Non solo ri-partire, ma anche ri-pensare

di Giuseppe Zaccaria

Presentazione

In questi giorni nel cuore, nella testa e nella membra degli italiani scorrono nuovi sentimenti, nuovi pensieri, nuova adrenalina.

Sui giornali e nei commenti prevale l’attenzione, quasi spasmodica ai Provvedimenti del Governo ed alle Ordinanze delle Regioni che suscitano attese, speranze, critiche e disappunto.

E’ nostro intendimento focalizzarci sul loro impatto, sui benefici che essi sicuramente apporteranno ad una struttura socioeconomica profondamente ferita, ma anche sui limiti e sulle contraddizioni che li caratterizzano, in particolare sotto il profilo della  unitarietà ed efficacia prospettica  che dovrebbe essere sottesa alla elaborazione di Documenti nei quali ogni cittadino portatore di interessi e bisogni cerca con ansia e sospetto una risposta ai propri interrogativi, con il rischio di frammentazione e scarsa efficacia delle risorse finanziarie distribuite con intento più riparatorio che progettuale.

Ci ritorniamo presto.

Ora riteniamo prioritario per il Giornale del Veneto offrire un contributo di riflessione che attivi le energie morali ed intellettuali più profonde e magari sopite, necessarie per il riscatto personale e collettivo, individuale e comunitario di tutti coloro che sono chiamati a reagire alle sofferenze subite, alle inattese –   ed in molti casi traumatiche – difficoltà subentrate nelle famiglie, nelle imprese, nelle organizzazioni costrette a misurarsi con l’aggressività e gli effetti di Covid-19.

Il documento che pubblichiamo, redatto dal Prof. Giuseppe Zaccaria già Ordinario  di Teoria Generale del Diritto e Rettore all’Università di Padova, attualmente Membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, ha tutte le caratteristiche di rigore, sobrietà, compiutezza per dotarci di una mappa cognitiva e sentimentale per intraprendere il nuovo cammino con la lucidità e la fiducia necessarie in un tempo che ci ha scosso fino a metterci duramente in discussione.

La Redazione


Riflettere sulla pandemia. 10 tesi sull’era post-pandemica (di Giuseppe Zaccaria)

Le ferite profonde originate dall’effetto coronavirus ci insegnano molte cose, e soprattutto ci costringono a rimettere in discussione una serie di temi nevralgici per la nostra esistenza individuale e collettiva. Molte narrazioni sono andate in frantumi e c’è bisogno di riflessione. A condizione di rinunciare a rifugiarsi nei propri pregiudizi e nelle proprie certezze ideologiche e di mantenere uno spirito critico, è indispensabile fermarsi a pensare sulle le macerie della crisi immane che la pandemia ci lascia, per capire se sotto di esse possano crescere, al di là delle retoriche stucchevoli delle ferite che divengono opportunità, nuove idee per il futuro. Da questo punto di vista il virus ha agito nei diversi Paesi come un pettine impietoso, in modi differenziati in relazione alle diverse capacità di risposta, e  ha evidenziato la necessità di misurarsi con una serie di nodi e di problemi troppo a lungo colpevolmente trascurati; ma contemporaneamente esso ha operato  come un forte acceleratore storico di processi sociali ed economici  che oggi  si ripresentano sotto il segno drammatico dell’urgenza  e dell’incertezza e  la cui ennesima sottovalutazione avrebbe per effetto di pregiudicare in modo irreparabile la possibilità di un futuro un po’ meno precario ed incerto.

