebbe aprire una discussione specifica. Ci sono poi i rischi derivanti dal senso di sconfitta che colpisce le persone che subiscono gli effetti della rivoluzione tecnologica e dei processi di globalizzazione, generando situazioni di solitudine e, sempre più frequentemente di rancore, rabbia e risentimento nei confronti delle cosiddette élite. Tutto ciò finisce, in assenza di risposte adeguate, per alimentare i diffusi sentimenti di protesta che si registrano a livello nazionale e internazionale che sbrigativamente vengono etichettati come populismo, termine che richiede quanto meno una contestualizzandone e alcune precisazioni necessarie per distinguerlo dalle forme in cui si è storicamente manifestato nel passato. Anche su questo tema c’è ormai una vasta letteratura. Per una introduzione è una rassegna sulle varie forme di populismo segnalo il libro di PAOLO GRAZIANO, ‘Neopopulismi. Perché sono destinati a durare’, il Mulino 2018, pp. 109, euro 11,00.

È altrettanto evidente che la rivoluzione in atto offre anche opportunità importanti che per essere colte pienamente richiedono visione politica e capacità di prendere decisioni coraggiose, qualità che oggi non sembrano essere presenti in abbondanza Le infinite potenzialità offerte dalle nuove tecnologie permetterebbero di migliorare tantissimo gli standard dei livelli economico e sociale e offrono grandi opportunità anche per il miglioramento delle vita stessa delle persone e per il suo prolungamento in condizioni più che dignitose. Ma se la molla che spinge l’innovazione è esclusivamente la ricerca del massimo profitto possibile e non il bene comune le potenzialità rischiano di non concretizzarsi e dì generare ulteriori differenze e contraddizioni. Di ciò si sono fatti interpreti numerosi studiosi ed è stata materia anche per autorevoli interventi delle diverse confessioni religiose. Per quanto riguarda la chiesa cattolica sono molteplici e molto significative le encicliche e le prese di posizioni dei Pontefici in proposito La consapevolezza delle enormi possibilità potenziali si è tradotta anche in documenti ufficiali delle Nazioni Unite.

Tanto per fare alcuni esempi faccio riferimento agli otto obiettivi di sviluppo del millennio, condivisi dai 193 paesi membri, che avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 2015. Li ricordo.

1. Sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo.

2. Rendere universale l’istituzione primaria.

3. Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne.

4. Ridurre la mortalità infantile.

5. Ridurre la mortalità materna.

6. Combattere l’HIV/AIDS, la malattia e altre malattie.

7. Garantire la sostenibilità ambientale.

8. Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.

Più recentemente l’ONU ha rilanciato il progetto articolandolo nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile impegnando i 193 paesi dell’Organizzazione a raggiungerli entro il 2030. Là finalità è arrivare ai società più prospere, più giuste e più eque, migliorando le nostre condizioni di vita senza distruggere o danneggiare irrimediabilmente le risorse di chi verrà dopo di noi. Il documento è facilmente scaricabile in rete. Si tratta di obiettivi ambiziosi ma del tutto alla portata, viste le attuali potenzialità della scienza e della tecnica. Il loro conseguimento è tutto legato alla volontà politica ed è qui che le cose si complicano maledettamente.

Come si modificano la rappresentazione e la rappresentanza del lavoro

Non c’è dubbio alcuno che sotto la spinta delle straordinarie innovazioni in atto il lavoro subisca una profonda trasformazione del suo stesso significato. Voltaire, citato a p.243 da Brynjolfsson e McAfee nel loro libro sulla nuova rivoluzione delle macchine diceva: ‘Il lavoro salva l’uomo da tre grandi mali: noia, vizio, necessità’.

Si può discutere a lungo su questa affermazione. Ciò che è certo è che oggi il senso del lavoro è profondamente mutato. Continua ad essere una condizione di grandissima importanza per la vita di una persona, ma non può più essere, se mai lo è stato, fonte unica della sua identità. Oggi le persone sono molte cose insieme e uno dei più problematici conflitti che abbiamo davanti a noi è quello che contrappone gli interessi del cittadino/lavoratore a quelli del cittadino/ consumatore (pensiamo alle aperture domenicali degli esercizi commerciali, alle esperienze di Airbnb e Uber, agli acquisti in rete, alla consegna a domicilio dei pasti, tanto per fare alcuni esempi a tutti noti). Una rassegna enciclopedica sulle trasformazioni del lavoro dall’antichità ai giorni nostri si trova nel libro di DOMENICO DE MASI, ‘Il lavoro nel XXI secolo’, Einaudi 2018, pp.819, euro 24,00. Per il nostro percorso di riflessione è particolarmente importante la quarta parte intitolata: ‘Il lavoro nella società postindustriale’.

