Il monadismo dei leader democratici nella stagione di un riformismo immaturo

Ma una sinistra che non riparta dal lavoro, tradizionale e nuovo, dal recupero e dall’aumento non solo del potere d’acquisto dei salari, ma dei diritti sociali e della dignità perduti, o messi radicalmente in discussione negli ultimi trent’anni, semplicemente non ha ragione di esistere. Certo che ‘socialismo’ è una parola antica, deturpata da un’infinità di nequizie commesse in suo nome, declinabile in tanti modi, anche assai contradditori tra di loro, e che domani che cantano non ce ne sono. Ma, avrebbe detto il giovane Gyorgy Lukàs, una sinistra che considera il socialismo alla stregua di un cane morto e vive solo in un eterno, gramo presente, il suo avvenire lo ha dietro le spalle”

Paolo Franchi, Il passato dell’avvenire

Il fatto è che nessuno dei protagonisti sembra trarre la sua forza e la sua ragione da un’identità. E così, non avendola, se la vanno a cercare dove possono. O trafugandola dai libri di storia letti un po’ maldestramente. O sottraendola ai loro stessi avversari. Il risultato alla fine non cambia granchè. Non c’è più un reticolato di filo spinato che divide le opposte scuole politiche”

Marco Follini, Guerra finta

Gori, Sala, Bonaccini, Renzi, Calenda & C. all’affannosa ricerca di un nuovo (s)Partito, con un’idea confusa della musica che gli elettori e l’intero Paese attendono di ascoltare

Goffredo, l’oracolo di Delfi

E’ persino commovente lo strenuo presenzialismo sui media a cui stiamo assistendo, con Goffredo Bettini, un “romano oracolo di Delfi”, secondo la beffarda definizione di Emanuele Macaluso (il Foglio 8 settembre), impegnato generosamente ad alimentare la riflessività e la discussione nell’ambito del Centrosinistra.

Non possono certo passare inosservati i suoi ripetuti e puntuti interventi su tutte le più importanti testate ad indicare la rotta al Governo ed in particolare a pungolare il Partito Democratico, con modalità e contenuti che lo fanno apparire “come il protettore di Zingaretti, lo considera suo figlio politico, ma queste cose affettive non costruiscono un partito. Nel Pd deve aprirsi un dibattito vero su che cos’è e dovrebbe essere questo partito. Deve scorrere il sangue della lotta politica, del confronto tra mozioni opposte, sennò si diventa anemici”(ibidem).

Trovo troppo sprezzante il giudizio dello splendido novantenne ‘migliorista’: Bettini infatti, pur non possedendo il carisma e la profondità della visione strategica delle ‘guide politiche’ del passato (a cui verosimilmente fa riferimento Macaluso), ha ripreso ad esercitare la funzione di ‘sacerdote laico’ (che gli è stata propria per molto tempo) per far respirare ed orientare il pensiero, finanche le scelte politico-organizzative di molti leader ed aspiranti tali che nell’ultimo quarto di secolo si sono affermati ed avvicendati nella scena politica non solo capitolina, ma anche nazionale (superfluo citarli).

Esclusi il giovane e ‘dissidente’ abate fiorentino, inventati e/o plasmati come Sindaci e Capi del/nel Partito Democratico, in un modo o nell’altro numerosi protagonisti che hanno calcato le scene politiche, sono orbitati nella sfera del suo canone e delle sue indicazioni strategiche.

Non deve quindi stupire che per i giornalisti ed intellettuali cortigiani, orfani di un Partito seducente e con una leadership convincente, siano diventati attraenti il suo corpaccione e la sua faconda e narcisistica esposizione a far da bersaglio e fonte di ispirazione per cercare di comprendere le mappe della ondivaga navigazione zingarettiana.

Sono invece d’accordo sul monito di Macaluso per quanto attiene la necessità di attivare nell’ambito del PD un confronto vero ed esplicito non paludato perché “la lotta politica è sangue che scorre nelle vene di un partito”.