Prima tesi.
Pandemia e globalizzazione: miseria del sovranismo

Una cosa la pandemia ha mostrato con chiarezza: la connessione tra un grande e distruttivo processo, senza precedenti, di tipo sanitario, sociale ed economico e le vite di ciascuno di noi. Senza dubbio la pandemia è un problema globale, che ha svelato l’inganno del sovranismo. Piccolo o grande che sia, il sovranismo svela tutta la sua inconsistenza e la sua impotenza di fronte a problemi giganteschi, come quello della prevenzione delle epidemie, della necessità di una logica di cooperazione nella ricerca di antidoti e nello scambio di dati, della necessità di una medicina e di una tecnologia d’eccellenza, indispensabili per combattere sfide così rilevanti ed invece impossibili in una logica di chiusura provincialistica ed autoreferenziale. Altro che sovranismo isolazionista, serve una solidarietà globale.

Ma al tempo stesso, la globalità della pandemia apre anche delicati meccanismi psicologici nelle nostre vite individuali. Si aprono così dinamiche ambivalenti. Da un lato il singolo si sente incapace nella sua fragilità di fronteggiare eventi e fenomeni che lo sovrastano; dall’altro ciascuno ha potuto toccare con mano quanto importante sia la responsabilità individuale, la rilevanza per il futuro (e questo vale anche per il cambiamento climatico e la distruzione dell’intero ecosistema) del comportamento di ogni singolo in quanto membro di una comunità.

Seconda tesi.
Una diversa dimensione del tempo e dello spazio

Un secondo aspetto rilevante è costituito dalla diversa dimensione del tempo e dello spazio che abbiamo sperimentato e che dovremo sperimentare anche nel futuro. Questo mutato rapporto spazio- tempo indurrà profondi mutamenti nei processi lavorativi e negli usi degli spazi privati e pubblici. Maggior ricorso allo smart-working, mobilità ridotta, minor numero di viaggi, maggiore disponibilità di tempo a casa, rarefazione dei rapporti fisici (anche di quelli più banali ed effimeri) imporrano una ri-modulazione dei tempi di vita individuali e collettivi e la ricerca di un equilibrio diverso nella produzione e nei consumi rispetto al frenetico e talora insensato agitarsi che caratterizzavano l’era pre-pandemica. Si porrà il problema di un uso diverso del tempo, della consapevolezza della sua preziosità non solo in senso economicistico ed opportunistico, ma in un quadro di più equilibrata e matura capacità esistenziale di utilizzarlo e di non sprecarlo.

Terza tesi.
Individuare i problemi e le vere relazioni.

Nelle scorse settimane abbiamo riscoperto la possibilità di distinguere meglio tra problemi veri (la salute, gli affetti, il clima, i bisogni più profondi) e problemi futili, che tanto spesso ci angustiano inutilmente, tra persone che contano e ci interessano e rapporti superficiali e poco produttivi, tra disinformazione e ricerca di un’informazione più seria e accurata. Occorre studiare nuovi modi di comportamento, di lavoro e di vita sociale. Si impone anche la necessità, difficilmente aggirabile, di ridefinire una scala di valori, di non disperdere nel giro di breve tempo quel prezioso senso di solidarietà e di comunità che abbiamo capito rappresentare una risorsa fondamentale in tempi angosciosi di difficoltà e di incertezza. C’è bisogno, anche nel rapporto con gli altri, di trovare “la giusta distanza” tra il cieco individualismo degli anni passati ed un senso di comunità che non sia soltanto retorico e finisca per essere abusato negli spot televisivi. Abbiamo un “interesse” comune alla solidarietà, perché i soggetti più deboli rendono più fragile l’intero sistema sociale, cosicchè la pandemia, con i suoi effetti disarmonici e imprevedibili sul piano economico, rischia di destabilizzare l’intero sistema sociale.

Quarta tesi.
Irrinunciabilità e pericoli della tecnologia.

