1° comandamento veneto: non disturbare el manovrator

Zaia fazioseggia in tv (nel senso di Fazio) mentre i suoi pasdaran si autocensurano per amor di patria. L’ennesimo polo Amazon scatena attacchi di quiete acuta a Vicenza. Le rivelazioni dell’impavido Renzo Rosso

E anche Fabio Fazio, il vescovone laico della sinistra di rito perbenista, ha dato la sua benedizione a san Luca Zaia. Comparire fra gli intervistati alla messa del perfido curato è un altro tassello del mosaico certosinamente costruito dal governatore leghista più amato dai non leghisti di tutta Italia. A quale scopo? Ma a fissare l’immagine dell’amministratore più giudizioso e rassicurante del bigoncio di centrodestra, l’antitesi umana e inconsciamente politica di Salvini, l’uomo che il pubblico di “Tempo che fa”, gente che benpensa, adotterebbe subito come caro avversario (e qui in Veneto anche come candidato votabile, tant’è che molti di centrosinistra l’hanno votato – e non dite di no). Domenica 29 novembre eccotelo spuntare sullo schermo a impersonare la solita parte del moderato, che poi non è una parte: Zaia è davvero moderato, perchè ha capito che il ventre molle e profondo del popolo rifugge spigoli e asprezze e si rifugia in chi infonde sicurezze. Così se Fazio accenna una provocazione sulla gestione, mediamente inadeguata, delle Regioni sulla sanità, lui replica che il governo, ossia lo Stato centrale, “non ha i pazienti sull’uscio di casa, la Regione sì”, tuttavia, per carità, “non c’è nessuna contrapposizione”. Figuriamoci, non sia mai (neanche quando sarebbe necessaria: il 4 dicembre, correttamente, fa osservare che non prevedere deroghe per anziani soli al divieto di spostamenti specie fra piccoli Comuni a Natale e Capodanno è “disumano”, ma la finisce lì, puro flatus voci). In Veneto “c’è un dogma: prima la salute”. E quando c’è la salute, c’è tutto. Peccato che nella settimana che è andata dal 17 al 24 Novembre il Veneto abbia avuto la percentuale, tra positivi al Covid e tamponi diagnostici totali, più alta d’Italia. Ma Fazio questo non glielo fa notare: prima la buona educazione, perdindirina. Del resto Zaia, esattamente come il governo che a Fazio non dispiace (grillini a parte, s’intende, quelli son rimasti un po’ teppistelli), si premura di raccomandare giudizio ai cittadini sul contagio: se rispettassero le regole, “le restrizioni servirebbero a poco o a nulla”. E così la responsabilità viene scaricata in basso. Però non è vero che i comportamenti estivi siano la causa della seconda ondata, quello no. Un colpo al cerchio e uno alla botte, as usual. E poi via di citazioni pseudo-colte, sempre quelle, sempre uguali: Adriano saggio imperatore (“il grado di soddisfazione è direttamente proporzionale alle aspettative”: magari non lo diceva proprio così, nelle sue Memorie, forse Zaia si è fatto fare un sunto del romanzo della Yourcenar), il latino Sallustio (“il sentimento che viene dopo la gloria è l’invidia”, e così romanamente glissa sull’antipatia che può sortire la nomea da primo della classe), Jean-Jacques Rousseau, l’autore in assoluto più presente nel formulario zaiano (“Lo diceva Rousseau, che il popolo ti delega a rappresentarlo” ma poi devi essere all’altezza del mandato; il che lo diceva anche qualcun altro, anzi molti altri, ma son dettagli). Già: lo diceva Neruda che di giorno si suda. Zaia si presta volentieri al giochino di Fazio, che lo prende in giro per questa sua mania citazionista: l’importante è passare da personaggio tutto sommato simpatico, che si lascia sfruculiare con affabilità, non come il truce di Salvini, sempre sulla difensiva, sempre incavolato, l’uomo nero degli incubi radicalchic. Daje Fazio, che ti sei guadagnato la cittadinanza onoraria del Regno dello Zaiastan.