Un dibattito scoppiettante

In realtà negli ultimi mesi il dibattito sulla rigenerazione dello schieramento del Centrosinistra, in grande misura esterno ai luoghi e sedi partitici, c’è stato, abbondante e scoppiettante: ospitato e veicolato da testate giornalistiche, saggi, pubblicazioni ed istant book, oltre che promosso da una platea vasta di editorialisti ed esponenti di tutte le taglie del mondo progressista, con articoli, interventi, ‘manifesti’, tutti pregevoli ed orientati ad una mobilitazione cognitiva ritenuta giustamente ineludibile.

L’amico Franco Vianello Moro, in una appassionata descrizione di tale fenomenologia ha parlato di “Grande fervore nelle menti dei leader delle numerose tribù insediate od alla ricerca di uno spazio nella vasta prateria dei valori, delle testimonianze e delle esperienze democratiche”, commentanto con amaro sarcasmo che “Esso produce una piccola fortuna per Case editrici e Redazioni dei Giornali che possono pubblicare e maneggiare una dovizia di autori, interviste, documenti, polemiche, con il corollario delle sfide e competizioni personali, generosamente connotate con i sentimenti dell’inimicizia, della rivincita, del contrappasso tra persone dai carismi e background distintivi, ma che prese nell’insieme denotano i tratti di una solitudine e di un monadismo non propriamente adatti a rincuorare ed orientare il popolo di una Sinistra in crisi di identità e marchiata dal deficit di autostima” (Luminosi Giorni).

Io stesso non mi sono sottratto alla tentazione di ‘dare la linea’ e posso vantare di aver dedicato molto tempo a cercare di ritessere l’ordito di una riflessione storiografica e politico-culturale sui temi e dilemmi, tensioni e contraddizioni che hanno gravato e tuttora intralciano il cammino unitario del riformismo democratico ( www.medium.com/geecco – RIGENERAZIONE DEMOCRATICA)

Ma in questo frangente ritengo che sia diventato prioritario un discorso pubblico che consenta di rendere più esplicite e sincere le ragioni di malessere, incertezza, frammentazione che caratterizzano l’arcipelago di forze, gruppi e gruppetti che con marchi e leader ‘distintivi’ traggono origine dalla mobilitazione politica e dalle condensazioni organizzative che hanno in sequenza generato l’Ulivo ed il Partito Democratico.

Come ho segnalato e ripetuto fino alla nausea, il superamento del neotribalismo a sinistra è possibile ed ineludibile attraverso un duro lavoro di comprensione del pluralismo che lo caratterizza ed avviando un percorso antropologico-culturale di confronto, ricomposizione, cooperazione.

La psicosi della rottamazione

E proprio in occasione del vivace dibattito aperto recentemente dall’INKIESTA, mi è capitato di rilevare che negli articoli pubblicati continuava ad emergere una reticenza, una sorta di autocensura nel non prendere in considerazione gli omissis nella riflessione retrospettiva sulle fratture e frattaglie della Sinistra nell’ultimo trentennio, per intendersi da Occhetto a Renzi.

In particolare mi sono soffermato su quella che ho chiamato la ‘psicosi della rottamazione’ il cui apparire ho datato con l’apertura della ‘caccia al cinghialone’, sport sinistro che ha alimentato ed esteso i sentimenti divisivi e distorto la ricerca dei valori fondanti per la piena affermazione di uno schieramento compiutamente riformista e liberaldemocratico.

Insomma, continuano sia a manifestarsi ‘dimenticanze’ storiografiche che vere e proprie amnesie relativamente ad eventi, incidenti e dissidi che dovrebbero essere scolpiti nella memoria collettiva non per esasperarne la carica conflittuale bensì per riappacificare le molteplici memorie attraverso la paziente ricucitura politico-culturale che non deve sfociare nel sincretismo, ma in sintesi parziali, avvicinamenti, ascolti reciproci, condivisione di una metodologia che assuma i diversi vissuti ed i molti protagonismi da considerare non come espressione di una diaspora, semmai di un ricco pluralismo da ricondurre a concetti e linguaggio accettati – anche se non approvati – dall’intera Comunità della Sinistra.