Il lavoro oggi continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per l’autonomia e la libertà delle persone e richiede una particolare attenzione da parte di chi si occupa di politica. Bisogna essere consapevoli però che non è più il lavoro di ieri e le ricette per tutelarlo e promuoverlo richiedono analisi e proposte fortemente innovative e coraggiose al punto da sembrare oggi, ad alcuni, utopistiche. Tentare di risolvere con gli strumenti di ieri i problemi di oggi è impossibile. Per questo oggi è molto più difficile rappresentare, tutelare e promuovere il lavoro. È noto che le condizioni di lavoro dipendono non solo dall’andamento dell’economia ma anche e soprattutto da due strumenti fondamentali: la legislazione e la contrattazione. È qui veniamo alle note dolenti. Se oggi i problemi si presentano a livello globale con quali strumenti legislativi e contrattuali possiamo affrontarli e regolarli? Siamo di fronte ad un grande disallineamento, fonte di difficoltà enormi. Oltre ai gravissimi ritardi dì comprensione dei mutamenti in atto la politica registra la sua attuale impotenza nel trovare sedi adeguate per assumere le decisioni necessarie. Per restare all’Europa, è noto che il Parlamento ha poteri molto limitati e che spetta poi ai singoli Stati nazionali assumere le decisioni.

Anche quando vengono assunte, in genere in ritardo, esse il più delle volte risentono del clima di competizione più che di collaborazione che caratterizza i rapporti tra gli Stati e, senza una visione di prospettiva, finiscono per assecondare il pensiero unico che descrive il modello economico attuale come unico e privo di qualsiasi possibile alternativa e nemmeno di cambiamenti significativi. La legislazione in materia, come abbiamo già detto, si caratterizza oggi in termini di indebolimento dei diritti e delle tutele e viene di conseguenza percepita e vissuta come ostile da larghissime fasce della popolazione che lavora. Siamo oggi in una fase di rimessa in discussione radicale delle conquiste ottenute dal mondo del lavoro nel trentennio che ha seguito la fine della seconda guerra mondiale. Rinvio per questo ad un testo importante di LUCIANO GALLINO, ‘La lotta di classe dopo la lotta di classe’, Laterza 2012, pp. 213, lire 12.000. Non si va meglio sul piano della contrattazione. A livello europeo non esistono esperienze veramente significative e anche a livello delle singole nazioni le difficoltà sono crescenti, alimentate anche dalla sciagurata teoria della disintermediazione che punta a svalorizzare il ruolo dei corpi sociali intermedi (tanto cari a De Rita) per costruire un rapporto diretto tra il capo e i singoli, a volte tutti i livelli. Questo processo è favorito dalle crescente presidenzializzazione (prevalenza degli esecutivi sugli organi legislativi) e personalizzazione della politica (mito del capo e forte legame tra la sua vita privata e il suo ruolo pubblico. Giova ricordare oggi, in un momento in cui il ruolo del sindacato è messo in ombra o peggio messo in discussione e osteggiato, che i suoi compiti restano fondamentale e imprescindibili per la rappresentanza e tutela del lavoro. Li ricordo.