Ti faccio un Amazon così

A Vicenza è andata in scena una gustosa commedia degli equivoci. Titolo: “Come ti ammazzo l’Amazon”. Naturalmente il colosso della distribuzione ditale di Jeff Bezos è al sicuro. A essere ammazzato sul nascere è il dissenso, su Amazon. Ed ad ammazzarsi dal ridere siamo noi, leggendo uno scambio di vedute, confinato nella pagina delle lettere del Giornale di Vicenza, accanto ai morti, che ammazza qualsiasi voglia di dibattito (per altro, genere letterario non in uso all’ombra dei Berici, dove discutere e scontrarsi è considerato intralcio al sistema). Il 28 novembre un imprenditore che di mestiere lavora proprio nella distribuzione, ma vecchio stile, supermercati e ipermercati, Marcello Cestaro della Unicomm, si vede pubblicata una missiva in cui, con accenti polemici (allarme rosso, suonino le sirene!), giudica “inopportuno” collocare un nuovo polo logistico a Vicenza Est, in città, col rischio di incrementare il traffico di camion, di spingere verso un'”ulteriore desertificazione” del commercio nel centro cittadino, favorendo una multinazionale che paga poche tasse essendo una società che in Europa ha sede in Lussemburgo. Non lo vogliamo condannare, questo andazzo mondiale che vede il consumatore fedele “suddito” di un monarca monopolista? Il sindaco di centrodestra, Francesco Rucco, dica un suo “chiaro NO”, in maiuscolo. A parte che fare certe richieste a Rucco implica non conoscere Rucco, che anche quando dice no sembra che dica sì, Cestaro forse dimentica che pure i centri commerciali che ospitano i suoi supermarket non fanno tanto bene alle botteghe del centro. Bezos rappresenta soltanto l’industriale da catena di montaggio che ha portato alle estreme conseguenze la rivoluzione-involuzione di internet: velocità, facilità, comodità, economia di scala. Insomma, una bega fra Davide e Golia. Sullo sfondo i negozianti al dettaglio, l’anello più debole, di cui nè Davide nè ovviamente Golia possono ergersi a paladini. Ora, essendo Cestaro un nome noto dell’imprenditoria, il direttore del quotidiano Luca Ancetti (nella foto) mica poteva non rispondergli, non sta bene. Al tempo stesso, tuttavia, guai a imbastire come si deve un dibattito (arieccolo) con articoli, interviste e tutta la samba. Suvvia, andiamo, non sta bene neanche recar offesa ad Amazon. Così, non sapendo come rigirarsi, ha liquidato l'”accorato appello” come “destinato a cadere nel vuoto”, perchè “a tempo di record” la Conferenza dei servizi ha dato parere favorevole all’unanimità: all’inizio del 2021 la variante urbanistica “approderà in consiglio comunale per il via libero definitivo”. Così sta scritto, così sia fatto. Esprimere un’opinione, fosse pure apertamente favorevole? O al contrario osare un rilievo, un dubbio, un’increspatura di pensiero? Siamo matti? Chi sono io per sindacare – avrà pensato l’umile direttore – o addirittura per criticare le tavole della variante urbanistica, che dev’essere una variante del Vangelo secondo Bezos? Pardon, secondo Lunardi, di nome Marco, di ruolo assessore, che infatti il 2 dicembre (sempre nella pagina delle lettere, refugium peccatorum) ha sostituito Rucco sciorinando un’arringa difensiva in cui la nuova costruzione (solo 9 mila metri quadrati, in fondo) diventa baluardo contro la disoccupazione (“100 famiglie avranno un’entrata economica”, bisognerebbe poi vedere di che tipo, visto i ritmi e le paghe vagamente simili al livello “lavorante di piramide egizia”), “un treno che non si può perdere”, e che corre comunque dato che già adesso “arriva nelle case dei vicentini”, “il gap è stato scontato, e da tempo”, perciò Cestaro si metta l’anima in pace e non se ne esca con “contrarietà” incomprensibili. Ottimo, il fine osservatore Lunardi: più realista del re, ma con una coscienza. Perchè personalmente, dichiara, fra comprare sul web e in un negozio di vicinato, “la mia scelta l’ho fatta già da tempo”. Quale, non è ben chiaro. Chi li ammazza, tipi così? Amazon no di certo.