Comunità a cui ho appartenuto a partire dalla fine degli anni ’60 e di cui penso di conoscere con un buon grado di approssimazione le controverse vicende ma per la cui ricostruzione storica rigorosa e puntigliosa credo sia opportuno affidarsi ad un cronista di impareggiabile sensibilità, testimone diretto in grado di sondare in profondità i fatti ed i misfatti che in particolare hanno connotato i tortuosi, tormentosi e dolorosi rapporti tra PCI e PSI che costituiscono la matrice di tensioni ed incomprensioni trascinatesi anche nelle formazioni politiche che, unitamente alle rappresentanze della sinistra cattolico-democratica sono diventate i contenitori realizzati da eredi e reduci dei partiti storici.

Il giornalista che suggerisco di ‘usare’ come accompagnatore è Paolo Franchi che, con il libro ‘Il tramonto dell’avvenire. Breve ma veridica storia della sinistra italiana’ ci ha regalato un affresco vivido nel quale siamo in grado di riconoscere non solo la nostra compartecipazione agli avvenimenti narrati, ma anche i sentimenti ed i risentimenti che hanno orientato le forze ed i personaggi che hanno letteralmente prodotto gli accadimenti.

E’ proprio la rilettura delle dense pagine nelle quali vengono minuziosamente descritti sia le sconcertanti diatribe ideologiche dei ‘fratelli coltelli’ che i defatiganti tentativi di riannodare unitariamente i fili della sinistra che ci dovrebbe aiutare ad un esercizio di onestà intellettuale, oltre che di rigore storiografico (che costituiscono il vero deficit permanente della riflessione sul recente passato).

Semplifico e mi avvicino alla contemporaneità focalizzando la dinamica fondamentale che si è innescata agli inizi degli anni ’90: si è assistito ad una varietà di approcci (da parte di protagonisti diversi, in taluni casi sinceri, in talaltri ambigui, non trascurando i cinici) messi in atto dagli ex comunisti per surrogare e soppiantare, realizzando in tal modo una rottamazione ante litteram, la strategia craxiana di ‘unificazione socialista’ portata avanti nel segno di un riformismo prudente e dell’entrata nella Casa comune dell’Internazionale socialista.

Il tatticismo ‘avvolgente’ dei vari Achille Occhetto, Piero Fassino, Massimo D’Alema e Valter Veltroni è stato reso mortifero per gli ex socialisti dall’incipiente e poi debordante massacro giudiziario messo in atto sulla base di obiettive responsabilità personali, ma in tutta evidenza storica anche per un’impostazione pregiudiziale dell’operazione ‘Manina pulita’ che si è tradotta in inchieste giudiziarie a senso unico e che ha trovato conferme del gioco spregiudicato di cui stiamo parlando nelle alleanze elettorali che hanno visto, in stagioni successive l’offerta di candidatura all’Inquisitore Antonio Di Pietro al Mugello nelle elezioni politiche del 1997 da parte del PDS e addirittura un’alleanza di schieramento nelle elezioni europee del 2004 tra Ochetto e lo stesso Di Pietro.

Badate bene: non sto imbastendo un tribunale sulle ragionate e legittime scelte dei leader ex comunisti (che si sono riproposte anche recentemente con l’atteggiamento diciamo indulgente nei confronti del grillismo devastatore della cultura liberaldemocratica).

Intendo sommessamente segnalare che la gestazione e l’evoluzione dell’Ulivo dapprima e del Partito Democratico poi, un Progetto innovativo ed ambizioso, sono state ostacolate dalla persistenza di una cappa di ombre ed incomprensioni correlata alla scelta di bypassare una lettura storica sincera delle contraddizioni valoriali e programmatiche insite alle compagini del Centrosinistra (con e senza il trattino) sorte proprio per una rinascita su basi nuove dello schieramento riformista e liberaldemocratico, a partire dalla questione dirimente e drammatica ‘giustizialismo vs garantismo’, che non casualmente sarebbe ‘entrata in gioco’ con effetti devastanti nella vicenda CONSIP ed in quella Palamara (con lo strascico più recente dell’aggressione alla Fondazione OPEN).