Il sindacato contratta, a livello nazionale, territoriale, aziendale, le condizionino gene collettive del lavoro definendone regole, modalità di svolgimento, retribuzione. Il sindacato tutela gli interessi individuali delle persone attraverso i molteplici servizi che offre attraverso i patronati, i Caaf, gli sportelli tematici aiutando così a risolvere problemi molto concreti che da sole le persone farebbero molta più fatica a risolvere. Il sindacato infine rappresenta gli interessi generali dei lavoratori e dei pensionati attraverso il confronto e la concertazione con il Governo su temi generali che possono avere ricadute importanti: la politica economica e fiscale, la sanità, la previdenza, la scuola, solo per fare qualche esempio. Temi che riguardano l’insieme dei cittadini/e e non singole categorie. Queste tre funzioni, tutela collettiva attraverso i contratti di categoria, tutela individuale attraverso i servizi, rappresentanza degli interessi attraverso la concertazione confederale con il Governo vengono oggi messi in discussione e in grave difficoltà. Per questo se sommiamo alle difficoltà oggettive di rappresentare un lavoro che cambia in profondità e offre scenari e problematiche sempre diverse, le difficoltà interposte all’azione del sindacato che faticosamente cerca di aggiornare e realizzare il suo ruolo attraverso l’esercizio delle tre funzioni sopra ricordate, otteniamo uno scenario desolante nel quale rischiano di prevalere lo scoramento, la delusione, la rassegnazione o, in alternativa, la rabbia, la rivolta o l’azione particolare o settoriale. In questo quadro si fa grande fatica ad intravvedere orizzonti comuni di cambiamento in termini di diritti, uguaglianza, giustizia sociale che possano accomunare settori ampi del mondo del lavoro. Questa è una delle sfide decisive che dobbiamo affrontare: rappresentare, tutelare e promuovere il lavoro nella rivoluzione attuale. È un compito estremamente difficile e la politica dovrebbe assumerlo come prioritario, aiutando il sindacato nel suo faticoso percorso di rinnovamento invece di contrastarlo o tentare di additarlo come uno dei principali responsabili delle cose che non funzionano, e sappiamo che sono molte.

Quali linee di azioni sono possibili per affrontare i nuovi problemi

E qui veniamo alla parte più difficile e per molti aspetti rischiosa, ma ineludibile. Oggi non basta, anche se è fondamentale, capire e descrivere cosa sta succedendo; bisogna assumersi l’onere della proposta e della sua sperimentazione per vincere il sentimento di rassegnazione e abbandono che a volte sembra prevalere e anche per provare a indirizzare i sentimenti di rabbia e di ribellione che se non trovano sbocchi rischiano di rimanere episodi isolati e del tutto inefficaci.

La prima cosa da fare è quindi capire in profondità cosa è successo e cosa sta succedendo a livello economico, scientifico, culturale e sociale come ricordava Patrizio Bianchi per le altre rivoluzioni industriali. Non è affatto semplice anche perché i cambiamenti si realizzano in tempi sfasati, quasi mai in contemporanea. Serve un lavoro di analisi molto approfondito. È necessaria una grande apertura mentale e una certa dose di umiltà e di pazienza. I risultati non si producono in breve tempo. La seconda cosa necessaria è farsi carico delle paure e dello spaesamento delle persone di fronte a questi processi e assumere questi stati d’animo come problemi senza giudicare o condannare a priori. È normale che processi così radicali generino sentimenti molto forti e contrastanti. Bisogna capire come nascano e come possiamo affrontarli. Formulare giudizi generici e avanzare soluzioni semplicistiche di fronte a problemi così complessi è un modo eccellente per peggiorare la situazione.

La terza cosa, assai complicata, è la ricerca di nuove grandi visioni che possano rappresentare un punto di riferimento per le persone. Quando si dice che non sono più possibili grandi ideologie, molte volte si predica la rassegnazione. Ai problemi globali che abbiamo davanti non si può dare risposte adeguate senza una visione generale di cui oggi sembrano capaci solo le grandi confessioni religiose alle quali però è difficile attribuire il compito esclusivo o principale di trovare soluzione ai problemi concreti, almeno per buona parte della nostra cultura occidentale. Serve una visione generale che renda possibile perseguire obiettivi di vita dignitosa senza distruggere le risorse naturali. Quelli fissati dalle Nazioni Unite sono un buon riferimento ma come abbiamo visto non basta la loro formulazione per renderli possibili. Le vicende storiche del novecento complicano maledettamente questo lavoro per gli avvenimenti tragici che lo hanno caratterizzato. Ma oggi bisogna provare a sperimentare soluzioni nuove accettando l’idea di rivedere ogni percorso intrapreso, in assenza di risultati. In questa ultima parte proverò ad indicare alcuni titoli utilizzando i diversi testi che ho preso a riferimento, consapevole della esigenza di sviluppare un ragionamento approfondito su ciascuno di essi.