L’esperienza degli ultimi mesi, in cui si è assistito ad una forte accelerazione nell’uso delle tecnologie, ci è stata utile per capire meglio l’ambivalenza della tecnologia. Da una parte la sua irrinunciabilità, se pure non ha saputo prevedere la catastrofe: essa ci è indispensabile per sopravvivere nel lockdown, per continuare a lavorare da remoto, per rimanere collegati a persone lontane, per fornirci di merce, per sostituire, come sempre più spesso avviene, molte attività umane. Ma dall’altra parte è evidente come essa possa determinare un impoverimento delle relazioni sociali e dei rapporti tra le persone, sterilizzati e ridotti alla fredda asetticità della macchina. Le relazioni tra le persone non possono ridursi alla tecnologia delle connessioni digitali.  Agli anziani chiusi in casa dal lockdown si poteva forse parlare on line, ma non consegnare il pacco della spesa. Solo per fare un altro esempio: se non circoscritto a precisi progetti mirati di crescita, l’insegnamento generalizzato a distanza nelle scuole e nelle università, trasformato da eccezione in regola, distruggerebbe l’esperienza umana e intellettuale della formazione, fatta di incontri e di scambi concreti tra docenti e studenti. Entrambi verrebbero privati di luoghi fisici in cui comunicare e porsi in relazione, e di mettere in moto non solo fredde nozioni virtuali, ma anche processi emotivi e cognitivi di crescita personale e sociale.

La tecnologia può inoltre determinare profili inquietanti di distruzione della privacy e di sorveglianza sociale. Fino a che punto la privacy potrà essere compressa e fin dove dovremo essere controllati? Anche senza contare la miriade di Dpcm, che in una sorta di delirio pangiuridicista hanno definito nel modo più dettagliato e minuto ciò che possiamo e che non possiamo fare, si impone in modo acuto il problema dei limiti da apporre all’invasione tecnologica che entra nel dettaglio delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti e ci espone all’offensiva di infiltrazioni “digitali” da parte di Paesi stranieri.  Già oggi il Presidente della Regione Veneto, il Direttore Generale della Sanità Veneta e i singoli Direttori Generali hanno la possibilità di conoscere minutamente una serie di dati sensibili di tutti i cittadini veneti. Cosa succederebbe se invece che essere impiegate per il nobile fine di contrastare l’epidemia, queste conoscenze fossero utilizzate per condizionare politicamente fasce di elettorato o per scopi di natura commerciale?

Quinta tesi.
Il futuro dell’economia, dell’istruzione e delle città

Lo Tsunami economico che il coronavirus lascia sul campo avrà per effetto un vertiginoso aumento dei tassi di disoccupazione: interi settori produttivi ne risulteranno distrutti, altri invece realizzeranno enormi profitti. Aumenteranno così drammaticamente le disuguaglianze economiche, sociali e culturali tra Nord e Sud, tra città e province. Al generale impoverimento del reddito in Italia corrisponderà prevedibilmente una crescita di distanza dagli altri Stati europei.  Ricchi e privilegiati si barricheranno in ghetti dorati, lasciando moltissimi altri nella povertà e nell’ esclusione. Che ne sarà dei giovani che senza alcuna tutela hanno assicurato in questo periodo il funzionamento dei servizi di delivery? Diminuiranno i viaggi, le interazioni e gli interscambi globali, aumenteranno le videoconferenze e i rapporti virtuali, gli orari di lavoro diverranno più flessibili. Sarà necessario riportare all’interno del Paese anelli di catene di produzione che si sono rivelati indispensabili per fronteggiare l’emergenza, per non alimentare pericolose dipendenze strategiche dall’aiuto non certo disinteressato di altri Paesi.

A causa del digital divide tra aree più e meno sviluppate e del fatto che già oggi il 30% degli italiani rinuncia a proseguire nell’istruzione a livello superiore, verranno messi in discussione i diritti fondamentali all’istruzione e al “pieno sviluppo della persona umana” previsti dalla Costituzione.

Le nuove povertà riguarderanno sicuramente i soggetti deboli e meno tutelati e si assisterà ad una crescita della dispersione scolastica e dell’isolamento sociale ed educativo delle fasce sociali più deboli.

