Padova una, nessuna e centomila

Gilberto Muraro (ph: Fondazione Cassa di Risparmio Padova e Rovigo)

La città del Santo è un mosaico di poteri che più che a farsi la guerra pensano a farsi ognuno gli affari propri (con qualche eccezione). Piccola guida al livello semi-visibile dei decisori patavini


Il mondo è bello perchè è vario, dice l’adagio. Ma quando la varietà equivale a sfilacciamento e sindrome da orticello, si rischia di andare troppo adagio. Una città che stenta a prendere decisioni perchè paralizzata dalla congerie di soggetti di potere proliferati al suo interno è Padova. Solitamente si chiamano “poteri forti”, e in una certa misura forti restano pur sempre le associazioni di categoria, la Curia, i centri economici come la Camera di Commercio, l’azienda sanitaria locale. Ma in realtà si sono via via sempre più indeboliti: le rappresentanze datoriali per erosione di iscritti (le imprese scompaiono, o escono), Confindustria, paradossalmente, perchè dopo la fusione con Treviso è meno “padovacentrica” (ed è presieduta da un Leopoldo Destro, figlio dell’ex sindaca Giustina, che è stato eletto grazie al trasferimento in zona cesarini della sua azienda dalla confederazione di Vicenza), la Chiesa per calo di fedeli e vocazioni, gli istituti legati all’economia perchè l’economia, specialmente quella manifatturiera, non tira più o è stata delocalizzata, la sanità per il trasferimento di alcuni punti nevralgici nel Trevigiano (distaccamento medicina e chirurgia, più organico allo Iov di Castelfranco, “compensati”, diciamo, dal nuovo ospedale a Padova est per il quale si attendono i finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti). Le uniche realtà che tengono davvero botta sono l’Università, retta da Rosario Rizzuto (possibile candidato sindaco di centrodestra) con un indotto assicurato dagli studenti provenienti da fuori mura, e la Fondazione Cariparo (azionista di Intesa), oggi isola laica con il presidente Gilberto Muraro (un mazziniano!), che per dare una mano nella crisi da Covid 19 ha messo a bilancio un gruzzoletto di 40 milioni di erogazioni da distribuire anche a Rovigo. Non una cifrona, ma con questi chiari di luna sono numeri che tornano buoni e benedetti.

Ma ‘ndo vai se l’Interporto non ce l’hai

Gli è che a Padova convivono più Padove, se è concessa la battuta. Chi parla fino lo chiamerebbe policentrismo, nel quale ognuno cerca di strappare più potere per sè. Per esempio si nota un certo protagonismo dei commercianti dell’Ascom. Il vicepresidente Franco Pasqualetti è dato come papabile a succedere a Sergio Gelain alla presidenza dell’Interporto, nel cui cda è entrato che non è molto. Una bella grana: con un collegamento insufficiente alla stazione ferroviaria, con la questione in sospeso della tangenziale sud e il rischio che un crollo dei valori degli immobili renda allarmente la situazione debitoria, quello che era un vanto del capoluogo patavino avrà bisogno di una guida ben al di sopra dell’ordinario. A dare il suo contributo per immaginarne uno sviluppo che non sia il declino dovrebbe essere anche la Camera di Commercio, titolare della nomina assieme al Comune. Qui si parrà la nobilitate del presidente dell’ente camerale, Antonio Santocono, forse oggi più libero di pensare e agire dato che nell’ottobre 2020 ha venduto il 70% del ramo di information technology della sua azienda, la Corvallis, alla Tinexta, nuovo nome della Tecnoinvestimenti del gruppo Tecno Holding, società finanziaria partecipata da alcune Camere di Commercio e aziende camerali lontana erede della vecchia Cerved.

Mi è scappata la Zip

Mentre l’Interporto è ancora attivo e funzionante, la Zip, il consorzio che gestisce la zona industriale, è in liquidazione da più di un anno. D’altronde, l’industria si rarefà ogni giorno che passa, e l’area necessita di un ripensamento. C’è chi sostiene, per dire, che il nuovo centro commerciale Bricoman, anzichè finire nella già congestionata zona est (vedi ospedale nuovo e inceneritore da potenziare, un ginepraio su cui si è fatta sentire la voce dell’ex sindaco Flavio Zanonato, ultimamente sempre più movimentista), era meglio collocarlo lì. Ma è qui che casca l’asino: senza una visione d’insieme si procede a macchia di leopardo, lasciando per il resto che a prevalere sia la vis inertiae. In negativo o in positivo, dipende dai casi. Per esempio, si vedrà in che direzione si muoverà chi è considerato in pole per prendere in mano la malmessa Fiera, ovvero il presidente di Confesercenti Nicola Rossi. Riuscirà, Coronavirus permettendo, a rilanciarla puntando al centro congressi?

Ex sindaci scatenati

La sensazione è di attesa, un grande boh. Di città metropolitana con Venezia e Treviso nessuno parla più. Un po’ perchè a impedirlo è un generale tirare i remi in barca per il periodo di estrema incertezza. E tuttavia, se sull’asse Treviso-Vicenza va avanti la costruzione della Pedemontana, mancando in quel di Padova qualcuno che si ponga il problema di agganciarsi alle altre province, la città rischia di perdere letteralmente i treni futuri. Questo “qualcuno” potrebbe (o dovrebbe) essere il sindaco, Sergio Giordani, ormai all’ultimo giro di corsa prima della scadenza del mandato nel 2022. Ma a parte la balcanizzazione della sua maggioranza (ne avevamo scritto qui), di certo gli altri attori sulla scena non lo aiutano. A esporsi è in pratica soltanto la batteria di ex sindaci, come il succitato Zanonato, o Settimo Gottardo, o anche Paolo Giaretta. Il potere logora chi non ce l’ha. Per il resto, troncare e sopire è il motto, manzoniano e cattolico, che impera e sfida il passare delle generazioni.

Oremus

A dispetto di una costante e intensa sovraesposizione mediatica del mondo di sinistra, ultra-laico e lgbt, qui piuttosto presente e con una sua nicchia consolidata, il corpaccione sociale della città del Santo è saldamente dominato dalla galassia timorata di Dio e in certi casi non indifferente a Mammona: dal vescovado, titolare il bergogliano Claudio Cipolla (meritevole di aver restituito trasparenza ai bilanci, anni fa, mettendoli finalmente online), ai gesuiti (a cui è vicino l’ex vicesindaco Arturo Lorenzoni) fino alla potentissima Comunione e Liberazione (che ha piazzato i suoi uomini nell’ateneo, nell’ente camerale e in Confindustria, con lo storico ciellino Graziano Debellini), è in nome delle cristiane virtù di prudenza e correzione fraterna che si manda avanti la macchina decisionale, a queste latitudini. La chiave sta nel non pestarsi i piedi a vicenda: ognun per sè e Iddio per tutti. In questo, Padova è stra-arci-veneta. Forse più che nella catatonica Vicenza o nella militarizzata Treviso. E questo nonostante la cappa di cloroformio abbia ridotto ai minimi termini la vivacità dialettica del dibattito pubblico. Che non c’è, o se c’è, viaggia al di sotto del volume minimo percepibile dal cittadino non addetto ai lavori.