Liberiamo il Sistema socio-sanitario veneto. Si, ma come?

S-Legandolo dal modello nordcoreano, promuovendo le competenze professionali, le responsabilità politiche territoriali, la cultura della prevenzione.
Resoconto di una chiacchierata con Claudio Beltramello, candidato al Consiglio Regionale

A prescindere dai risultati sanciti dalle urne, il 22 settembre pv, al primo punto dell’Agenda politica regionale, va chiesto a tutti i Consiglieri eletti di aprire una pagina nuova, anzi di rileggere le pagine fondative del Servizio sociosanitario veneto per ripristinarne la visione ed il modello organizzativo originari che sono stati contagiati, non dal Covid-19 bensì da una gestione centralistica che ne ha impoverito il patrimonio manageriale e professionale ed allo stesso tempo ha deteriorato e compromesso il capitale politico-culturale delle Amministrazioni locali che nei territori orientavano le scelte strategiche per la ‘salute pubblica’ ed esercitavano una funzione di controllo ed accountability sull’efficacia dei Piani aziendali delle Ulss.

Siccome nutriamo parecchi dubbi sulla consapevolezza dello stato reale di difficoltà e regressione che ha vissuto negli ultimi anni il Sistema di cui siamo giustamente orgogliosi, ‘facciamo voti’ o, più correttamente confidiamo che gli elettori trevigiani promuovano l’arrivo a Palazzo Ferro Fini di Claudio Beltramello.

Siamo convinti che egli possa dare un contributo importante per focalizzare l’attenzione ed il confronto politico dei/tra i Membri del Consiglio Regionale su episodi, fatti, numeri ed emergenze di una diagnosi preoccupante e che confermano l’esigenza improcrastinabile di mettere in campo proposte e programmi con cui cambiare rotta alla governance dei servizi sociali e sanitari avvolti dalla cortina fumogena diffusa dalle Conferenze stampa a reti unificate.

C’è infatti bisogno di Professionisti sanitari che si prendano cura dell’Assessorato e dell’Azienda 0, sottraendole alla manipolazione propagandistica ed al servilismo volontario, mettendo a disposizione curricula che trasudino la ‘passione’ per la Medicina e la Salute dei cittadini.

Sia quando essa è esercitata nei luoghi di frontiera nei quali il servizio sanitario deve essere letteralmente impiantato sul territorio e deve essere orientato al controllo ed alla eradicazione delle malattie infettive, in numerose missioni nei Paesi dell’Est Africa dove intervengono il CUAMM o sono realizzate iniziative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e quando è vissuta e praticata, negli ambienti e con le problematiche organizzativo-gestionali degli ospedali e delle ULSS di casa nostra, dedicandovi le proprie competenze specialistiche attraverso la consulenza e la docenza sui temi che connotano le strutture sanitarie, con focus particolare nell’ambito dell’Evidence Based Management, dei sistemi di qualità e della clinical governance.

Claudio ha il merito (e la fortuna aggiungo io) di conoscere ed essersi misurato sia con i valori fondativi che con i principi ordinatori dell’Impresa Salute.

Per questo con lui, nei mesi del lockdown e nell’ultimo convulso periodo della campagna elettorale, che lo vede candidato nella lista del Partito Democratico nel Collegio di Treviso, abbiamo avuto modo di confrontarci sia sulla gestione della emergenza pandemica che sulle correlate questioni dell’approccio operativo e delle performance del Sistema sociosanitario regionale.

Abbiamo potuto così affinare e condividere le analisi e le nostre personali convinzioni, sino al punto di ritenere che – paradossalmente – il virus è stato un fantastico acceleratore di processi e ci ha mostrato e dimostrato che non solo è necessario un altro modo di vivere e di pensare la prevenzione e la sanità pubblica, ma che allo stesso tempo è fondamentale rivisitare criticamente i programmi e le modalità con cui la Giunta regionale di Luca Zaia ha ristrutturato la Rete delle Ulss e le funzioni dell’Azienda 0.

Sotto il vestito dell’efficientamento del sistema (obiettivo legittimo, condivisibile e da perseguire) in realtà è stata messa in atto una centralizzazione politica e gestionale che lo ha indebolito cosicchè le sbandierate ‘economie di scala’ si sono dileguate ed è apparso in tutta la sua contadditorietà il modello falso-provinciale che ha appesantito la burocratizzazione, ridotto la trasparenza ed aumentato la discrezionalità con effetti paradossali e vicende allarmanti che devono essere considerate come la punta dell’iceberg.

Come quella che ha visto protagonista il Prof. Massimo Montisci, docente universitario e Direttore dell’istituto di Medicina legale di Padova, rinviato a giudizio per i reati di favoreggiamento, falso ideologico e truffa aggravata, per aver eseguito una perizia (risultata falsa) con la quale si proponeva generosamente e maldestramente di oscurare il reale motivo della morte occorsa ad un malcapitato pensionato investito dall’auto blu del Direttore Generale Domenico Mantoan, incidente per il quale l’autista dello stesso ha dovuto patteggiare una pena concordata di un anno e due mesi.

La domanda che ci si deve porre a tal proposito è: qual è il clima organizzativo interno al ‘sistema gerarchico’ che induce un prestigioso professionista a bruciarsi per un atto inconsulto (ed illegale) di vassallaggio nei confronti del Grande Capo?