1. INVESTIRE NELLA ISTRUZIONE E NELLA FORMAZIONE. È un tema che tutti sanno essere decisivo. Ma per fare cosa? È evidente che non basta più saper leggere, scrivere e far di conto né sono riproponibili le tre “i” tanto sbandierate (impresa, inglese, informatica). Oggi serve un cambiamento totale del paradigma formativo abbandonando l’illusione di un collegamento stretto ed efficace immediatamente tra le dinamiche, necessariamente lente dell’apprendimento e quelle sempre più veloci della produzione.

Yuval Noah Harari nel suo ultimo lavoro ‘21 lezioni per il XXI secolo’ avanza una serie di proposte interessanti. In particolare per quanto riguarda i temi dell’istruzione e della formazione avanza la proposta di fondare ogni percorso alle ‘4 C’ più 1.

A cosa pensa? Harari propone che l’istruzione e la formazione siano finalizzate alla promozione delle seguenti capacità:

a) Critica

b) Comunicazione

c) Collaborazione

d) Creatività

La ‘C’ supplementare rappresenta il ‘Cambiamento’ e cioè la capacità di imparare sempre cose nuove mantenendo il controllo anche emotivo in situazioni di emergenza. Il possesso di queste capacità mette l’uomo nella condizione di lavorare con i robot e di essere padrone del suo destino perché enfatizzano e sviluppano quelle capacità che oggi sembra difficile sostituire con le macchine e possono, gli esperimenti sembrano confermare questa tesi, esprimersi al meglio proprio attraverso la collaborazione con le macchine. Inutile dire che servono ottimi insegnanti, ben preparati e ben pagati.

2. PROTEGGERE LE PERSONE PIÙ DEBOLI. Nella fase di transizione, quale che sia il destino futuro dell’occupazione, avremo per anni milioni di persone che verranno spinte ai margini del sistema. Per evitare la loro disfatta o situazioni incontrollate di rivolta è indispensabile farsene carico e prendersi cura di esse con strumenti concreti di welfare sociale relativi al lavoro, alla casa, alla salute, alla istruzione, all’assistenza, alla cultura. Non sono soldi spesi ma soldi investiti. Va cambiata radicalmente l’impostazione. A questo fine torna a essere assolutamente centrale il ruolo del ‘pubblico’, oggi vituperato da molti, ma unica garanzia e unico strumento possibile per una gestione equa e universalistico di questi servizi fondamentale, proprio perché non ispirato dalla logica del profitto a tutti i costi ma finalizzato al bene comune.

3. COSTRUIRE UN PACCHETTO DI RIFORME RADICALI DA ATTUARE NEL BREVE-MEDIO PERIODO. Brynjolfsson e McAfee, già citati in precedenza, nel loro libro avanzano, nella parte finale, una serie di proposte che ritengo molto interessanti. Ad esse faccio riferimento con alcune mie personali osservazioni e integrazioni.

a. Sostenere la ricerca scientifica e tecnologica con un ruolo fortissimo del pubblico. A questo proposito suggerisco di utilizzare il libro di MARIANA MAZZUCATO, ‘Lo stato innovatore’, Laterza 2014, pp. 351, euro 18,00.

b. Favorire la nascita di nuove imprese che si dimostrano molto più capaci di creare nuova occupazione utilizzando al meglio le nuove tecnologie.

c. Creare modalità molto più efficaci per realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro utilizzando le nuove tecnologie per realizzare banche dati realmente utili.

d. Migliorare le infrastrutture materiali e immateriali e occuparsi della salvaguardia dell’ambiente e del territorio.

e. Aprirsi in modo intelligente e regolato all’immigrazione e allo scambio di esperienze e di competenze.

f. Ideare e sperimentare nuovi sistemi di tassazione che riducano le disuguaglianze e colpiscano la rendita.

g. Sperimentare forme di remunerazione del tanto lavoro non riconosciuto svolto dai cittadini che utilizzando le tecnologie digitali e le piattaforme forniscono dati e conoscenze in modo gratuito producendo utili incamerati dai proprietari delle piattaforme senza alcun riconoscimento economico per i cittadini.

h. Sperimentare forme di reddito universale di base senza alcun vincolo, per costruire un plafond di sicurezza per tutte le persone mettendole nella condizione favorevole PE affrontare le nuove sfide proteggendole dal rischio dell’insuccesso economico e dell’esclusione sociale. Su questo tema delicatissimo la confusione regna sovrana. Si usano come sinonimi termini molto diversi tra di loro. Il reddito di cui parlano i due autori americani e a mio parere assimilabile a alla proposta di PHILIPPE VAN PARIJS e YANNICK VANDERBORGHT contenuta nel libro ‘Il reddito di base. Una proposta radicale’, il Mulino 2017, pp. 487, euro 29,00. Per una ricognizione generale del problema e alcuni riferimenti alle esperienze europee segnalo ELENA GRAMAGLIA, MAGDA BOLZONI, ‘Il reddito di base’, Ediesse 2016, pp. 226, euro 12,00.

