Ripartiamo dal Veneto

(di Ettore Bonalberti*)

Comitati civico popolari  nei quali possano ritrovarsi esponenti delle grandi culture costituzionali che hanno fatto grande l’Italia: popolare, liberale, socialista.


Eravamo “la regione bianca” per antonomasia nella Prima Repubblica. Qui la DC, in alcune province e in molti comuni, toccava percentuali di consenso oltre il 50-60 % e in alcune realtà della provincia di Vicenza si permetteva di fare l’en plein di maggioranza e minoranza nei Consigli  comunali  tra fazioni che, difficilmente poi resistevano allo scontro politico amministrativo.

Da responsabile dell’ufficio programma della DC veneta ebbi l’opportunità di intervistare Rocchetta e Tramarin, gli epigoni della Liga veneta proprio nella sede regionale del partito a Padova per il giornale “Il Popolo del Veneto”. Erano gli esponenti più importanti di un fenomeno politico e che con il sen Bisaglia decidemmo di analizzare approfondire con un gruppo di studi  ad hoc, che ebbi l‘onore di coordinare, formato da alcuni illustri docenti universitari come il prof  Nicola Berti, storico, Ulderico  Bernardi, sociologo e Ferruccio Bresolin, economista. 

Non comprendevamo come in molti comuni della fascia pedemontana nei quali la DC usualmente raccoglieva consensi oltre il 50% dei voti, emergessero spostamenti del 10-20% verso la nuova formazione che si reggeva sul passa parola e sulle improvvisate scritte murales in bianco, a sostegno di Bossi e della Liga veneta contro “Roma ladrona”.

Bisaglia, poco prima della sua scomparsa, intuì l’esigenza di un ripiegamento in senso regionalista del partito, sino a ipotizzare l’avvio di una sorta di CDU veneta, sul modello bavarese. Un progetto che, scomparso il leader doroteo polesano, non ebbe seguito, mentre il passaggio del consenso dalla DC alla Liga veneta, progressivamente sempre più a dominanza della leadership lombarda, continuò inesorabile, sino a caratterizzare le cifre che da molti anni rappresentano la realtà elettorale del partito oggi  egemonizzato dalla leadership del presidente Zaia.

Siamo passati dal 2005 ad oggi, dal quinquennio della presidenza Galan (2005-2010) a quello di Zaia (2010-2023). Se con Galan assistemmo alla presa del potere delle componenti laico liberali socialiste, sostanzialmente alternative alla DC, con la presidenza Zaia si consolida e si istituzionalizza il primato della nuova realtà sociale, politica e organizzativa leghista, che raccoglie, distaccandosene, molta parte delle antiche sorgenti culturali di area cattolico moderata, dalle quali un’ampia rappresentanza della classe dirigente leghista veneta proviene.

Ricordo che nell’ultimo referendum promosso dai Popolari, con il quale abbiamo sostenuto il NO alla “deforma costituzionale renziana”, un aiuto indispensabile ci è stato offerto dal presidente leghista del consiglio regionale del Veneto, Ciambetti, e dai principali referenti leghisti delle sette province venete, senza l’aiuto dei quali, non avremmo potuto ottenere il consenso maggioritario contro il tentativo di stravolgimento costituzionale ipotizzato dal giovane politico toscano.

Ciò non toglie che noi “DC non pentiti” e larga parte degli amici dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale presente nel Veneto, non ci possiamo ritrovare su molte delle posizioni espresse da una dirigenza leghista incapace di sottrarsi dal condizionamento salviniano, espressione di una cultura e di una prassi politica lontane mille miglia dalla nostra.

Eredi della tradizione politico amministrativa dei Tomelleri, Bernini, Bottin, pensiamo sia giunto il momento di contribuire da veneti al processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, per concorrere alla costruzione di un centro politico nuovo ampio e plurale, alternativo alla destra nazionalista e sovranista a dominanza salviniana, e distinto e distante da una sinistra senza la sua storica identità, che con la segreteria Schlein ha assunto definitivamente i caratteri di quel “partito radicale di massa” profetizzato dal prof Augusto Del Noce, nel quale non possono più trovare cittadinanza gli ex Popolari.

Da molto tempo riteniamo che, accanto ai doverosi e necessari impegni da compiersi a livello nazionale, nel quale non mancano contributi positivi ancorché frenati da una condizione di surplace inconcludente, si debba partire dalla base nella quale, nel Veneto come in altre Regioni italiane, dobbiamo costruire comitati civico popolari di partecipazione democratica. 

Comitati, nei quali possano ritrovarsi esponenti delle grandi culture costituzionali che hanno fatto grande l’Italia: popolare, liberale, socialista e dai quali far emergere, con metodo democratico, una nuova classe dirigente dotata di forte passione civile con la quale concorrere a definire un programma di politica economica, sociale e culturale in grado di rispondere alle attese della povera gente e di quel terzo stato produttivo che da molto, troppo tempo, diserta i seggi elettorali.

Ecco perché siamo interessati alle proposte che l’amico Dino Bertocco da tempo sollecita e vorremmo concordare con lui un seminario di studio e di approfondimento sul tema del centro nuovo della politica regionale e nazionale nel quale poter mettere a confronto i diversi esponenti delle culture citate, presenti nella nostra realtà regionale.

* Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it

Venezia, 14 Aprile 2023