E proseguendo nell’atteggiamento riflessivo ci si dovrebbe anche chiedere com’è possibile che un evento drammatico come la strage di neonati provocata dal Citrobacter all’Ospedale della donna e del bambino di Borgo Trento a Verona sia sfuggita per molto tempo ai radar del Sistema Informativo Regionale, tanto da far risultare clamorosamente il Presidente Zaia ‘persona non informata dei fatti’ e ‘costringerlo’ a depositare l’ennesimo dossier in Procura, con un’autodichiarazione di impotenza e latitanza, confermata dai provvedimenti disciplinari più finalizzati ad una caccia alla streghe che alla ricerca della verità, dei colpevoli veri, ma soprattutto della disfunzionalità dell’auditing, dell’autoreferenzialità nell’esercizio delle funzioni dirigenziali.

I buchi neri evidenziati dai due episodi richiamati non possono certo essere tollerati ed oscurati dal tritacarne del consenso politico di Zaia perché essi sono i segnali di una filosofia politico-gestionale malata, che ha mirato ad un controllo ferreo dei processi decisionali che consentissero di procedere alle ristrutturazioni dei costi e dei servizi piuttosto che al controllo della loro efficacia correlata ad una conoscenza sistemica della qualità delle prestazioni e della domanda sociale inevasa.

I ‘bollettini del Covid-19’ hanno rappresentato per il semestre conclusivo della seconda Legislatura della Giunta Zaia una via di fuga, una gigantesca foglia di fico che ha consentito di rinviare una diagnosi accurata dello stress a cui l’intero complesso ospedaliero e della rete territoriale dei servizi è stato sottoposto -ben prima della pandemia- da Politiche regionali la cui inadeguatezza è confermata dallo sconcerto diffusi.

Il clima lavorativo ‘da caserma’ troppo diffuso nelle aziende sanitarie, unito a carichi di lavoro oramai insostenibili, hanno portato il Veneto ai primi posti in Italia per tassi di autolicenziamento dal Sistema sanitario pubblico da parte dei professionisti, medici specialisti in primis. Già solo questo segnale è sufficiente a lanciare un allarme sull’urgenza di invertire la rotta, di modificare modalità di gestione che fanno letteralmente ‘scappare’ chi i servizi sanitari e sociali li deve erogare.

Ma per il nostro Governatore la carenza di professionisti della salute è dovuta esclusivamente ad una cattiva programmazione di giovani medici e professionisti sanitari da formare. Non vi è l’ombra di una autocritica sul fatto che i professionisti della salute sono allo stremo, che al primo istante utile per il pensionamento se ne vanno o peggio si licenziano proprio quando la loro maturazione professionale è arrivata all’apice.

Ora, però, tutti i nodi vengono al pettine, tutte le insufficienze e le ambiguità si stanno sommando e determinando un effetto valanga che deve essere urgentemente arrestato a partire dalle prossime scelte dei nuovi Direttori generali che per primi dovrebbero essere espressione della più trasparente e lungimirante meritocrazia legata alla competenza ed autorevolezza necessari al ruolo e che mai dovrebbero essere invece presi in considerazione per la loro predisposizione all’obbedienza al Presidente.

E’ il momento in cui a Palazzo Ferro Fini ed a Palazzo Balbi debbono farsi largo una nuova cultura politica ed un nuovo approccio interpretativo in grado di archiviare sia l’affidamento all’uomo solo al comando sia la sottovalutazione della complessità e delle difficoltà strutturali accumulate, in primis il sottodimensionamento del budget sanitario che può essere affrontato solo attraverso una tempestiva adesione al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) e l’accesso ai finanziamenti che possono consentire gli investimenti su tutti i capitoli sofferenti della Sanità regionale: dalle dotazioni organiche e misure per frenare l’esodo dei professionisti a quelle delle tecnologie intermedie, dalla riqualificazione della Rete ospedaliera (in primis il nuovo Ospedale di Padova) a quella delle Rsa.

Ma queste elezioni regionali, anche in ragione dei numerosi Sindaci di diversa estrazione politica candidatisi, debbono costituire l’occasione per correggere, anzi invertire la rotta rispetto alla deprivazione operata con la pseudoriforma (la Legge regionale 19/2016) che ha letteralmente spogliato gli Enti locali della fondamentale funzione di presidio ed indirizzo delle scelte programmatorie in ambito sociosanitario.

La Politica, con la P maiuscola, deve riappropriarsi urgentemente del ruolo di guida lungimirante per il bene comune.

Il nostro meraviglioso sistema Socio-sanitario veneto ad alta integrazione tra ospedale-territorio e tra servizi sanitari e sociali è un patrimonio da difendere, da valorizzare, da ampliare anche apportando i necessari aggiustamenti che l’evoluzione dei bisogni e della società impongono.

E’ necessario riproporre la stessa visione di quei leader politici –Tina Anselmi in primis- che 40 anni fa hanno saputo guardare lontano per garantire l’accesso universale alle cure e la presa in carico delle persone più fragili della nostra società.

Se non si riuscirà ad incidere seriamente nella programmazione sanitaria in Veneto, in breve tempo, invece di poter affermare che stiamo guardando lontano perché siamo seduti sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto, ci ritroveremo a contare le nostre ossa rotte per essere rovinosamente caduti da quelle spalle che ci sorreggevano.

Dino Bertocco