Libertà di stampa? Non frega niente a nessuno


Nello Zaiastan dell’ufficio unico stampa e propaganda non sono ammesse defezioni nel coro unanime del “va tutto bene madama la marchesa”. Ma la realtà non si cambia con un po’ di facile indignazione


Ben venga che l’opposizione in Veneto solidarizzi con quei giornalisti e testate (Tgr Veneto, Oggitreviso, un po’ a sorpresa L’Arena) minacciate di querele ed esposti dalle aziende ospedaliere, cioè di fatto dalla Regione, cioè politicamente dall’amministrazione Zaia, per aver osato l’inosabile, ovvero fare il proprio lavoro e firmare denunce su punti oscuri della eccellentissima sanità nostrana nella seconda ondata da Covid . Che eccellente, rispetto ad altre realtà, lo è, ma non in misura tale da risultare immune dalla libertà di stampa. Il cui significato è uno: raccontare ciò che autorità e addetti alla comunicazione non vogliono che si sappia. Riportare testimonianze su strutture sotto stress per sovraccarico di ricoverati non è procurato allarme, se la fonte è reale. E’ fare informazione. Zaia ha giustificato l’isteria che ha preso i direttori delle Ulss in quanto le fonti sarebbero anonime. Per forza, anonime: come si può pretendere che un dipendente, un medico o un infermiere, si sobbarchi il rischio di subire ripercussioni sul lavoro? Un giornalista però ha il dovere, proprio deontologicamente il dovere di trasmettere ai lettori o spettatori quanto apprende venendo a conoscenza di un fatto socialmente rilevante.

(Auto)censura

E’ l’abc del mestiere. Quel che non torna, semmai, è che sul meridiano dello Zaiastan se ne pratichi troppo poco, di giornalismo di denuncia, o anche solo di critica. L’apparato di controllo messo in piedi dalla centrale informativa governatoriale si è abituata negli anni a vedere i media locali cantare in coro, con qualche isolata stecca una tantum, toccando lo zenit di allineamento collettivo con le conferenze stampa in cui Zaia fa il mattatore, mai contraddetto, mai messo in difficoltà neanche di striscio. Il blindatissimo doge (che sta per duce, in veneziano) non gradisce interloquire con penne e mezzibusti sgraditi, come prova il fatto che non lo abbiate mai letto o visto protagonista di interviste o confronti che non siano con sottofondo di violino o musica lounge. Dal punto di vista giornalistico, lo diciamo prima di tutto da cittadini, il conformismo che stende la sua coltre censoria sul Veneto è un’oscenità da Propaganda Ministerium.

Esporsi? Giammai!

Ma non interessa qui fare la difesa d’ufficio dell’ideale del giornalismo puro, per altro mai esistito. Importa di più affermare in tutta tranquillità che, a parte le proteste di circostanza, della sacra libertà di stampa non frega niente a nessuno. Non frega alla politica, e non soltanto quella della maggioranza del momento, perchè ad eccezione delle frange estreme e dei panda davvero liberali (liberali alla Gobetti, alla Einaudi, alla Bobbio, santificati ma ignorati nei fatti), la palude maggioritaria non comprende nemmeno l’utilità di un panorama mediatico ricco, vario, combattivo, plurale, vitale. Libero. Non rientra nella forma mentis del veneto medio, che mugugna e smadonna borbottando, guardandosi bene dall’esporsi in prima persona. Perciò, se un giornalista lo fa, chi lo capisce? Non parliamo poi della classe imprenditoriale da cui dovrebbe sorgere, come l’araba fenice, qualche editore. Di editori ce ne sono pochissimi, perchè i ricavi non ci sono e chi avrebbe sensibilità e cultura per dare vita a giornali non di consumo, non marchettifici della pro loco e dei mammasantissima di turno, preferisce spendere i quattrini al riparo dall’opinione pubblica e dalle rogne di cui sarebbe investito. Il mercante, del resto, si sente prima mercante, e solo poi cittadino. E’ la sua tara cromosomica. I mercanti illuminati sono sempre stati gloriose mosche bianche.

Beati i disertori

Il cittadino della strada, infine, è talmente assuefatto alle cronache innocue che non sente neppure il bisogno, che invece c’è, latente e di tanto in tanto affiorante, di informarsi senza la vidimazione preventiva del Minculpop. Internet teoricamente fornirebbe il mezzo per far circolare più liberamente notizie e commenti scomodi, ma è sotto-utilizzato, supporto qua e là di iniziative circoscritte troppo deboli per assaltare i monopoli od oligopoli che anche in provincia occupano quasi tutto lo spazio. In definitiva, l’indignazione di questi giorni, uno sputo nell’oceano di normale indifferenza, vale quel che vale: come spia dell’anormalità accettata, per cui se una pandemia che adesso sta facendo crollare il mito del Veneto efficiente e imbattibile produce l’anticorpo di un’informazione degna di questo nome, apriti cielo, è come bestemmiare in chiesa. Siamo messi male, molto male. E per quanto ci riguarda, capiamo benissimo i colleghi che hanno fatto la scelta di disertare il campo e cambiare lavoro per non morire velinari. Fare i giornalisti e non gli uffici stampa mascherati, in questa terra di sepolcri imbiancati, è una vitaccia da incompresi. Ad maiora? Ad malora.