L’insostenibile pallore dei rappresentanti veneti al Governo

Ma la debolezza regionale a Roma non è una storia recente

Con lo sferzante sarcasmo e la pungente verità che sciorina nei suoi momenti migliori, ovvero quando non ci sono in ballo vincoli professionali e può liberare senza freni inibitori il suo pensiero, Paolo Feltrin ha usato, in occasione di un incontro organizzato da Alessandra Moretti per riflettere (si fa per dire) sui risultati elettorali regionali e davanti ad un pubblico sconcertato, espressioni quasi irridenti nei confronti dei tre Sottosegretari veneti dell’Esecutivo in carica (Andrea Martella, Pier Paolo Baretta, Achille Variati), ‘rimproverandoli’ di non averci messo la faccia nello scontro con Luca Zaia, ovvero facendo incidere (per quanto era possibile e necessario) nella campagna elettorale il peso e la rappresentanza di un Governo che – nella temperie del Covid – gode di un alto gradimento

A dirla tutta il politologo, in vena di sincere cattiverie, tanto da rivolgersi direttamente ad Artuto Lorenzoni presente in sala dicendogli che la sua candidatura era stata improvvida e sconsigliabile in quanto sconosciuto ai più in Veneto (absit iniuria verbis), ha calato due carichi pesanti per argomentare il suo perfido giudizio: il Sottosegretario vicentino da un lato ed i due veneziani dall’altro, per l’opinione pubblica veneta hanno costituito dei ‘paracarri’, nel senso di ostacoli – attivi e/o passivi – per la realizzazione di due infrastrutture fondamentali nell’immaginario collettivo: l’Alta Velocità (incagliata a Vicenza), il Mose (che ha subito la corruzione e le dilazioni del ceto politico veneziano).

L’Osservatore veneto vi invita a soffermarvi sull’episodio, non per segnalarvi la perfidia di Feltrin od irridere il trio, bensì per focalizzare alcuni fatti storici e politici che esso fa emergere.
a) In verità, dai tempi della aborrita e sospirata Prima Repubblica, dei rappresentanti veneti al Governo, di ogni estrazione partitica, non risultano tracce visibili (progetti di legge significativi, battaglie parlamentari, polemiche culturali pregnanti) del loro passaggio, talvolta lunga permanenza, negli scranni parlamentari, che abbiano segnato l’opinione pubblica regionale.
b) Ciò che il politilogo non ha voluto (o saputo) spiegare è che gli attuali tre Sottosegretari sono comodamente allineati su una politica socioeconomica la cui impronta assistenzialistico-meridionalistica ed a-produttivistica non risulta certo seducente per gli elettori veneti.
c) I quali, elettori veneti, sin dai tempi del ‘tradimento’ di Carlo Bernini, che scambiò l’eredità bisagliana per il piatto di lenticchie ministeriali offertogli dalla Corrente del Golfo di Antonio Gava, sono alla disperata ricerca di qualcuno che ne comprenda le istanze di efficientamento dello Stato romanocentrico e si illudono (costa poco) di aver trovato in San Luca il loro liberatore.

Ora, siccome è evidente a (quasi) tutti che le chiacchiere – in particolare quelle del Presidente veneto rieletto – stanno a zero e che nel frattempo gran parte delle risorse finanziarie (investite o sprecate) che i Governi Conte 1 e Conte 2 stanno gestendo hanno poco a che fare con le esigenze fondamentali del sistema produttivo (settentrionale) che regge il Paese, la domanda che ci si deve porre è come sostituire il pallore delle gote e la flaccidità della rappresentanza politica territoriale in Veneto ed in tutto il Nord con un’iniziativa e leader politici che ci liberino dal salvinismo xenofobo e verboso e pongano al centro dell’agenda nazionale le questioni dello sviluppo economico attraverso gli investimenti su infrastrutture, riduzione fiscale su famiglie ed imprese, riordino dei poteri istituzionali e contrattuali baricentrati su inedite ed efficaci responsabilità territoriali.