Combinare queste indicazioni con gli obiettivi proposti dall’ONU può offrire un quadro di azioni possibili da sperimentare per evitare di assistere rassegnati e imbelli alle conseguenze, per certi aspetti imprevedibili, delle trasformazioni in atto. Ma il nostro destino non è segnato. Mi piace concludere con la frase finale del libro di Patrizio Bianchi. “Nel tempo in cui sviluppiamo strumenti, macchine, intelligenze aumentate, robot surroganti e ora anche debordanti rispetto alle capacità umane, ristabilire gli obiettivi della nostra azione comune diviene il più urgente degli obblighi verso noi stessi. -Dove dobbiamo andare?- Non vi è macchina, o robot, né rete o server che possa rispondere per noi a questa domanda, tocca solo a noi dare questa risposta. Meno male“.

Roberto Fasoli

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • LUCA BELTRAMETTI, NINO GUARNACCI, NICOLA INTINI, CORRADO LA FORGIA, La fabbrica connessa, Guerini e Associati, pp. 214, euro 18.50
  • PATRIZIO BIANCHI, 4.0. La nuova rivoluzione industriale, il Mulino 2018, pp. 119, euro 11,00
  • ERIK BRYNJOLFSSON, ANDREW Mc AFEE, La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante, Feltrinelli 2015, pp.316, euro 22.00
  • DOMENICO DE MASI, Sviluppo senza lavoro, Edizioni Lavoro 1994, pp. 130, lire 12.000
  • DOMENICO DE MASI, Il lavoro nel XXI secolo, Einaudi 2018, pp.819, euro 24,00
  • LUCIANO FLORIDI, La quarta rivoluzione industriale. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore 2017, pp. 285, euro 24,00
  • LUCIANO GALLINO, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza 2012, pp. 213, lire 12.000.
  • ELENA GRAMAGLIA, MAGDA BOLZONI, Il reddito di base, Ediesse 2016, pp.226, euro 12,00
  • PAOLO GRAZIANO, Neopopulismi. Perché sono destinati a durare, il Mulino 2018, pp. 109, euro 11,00.
  • YUVAL NOAH HARARI, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani 2018, pp. 524, euro 24,00
  • JARON LANIER, Dieci buone ragioni per cancellare subito i tuoi account social, il Saggiatore 2018, pp. 211, euro 10,00
  • ANNALISA MAGONE, TIZIANA MAZALI, Industria 4.0, Guerini e Associati 2016, pp. 175, euro 18,50
  • MARIANA MAZZUCATO, Lo stato innovatore, Laterza 2014, pp. 351, euro 18,00
  • ENRICO MORETTI, La nuova geografia del lavoro, Mondadori 2014, pp. 276, euro 19,00
  • STEFANO MUSSO, Le trasformazioni del lavoro nelle rivoluzioni industriali in ALBERTO CIPRIANI, ALESSIO GRAMOLATI, GIOVANNI MARI, Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press 2018, pp. 747, euro 24.90
  • KLAUS SCHWAB, La quarta rivoluzione industriale, Franco Angeli 2015, pp. 316, euro 22.00
  • RICCARDO STAGLIANÒ, Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi 2016, pp. 252, euro 18,00
  • RICCARDO STAGLIANÒ, Lavoretti. Così la sharing economy ci rende tutti più poveri, Einaudi 2018, pp. 232, euro 18,00
  • JOSEPH E. STIGLITZ, Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la disuguaglianza per tornare a crescere, il Saggiatore 2016, pp. 189, euro 22,00
  • PHILIPPE VAN PARIJS e YANNICK VANDERBORGHT, Il reddito di base. Una proposta radicale, il Mulino 2017, pp. 487, euro 29,00