Che ne sarà del futuro delle città? Verranno distrutti gli spazi pubblici? Conserveranno una funzione le piazze e i luoghi di aggregazione? In un quadro di maggiori difficoltà per una mobilità di massa e di limitazione delle concentrazioni di massa, come dovranno essere ripensati i trasporti, i quartieri, i rapporti tra centro e periferia? Sarà possibile rivitalizzare i negozi di vicinato e reinventare servizi nuovi distribuiti sul territorio? L’incentivazione dei mezzi di trasporto green scongiurerà almeno in parte il ritorno massiccio al trasporto privato?

Sesta tesi.
La scienza e la riscoperta delle competenze

Gli ultimi mesi hanno costretto a riscoprire la necessità delle competenze, quelle vere non quelle improvvisate che si esibiscono nei talk show, che mettono in un unico, indistinto calderone virologi e patologi, epidemiologi e   immunologhi. Le competenze vere servono, eccome, per costruire scelte sanitarie e politiche economiche attrezzate e consapevoli, per disegnare scenari futuri attendibili, non per cancellare l’ignoto. C’è grande bisogno di conoscenza.  Ma questa importante rivalutazione della scienza e della trasversalità del sapere, oggi più che mai necessaria in una società complessa, non deve condurre a credere che la scienza sia tutto. Si tratta di evitare che essa divenga ciò che deve decidere del nostro vivere sociale, che venga cioè investita di una dimensione politica che in questo senso le è estranea. La scienza autentica è abitata da dubbi, da incertezze, da verità provvisorie, da correzioni; l’immagine della scienza che viene invece veicolata dai salotti televisivi e anche da molti politici timorosi è quella di chi possiede certezze inconfutabili. Dobbiamo chiederci quali problemi la scienza sia davvero in grado di contribuire a risolvere, quali ne siano i limiti e non chiederle ciò che essa non può dare.

Settima tesi.
La centralità della decisione politica

Assieme alle titubanze di chi si rifugia dietro i pareri inappellabili dei Comitati tecnico-scientifici, l’esperienza della lotta al coronavirus ha mostrato la centralità e comunque l’irrinunciabilità della decisione politica.  Sapere è diverso da decidere. Alla fin fine ciò che conta è l’assunzione di una responsabilità politica forte e chiara davanti al cittadino. Scienziati e tecnici non hanno sicuramente nessuna delega. Nella fase dell’emergenza i governi hanno cercato di fare del loro meglio di fronte ad uno scenario inedito, talora hanno preso decisioni drammaticamente sbagliate e sono stati costretti a precipitosi dietrofront, ma il cittadino ha capito, fuori dalle strumentalizzazioni di piccolo cabotaggio, che possono sbagliare. Meglio avere il coraggio di ammetterlo, come ha fatto Macron, piuttosto che mentire all’opinione pubblica. Ma ora la politica ha bisogno di sguardi alti, che trascendano la contingenza della quotidianità e che riaccendano la speranza dando il senso di un progetto comune, consapevole della specificità di una storia nazionale e capace di ridare prospettive e visioni per il futuro. C’è bisogno di leadership che uniscano le società e non le dividano, che aiutino le persone a tenere sotto controllo le paure, non ad aizzarle. Le decisioni che oggi si assumono sotto la pressione dell’urgenza peseranno sicuramente molto sul futuro del Paese e delle future generazioni, che dovranno pagare il conto salatissimo dell’ulteriore crescita del debito pubblico.

Guai se la statualità oggi necessaria dovesse tradursi in statalismo, se si dovesse stimolare esclusivamente un atteggiamento di tipo assistenzialistico e passivo, deresponsabilizzato e poco propenso ad attivarsi e a reagire con audacia e coraggio; ma guai anche se dovesse prevalere un’attitudine cinica e sfiduciata, prigioniera della frustrazione e del sospetto, o peggio dell’atteggiamento arrogante di chi sa esattamente dove va il mondo.