Diabolicus

28 novembre. Demonio d’un Zaia. Impotente a reperire schei per ristorare imprese tramortite dai divieti per Covid, lo ha ammesso: “Forse abbiamo commesso il più grande errore della storia: da dieci anni a questa parte noi evitiamo di tassare i veneti, abbiamo lasciato nelle loro tasche almeno 12 miliardi e ora ci dicono che altrove erogano finanziamenti, dimenticando che si tratta di Regioni che applicano tuttora l’addizionale Irpef. A me sembra un valore l’aver evitato di aggravare il carico tributario ma effettivamente la memoria umana è breve… Se avessimo agito diversamente forse oggi avremmo un budget da reinvestire secondo un’azione mutualistica. Tuttavia, abbiamo compiuto una scelta diversa”. Dal 2009, quando presidente del Veneto era il gaudente forzista Giancarlo Galan, l’imposta aggiuntiva regionale sull’Irpef è stata mantenuta a zero. Assieme alla rinuncia ai super ticket sanitari, significa meno 1,2 miliardi di entrate fiscali ogni anno.
29 novembre. “Non mi sono affatto pentito di aver rinunciato all’applicazione dell’addizionale Irpef regionale, quello di evitare inasprimenti fiscali è un impegno assunto con i veneti che intendiamo mantenere”. Ma quindi è stato un errore o no, fare gli splendidi? L’errore non è nell’ammissione, che Zaia appunto rivendica, con una uscita evidentemente studiata per disinnescare a priori eventuali attacchi su questo punto, così può dipingersi comunque come beniamino degli oppressi dal fisco, il campione della resistenza alle tasse, virus di Stato il più odioso al mondo in assoluto. I veneti che ora stanno sputando sangue lo perdoneranno, perchè, se sbaglio è stato, trattasi di sbaglio fatto in buona fede, per giusta causa. Futili dunque gli alti lai del centrosinistra, che reclama la reintroduzione prelevando risorse dai redditi più alti: Zaia, mettendo le mani avanti, è capace di volgere in successo persino un palese vuoto strategico. Diabolico.