E con ciò dovrebbero risultare maggiormente comprensibile (anche alle numerose mammolette democratiche) le cause misconosciute e gli effetti del ‘tornado Renzi’.

Quando il brillante ed abile Sindaco di Firenze ha avviato la Grande Marcia della ‘rottamazione dei rottamatori’ il fragile ed incompiuto contenitore partitico, nel quale le astute manovre di un’intera nomenclatura di ex venivano soppiantate dalla brezza dello storytelling, è diventato un vaso di Pandora da cui si sono sprigionate disordinatamente tutte le vecchie correnti del Novecento, non (realmente) pacificate ed inoltre irriducibili, ovvero non (realmente) predisposte a misurarsi con le sfide epocali sopravvenute ed intersecatesi, da quella finanziaria globale del 2008 a quella tutta endogena del 2011, quella, per intenderci che ha ‘svelato’ il baratro attorno al quale per 25 anni hanno ballato le resistibili Armate Brancaleone (lo scrivo con tutto il rispetto storico del caso) del Berlusconismo e dell’Ulivismo.

Il lavoro critico che ci aspetta

Il panorama sconnesso e frammentato del Quadro politico odierno, considerato nel suo insieme e con un focus del Campo del Centrosinistra, non può essere interpretato e valutato a prescindere dalla rilettura critica delle tensioni e fratture striscianti ed oscurate che la riflessione politico-culturale ha finora sottovalutato.

Ora ci aspetta un enorme lavoro di indagine e focalizzazione dei limiti e contraddizioni accennate, con la consapevolezza che affrontare la fatica della ricucitura delle differenze e dei conflitti che hanno inficiato un maggior radicamento ed una più convincente affermazione del Centrosinistra significa anche trovare le ragioni e le azioni più efficaci per contrastare la regressione neonazionalista che ha connotato lo schieramento del Centrodestra nell’ultimo decennio.

Soprattutto, questo è il tempo che per una molteplicità di ragioni ci offre l’occasione preziosa di riannodare i fili delle memorie separate per ripensare e rigenerare l’impianto strutturale di un Partito che sta miracolosamente sopravvivendo ed esercitando un ‘servizio istituzionale’ fondamentale in ragione di una ‘mossa del cavallo’ renziana che ha determinato una sorprendente e provvidenziale alleanza con il M5s, con una stabilizzazione parlamentare diventata una leva decisiva in un contesto congiunturale drammatico, sia per governare con equilibrio e realismo la Pandemia, sia – soprattutto – per far rientrare l’Italia nel decisivo gioco europeo finalizzato a negoziare i Provvedimenti di contrasto alla crisi che hanno ricreato le condizioni per rivitalizzare la partnership ed un visione comune del futuro.

Ma bisogna leggere la realtà nazionale oltre la cornice della (temporaneamente) salvifica Operazione Recovery Fund, non tanto perchè le ingenti risorse ed i vincoli d’uso attivati dalla Commissione Europea richiedono uno sforzo progettuale e gestionale inedito per qualità di elaborazione, visione e chiarezza strategica delle scelte di investimento da parte del Governo, bensì in quanto è l’intero sistema politico-istituzionale, amministrativo ed associativo nazionale che è sollecitato ad entrare in campo ed immettere nella ‘ripartenza’ il carico di energia, innovazione e condivisione che servono all’intero Paese non a parti e partiti di esso.

E’ questo il passaggio chiave di cui debbono essere consapevoli i molti attori che nello schieramento democratico-progressista si stanno cimentando in una sorta di gara per aggiudicarsi una leadership che a noi appare come la forsennata corsa della pletora di eredi che nel romanzo di Charles Dickens, La casa desolata, si contendono a suon di battaglie giudiziarie un’eredità fino all’udienza finale nella quale constatano che i costi processuali hanno consumato l’intero importo dell’eredità stessa in quanto la cifra contesa ormai non esiste più.