La pandemia ha mostrato impietosamente tutta l’inadeguatezza della politica praticata negli ultimi anni, quella che ha affidato la vita e il futuro di tutti noi a soggetti improvvisati, quasi capitati per caso, espressioni talora di residualità sociale.

Ottava tesi.
Il futuro degli Stati e della Geopolitica

Non c’è dubbio che l’epidemia ha permesso di evidenziare il ruolo irrinunciabile degli Stati, che nonostante la loro crisi e il loro ridimensionamento rimangono come attori essenziali nel fronteggiare le emergenze e nel limitarne i danni. Anzi si è assistito ad una regressione di tipo hobbesiano: pur di salvare la propria vita il cittadino ha consegnato i propri diritti nelle mani dello Stato. Positiva può essere la riaffermazione del ruolo strategico del settore pubblico, ma rimane il pericolo di un’involuzione decisionistico-autoritaria (marginalizzazione dei parlamenti, compressione delle libertà individuali) non solo negli Stati caratterizzati da regimi di “democrazia illiberale”, ma anche in quelli di (apparentemente) maggiore solidità democratica.

Rimane peraltro, almeno nell’Unione Europea, l’impossibilità di prescindere dall’aiuto e dal sostegno di istituzioni comunitarie tanto vituperate e oltraggiate e indubbiamente anche in questo caso divise e inizialmente incerte, ma indispensabili per evitare la bancarotta di Stati fondatori dell’Unione, ma anche il collasso dei rapporti economici e commerciali intraeuropei.

Sullo sfondo dei colpi della pandemia, si sta consumando una dura competizione per ridefinire nuovi equilibri geopolitici, più attenti ai pericoli di un’incontrollata penetrazione cinese ma anche ai rischi di una superpotenza americana drammaticamente inadeguata ad un ruolo di guida e di orientamento multilaterali. Indubbiamente chi risulterà vincitore nella corsa al vaccino e alla protezione antiepidemica godrà di un consistente vantaggio strategico.

Nona tesi.
Il futuro dell’ospedalizzazione e della medicina

Dopo anni di colpevole indifferenza e di irresponsabili tagli alla sanità (quasi del 40% negli ultimi 8 anni!), si è compresa in pieno la crucialità di disporre di un modello di ospedalizzazione e di sanità efficiente e pronto ad affrontare flessibilmente crisi ed emergenze inedite, non solo con centri di alta specializzazione, ma anche con una capillare capacità di intervento sul territorio. Si è anche compresa fino in fondo la rilevanza di un predominante presidio di sanità pubblica, gestito da persone di sicura competenza e non da figure scelte sulla base di logiche solo partitiche.

Si dovrà quindi investire molto di più in ricerca, in attrezzature e nel personale, lavorare molto in prevenzione, con un nuovo equilibrio tra medicina del territorio e ospedalità, tra pubblico e privato.

Per favorire la sicurezza e per la riduzione del rischio occorre un approccio flessibile, proattivo e non difensivo o semplicemente reattivo.

Decima tesi.
Preparare il futuro

Nel giro di poche settimane migliaia di famiglie sono precipitate nella sofferenza e nel dolore e milioni di persone sono passate da condizioni minime di autonomia e di benessere alla povertà e all’indigenza della disoccupazione. La povertà economica rischia rapidamente di trasformarsi in disperazione e in povertà spirituale.

La rovina sociale porta con sé ancora maggiori difficoltà di inserimento/re-inserimento nel mondo del lavoro per donne, giovani, precari, adulti maturi.

Sono essenziali maggiore solidarietà e coesione sociale. Non sprechiamo gli insegnamenti di questa crisi amara e le difficili lezioni che ci lascia. Dovremo essere più locali, ma anche avere uno sguardo più ampio per trovare soluzioni più globali. Il futuro va preparato oggi.

Giuseppe Zaccaria