La scopa di Altan

La sanità veneta? Un’eccellenza. Indiscutibile. Il cinegiornale Luce la definisce sempre così, e così sarà. I critici? Sovversivi. Ma neanche se qualche crepa si manifesta a occhio nudo? Neanche in quel caso. Così vi vuole la vox populi vox Zaiae: monolitici, granitici, patriottici. Facciamo un esempio? E facciamolo, dai. Il 27 novembre undici sindaci (su 32: un terzo, buona percentuale) del distretto 2 Alto Vicentino scrivono una lettera al direttore generale della Ulss 7, Bortolo Simoni, lamentando una mancata “integrazione delle diverse strutture” e una inefficiente “distribuzione del personale” fra Santorso e Bassano, fuse per incorporazione della prima nella seconda. “Le mancate assunzioni nel periodo estivo nei reparti di degenza – lamentano – e la successiva destinazione legata alla gestione dei punti-tampone hanno messo ancora più a nudo la carenza del personale da tempo evidenziata”. Problema: i primi cittadini firmatari son tutti di centrosinistra. Oibò, sarà mica speculazione faziosa sulle disgrazie dei pazienti? Parrebbe, a sentire il sindaco di Schio, Valter Orsi, centrodestra: “Quella presa di posizione era al vaglio della conferenza (dei sindaci, ndr), ma era necessaria qualche modifica per delle inesattezze, evidenziate da colleghi al di fuori dell’esecutivo, che avremmo voluto correggere. Qualcuno invece ha deciso di rendere noto il documento, facendo comparire noi che non abbiamo firmato come non partecipi della protesta”. Si intuisce che i toni di protesta non andavano giù a chi ha la casacca di colore uguale alla maggioranza in Regione. Commenta il giornale web Altovicentino Online: “Se al governo c’è il tuo amico, o il tuo collega di partito, agli occhi dei giornali deve apparire tutto perfetto”. Di che parliamo? Lo ha spiegato con precisione chirurgica il Comitato per la sanità pubblica della zona: “Chiuse chirurgia generale e specialistica; chiuse ortopedia, medicina e medicina d’urgenza; chiuse fisioterapia, oculistica e geriatria; neurologia ridotta a costola della cardiologia; chiuse o fortemente ridimensionate le visite specialistiche; con un Pronto Intervento con soli 5 medici ‘strutturati’ (gli altri, quando vi sono, sono ‘presi a ore’ da cooperative) a sostituire un Pronto Soccorso che ne esigerebbe 21, che cosa rimane dell’ospedale e dei suoi servizi ai 187.000 abitanti dell’Altovicentino? Non è stato neppure attivato un reparto di pneumologia, con specialisti pneumologi ‘strutturati’, che almeno per coerenza dovrebbe esserci a Santorso, visto che è l’ospedale dedicato all’epidemia – sono più di 150 i malati con il virus nei polmoni; è stato invece confermato a Bassano”. Il dg Simoni, dal canto suo, si è sfilato subito: “Io non rispondo ai sindaci” ma alla Regione, ha chiarito seccato. Il Pd locale, invece, ha rincarato la dose, denunciando per bocca dei coordinatori di Schio e Thiene, Giacomo Stiffan e Paolo Costa, la “disparità tra Santorso e Bassano” nel personale medico e sanitario: un anno fa 3 mila persone scesero in piazza, servirebbe un atto di “coraggio” da parte di tutti i sindaci, sottolineato tutti, anche se si vive nello “Zaiastan nel quale la giunta regionale non sbaglia mai e se sbaglia è sempre, immancabilmente colpa degli altri”. Metti pure che il centrosinistra c’inzuppi il pane, nella polemica, ma i fatti di cui sopra sono fatti, o sono invenzioni? Sono fatti. Nudi e crudi. Per stessa confessione di una sindaca che non ha firmato, Maria Teresa Sperotto, di Fara Vicentino e vicepresidente della conferenza, che fornisce il perfetto esempio di sindrome da passeggero di autobus, che mai deve disturbare il conducente: “Ero contraria al documento perchè dato il grave momento che stiamo attraversando non ritenevo il caso di riproporre le carenze che tutti conosciamo”. Ma sì, zittiamoci. O facciamo come il Gazzettino, che ha concesso una bella paginona al compagno Renato Darsiè, storico sindacalista di Porto Marghera, fortunatamente scampato al Coronavirus e giustamente grato all'”umanità” di dottori e infermieri. Il rosso Darsiè si è limitato a ringraziare e testimoniare dell’impegno del personale, senza far cenno a considerazioni generali, ma il titolo ha dato alla storia un tenore un po’ più trionfalistico, giocando sull’uomo di sinistra che esalta di fatto l’amministrazione regionale: “Il compagno Renato elogia la sanità veneta: ‘Mi ha salvato dal Covid'” (30 novembre). Ad ogni modo, che nessuno s’azzardi ad avvalersi della libertà di parola e di critica: tutti in fila, marciare uniti, pensare positivo, museruola alla bocca, e una scopa là dietro.

Cuore impavido

Only the brave: solo gli impavidi, solo coloro che osano ce la fanno. Ma non è detto riescano a fare proprio tutto tutto. Qualcosa può scappare. A Maurizio Crema che gli faceva presente che la Otb si è mossa “in silenzio”, nel fare meritoria beneficenza nella lotta alla pandemia, Renzo Rosso ha raccontato: “Abbiamo parlato con i responsabili di 61 ospedali e 32 case di riposo, chiesto quello di cui avevano bisogno, fornito mascherine, respiratori, macchine per purificare l’aria. Ma in certe strutture ci hanno chiesto anche le tangenti per fare le donazioni” (Gazzettino, 3 dicembre). Il bene si fa, appunto, in silenzio. Però se, desumiamo, qualche “responsabile” di strutture presumibilmente pubbliche chiede una stecca sugli aiuti, a parte essere una persona spregevole che vorrebbe arricchirsi sulla pelle dei malati, sta commettendo un reato. Non sappiamo se, silenziosamente, Rosso sia andato a sporgere denuncia per tentata corruzione. Dalla frase seguente, sembrebbe di capire che in ogni caso siamo in una botte di ferro, almeno in Veneto dove “per fortuna… c’è Zaia, che dovrebbe avere un ruolo di coordinamento delle regioni per la lotta alla corruzione e agli sprechi”. Messa così, quasi quasi non c’è neanche bisogno di rivolgersi ai giudici: tanto c’è Zaia che vigila e a cui non sfugge niente. Però una bussatina alla Procura, noi l’avremmo fatta. E lo avremmo detto, anche perchè si viene a sapere in tutti i casi. Non per impavido coraggio: è che si deve fare così, e basta. Only in this way, not only the brave.