Bisogna affermarlo con la massima chiarezza e brutalità possibile, soprattutto per i componenti della cospicua nomenclatura che hanno ‘estratto’ dal marchio PD il massimo dei vantaggi personali restituendo all’Organizzazione Partito appetiti insoddisfatti ed acrimonia: il Partito Democratico non è più contendibile, bensì restaurabile.

Esso rappresenta oggi un Cantiere aperto non solo per architetti & geometri con disegni e progetti più o meno realistici, ma soprattutto per manovali e muratori in salute (valori) e generosi (disinteresse), addestrati nell’attività di ricostruzione.

Lo sottolineo perché ho dedicato l’ultimo trimestre a monitorare il flusso ininterrotto di testi, documenti, libri, articoli, prese di posizione tesi a puntualizzare, anzi a posizionare le tende nella prateria in cui una molteplicità di capi e capetti tribù aspirano ad occupare uno spazio, ad aggiudicarsi la funzione direzionale.

E ciò avviene nel momento in cui tutti gli indicatori fondamentali dello stato di salute della nazione oscillano pericolosamente verso il basso: dalla progressione del Debito alla regressione dell’occupazione giovanile, dal declino demografico al crollo della fiducia nel futuro, dallo stallo delle infrastrutture cantierabili alla triste archiviazione nel dimenticatoio del Rapporto del Comitato di esperti coordinato da Vittorio Colao.

Non c’è solo questo a rendere lo scenario politico ‘funereo’ per la leadership democratica: mentre il Nord motore propulsore della possibile ripresa economica si ritrova orfano di una Rappresentanza in grado di interpretarne le legittime rivendicazioni ed orientarne la spinta verso l’innovazione e la competitività, il Sud arranca e si aggrappa disperatamente alla pratica ed alla retorica di un assistenzialismo che obnubila la legittima aspirazione a recuperare il differenziale di investimenti da sottoporre, però, a rigorosi controlli di reale necessità ed efficacia, ovvero da finalizzare alle Reti infrastrutturali per creare lavoro vero e sviluppo non crescita delle clientele.

Potremo continuare nel rilevare la perdurante inedia della Politica estera o l’esplodere in tutta la sua carica dirompente per gli equilibri istituzionali della crisi della Giustizia e del disorientamento della Magistratura.

Ma il punto è che l’intero processo decisionale delle Istituzioni a tutti i livelli risulta vischioso, scarsamente efficace perché su di esso non incide l’azione di una Politica forte, legittimata, credibile, coesa.

E tali ‘doti’ di una buona politica sono ascrivibili ad Organizzazioni nelle quali sono condensate sensibilità, competenze, consenso in quantità sufficienti ad orientare le strategie e le scelte all’interno della dialettica democratica.

Un luogo politico di confronto e condensazione organizzativa

A pensarci bene, quando Stefano Bonaccini auspica il rientro in Partito di Renzi e Bersani, al di là del tatticismo che può motivare tale presa di posizione, in realtà egli esprime il disagio di un leader che con onestà annota, verifica e giudica l’inadeguatezza di un soggetto politico (il PD) di fronte a prove di governance difficili ed inesplorate.

E’ stato Beppe Sala, in un libretto denso di riflessioni personali e scritto ‘a cuore aperto’, Società: per azioni, a rendere esplicita la sua sofferenza, anzi a denunciare la “fatica addirittura a definire il luogo e le modalità per un dibattito pubblico”.

Egli ha usato tale espressione nel sesto capitolo (Socialismo?) che si apre con questa dichiarazione di ottimismo: “Credo nella rigenerazione” e nel quale affronta con precisi riferimenti al ‘cambiamento d’epoca’ verificatosi la sera del 30 aprile 1993 (le monetine lanciate all’indirizzo di Bettino Craxi all’uscita dall’hotel Raphael) l’esigenza di ripensare ed aggiornare l’uso di una parola che deve significare una nuova immersione nei valori e nella rappresentanza di un mondo del lavoro mutato al quale è la Sinistra a dover fare da ancoraggio.

C’è da augurarsi che al Nazareno e dintorni il messaggio del Sindaco di Milano sia stato letto ed interpretato per quello che è: un appello a ripensare le forme organizzative con cui misurarsi con gli interrogativi spirituali e con l’enorme spazio politico che il tempo presente ci ha aperto.

Ed è proprio alla grandiosità dei cambiamenti in corso che Matteo Renzi ha dedicato la sua ultima fatica letteraria, La mossa del cavallo. Come ricominciare insieme, con la quale egli opera un cambio di stile, ovvero si allontana dallo storytelling apodittico per approdare ad un racconto più intimo da cui emergono da un lato la consapevolezza critica rispetto alla drammatica emergenza del lockdown e dall’altro un’acquisita e consolidata expertise nel leggere le fenomenologie della Politica internazionale rendendolo uno dei pochi leader praticanti la scena politica nazionale con lo sguardo acuto ed attento ad orientare le scelte strategiche del Paese nella direzione giusta.

Sottolineaiamo questa virtù dell’ex Presidente del consiglio perché è curioso osservare che il suo acerrimo (ed un po’ patetico) competitor, Carlo Calenda, per dimostrare una certa coerenza rispetto alla sua mappatura del campo democratico (“il fatto è che l’elettorato è diviso in bande che si odiano. Ci sono contrapposizioni feroci, toni da guerra civile”) dichiara stentoreamente: “Io non farò mai un’alleanza politica con Italia Viva”!.

E con tale pre-giudizio non riesce a riconoscere il significato e la portata del cambio del quadro politico che la ‘sensibilita’ di Renzi ha reso possibile nel fine estate del 2019, creando le condizioni per la ricollocazione italiana nel posto che le spetta in Europa.

Ed è davvero un peccato che i due ‘cavalli di razza’ in questa stagione politica si inoltrino per strade parallele perché se la visione strategica del fiorentino è lucida e lungimirante, le analisi e le diagnosi del romano sullo stato dell’arte (quadro politico e socioeconomico) sono sferzanti, brillanti, veritiere, quanto di più mirate e concrete oggi fornisce la cucina politica nazionale.

Ciò che maggiormente impressiona nel suo ultimo libro, I Mostri. E come sconfiggerli, è la conoscenza e la frequentazione diretta dell’autore della malmostosa palude in cui si dibatte il Paese, la capacità di leggere la pericolosa degenerazione che caratterizza il sistema dei ‘media asociali’ ed il declino dei corpi intermedi che concorrono a rendere ancor più difficile la legittimazione e la veicolazione delle scelte riformatrici nell’opinione pubblica.

E’ sconcertante però che ‘Carletto’ sincero e valente combattente immagini che in tale stallo sia sufficiente la sua (piccola seppur qualificata) Azione.

Non intendo sminuire il ruolo del partitino calendiano; piuttosto ho ben presente il carattere di urgenza e grandiosità presenti nelle parole di Giorgio Gori che nel corso del 2020 si è reso protagonista, attraverso la divulgazione di un sostanzioso Manifesto e di una insistente partecipazione al discorso pubblico, di una mobilitazione cognitiva finalizzata a sferzare la pallida gestione romana del Partito:

Il fatto è che ci vuole un salto di qualità. Non è più tempo di elencare le riforme che dovrebbero essere fatte, il PD non può limitarsi a questo. Deve farle, le riforme non enunciarle e deve smontare quelle sbagliate del Governo gialloverde. Ma per fare tutto ciò servono più coraggio e più decisione

Credo anch’io ci sia bisogno di maggiore coraggio e decisione.

Ma ciò oggi significa il superamento di recinti, personalizzazioni esasperate, opportunismi ideologici, frammentazione della rappresentanza, ritualità obsolete, arretratezze organizzative, primitivismo digitale, che ostacolano i processi partecipativi ed una cittadinanza attiva più diffusa dai quali può e deve rinascere un inedito ed autentico Partito Democratico.

Dino Bertocco