La Padova passiva del duo Giordani-Bettin

Massimo Bettin (a sinistra) e Sergio Giordani

Il centrosinistra, imploso e fragile, galleggia. Appeso all’incognita della ricandidatura del sindaco. Viaggio nella città del Santo a un anno dalle elezioni comunali.


L’adagio dice che a non fare, non si sbaglia. Ma se in più si vuol pure dare l’apparenza di fare chissacchè non facendolo, allora un politico può dirsi già contento. Un po’ meno i cittadini. A Padova, retta da una giunta di centro-sinistra (con un trattino lungo un metro, viste le distanze al suo interno), il sindaco civico Sergio Giordani e il sindaco-ombra del Pd, il portavoce Massimo Bettin, dirigono un’orchestra che, per evitare la cacofonia di spartiti diversi, ha da un pezzo di coprire con cartonati giganti di immaginifici propositi una realtà più prosaica: il galleggiamento permanente. Inframmezzato da manovre centellinate con il bilancino, per conciliare l’immagine “progressista” con una certa passività a decisioni subìte più che condivise. In due parole, manca una guida.

Naufragar m’è dolce in questo mare (di banalità)

Il 2 dicembre scorso, per esempio, è andata in scena la passerella online di esperti e maggiorenti chiamati a sciorinare una sorta di pubblico flusso di coscienza sul nuovo Piano Interventi, un tempo noto come piano regolatore. Il “Forum Padova 2030”, così è stato denominato, ha radunato l’élite patavina, dai responsabili dell’urbanistica (assessore Andrea Ragona e dirigente Danilo Guarti) all’establishment locale (il vescovo Claudio Cipolla, il presidente della Camera di Commercio Antonio Santocono, il rettore dell’ateneo Rosario Rizzuto, il direttore dell’azienda ospedaliera, oggi capo della sanità regionale Luciano Flor, e ci fermiamo qui per ragioni di spazio) alla batteria di ex sindaci (Settimo Gottardo, Paolo Giaretta, Flavio Zanonato, Giustina Destro, Ivo Rossi, Massimo Bitonci) fino, naturalmente, all’attuale primo cittadino e all’archistar Stefano Boeri, già presenza fissa nella Milano di Beppe Sala con cui Giordani si intende piuttosto e anzichenò. La sintesi dell’evento l’ha fatta Zanonato, in un intervento pubblicato sul Mattino il 6 gennaio 2021: “incontro insufficiente”, con un’introduzione “generica” da parte di Boeri e dell’architetto Daniele Rallo (Mate Società Cooperativa di Bologna), e per giunta funestato da un collegamento online “non sempre efficiente”. Zanonato è stato anche buono: i 450 mila euro di spesa complessiva per i progettisti ha partorito un florilegio di auspici alquanto prevedibili, quali limitare il consumo di suolo, ridare centralità alle periferie, rigenerare aree dismesse, investire in mobilità pubblica e piste ciclabili, rendere più vivibili gli spazi urbani. L’intuizione-cardine di Boeri è la città a 15 minuti: bisognerebbe impiegare un quarto d’ora a raggiungere qualsiasi punto, grazie alle due nuove linee del tram (Stazione-Voltabarozzo e Chiesa Nuova-Ponte di Brenta) e all’avvio della metropolitana regionale di superficie. Ora, la Sfmr, sigla per Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale, è stata concepita nell’ormai pleistocenico 1988 e dichiarata deceduta da Zaia tre anni fa per mancanza di fondi. Quanto alla nuova linea tranviaria fino a Voltabarozzo, ammesso che partano i lavori in tempi umani, non sarà operativa prima di “parecchi anni” (cit. Zanonato). Giudiziosamente, Giordani ha sottolineato che “fare il sindaco non significa solo governare l’esistente, ma anche elaborare visioni”.

Schema del 2017? Bye bye

Facendo un po’ di psicologia spicciola, l’affermazione di Giordani tradisce l’opposto: a mancare è proprio un indirizzo strategico da parte sua. In parte è giustificato, dati i passati problemi di salute e le recenti vicissitudini familiari legate alla figlia. Un po’ invece no, perchè le elezioni comunali del 2022 si avvicinano e proseguire navigando a vista, cercando di tenere insieme una maggioranza da sempre eterogenea ma che ultimamente si è calcificata in un’auto-paralisi senza sbocchi, lo rende oggettivamente responsabile. Facciamo la panoramica. Il ruolo del Partito Democratico è impercettibile: l’unico sussulto di vitalità è stato poco tempo fa, quando ha messo le mani avanti annunciando già adesso che il candidato a succedere a Giordani non è un suo uomo, che non esiste, ma inevitabilmente lui, Giordani. La variegata compagine più a sinistra, che esprimeva l’ex vicesindaco Arturo Lorenzoni passato in Regione (con magno gaudio dei moderati di maggioranza, e sospettabilmente con lo zampino del manovratore Bettin), è un pianeta imploso. Il presidente del consiglio comunale Andrea Tagliavini, della Lista Lorenzoni, l’ha detta in maniera garbata: «Credo che lo schema politico grazie al quale abbiamo vinto le elezioni nel 2017 non sia replicabile in toto. Se non altro perché quello schema era stato costruito attorno ai nomi di Sergio Giordani e Arturo Lorenzoni. E quest’ultimo, ormai da tre mesi, non si trova più qui, ma in Regione». Volendo ricorrere a termini più crudi, la lista di cui fa parte di fatto è svanita nell’aere, puf. Coalizione Civica, il corpaccione in cui la compagna Daniela Ruffini spicca per fronda permanente (ma sempre, al dunque, rientrante nei ranghi), vede i propri consiglieri comunali più o meno regolarmente non pervenuti. In “Amo Padova”, la lista del sindaco che rappresenta la Padova-bene, si è fatta notare l’uscita di Diego Bonavina, assessore alla sicurezza e allo sport che sovente gioca in proprio (sulla riqualificazione di piazzale Boschetti e sullo stadio, ad esempio), ufficialmente con il placet del sindaco. Solo ufficialmente, però. Perchè Bonavina potrebbe essere un nome nel mazzo dei candidati alternativi a Giordani. Il quale mantiene comunque la prima e forse l’ultima parola sul toto-nomi: se si ricandiderà, riserva che non ha ancora sciolto, allora è presumibile che si assisterà alla processione fuori dalla sua porta. Non solo da parte dei suoi, ma anche degli orfani di Lorenzoni.

Indagine sulla nuova pediatria

Tutti civici, sulla carta. L’operazione riuscita nel 2017 consisteva nel gabellare sotto l’etichetta del civismo unificante un’armata un po’ brancaleonesca, che alle primarie era andata allo scontro fra “bianchi” e “arancioni”, fra centro e sinistra, riunendola poi nel sostegno all’attuale sindaco alle urne. Ma tra un anno, quando sarà quasi finita la consiliatura e i padovani faranno il bilancio di un mandato costellato da scaramucce e polemiche interne, non ci sarà più la possibilità di utilizzare il gioco delle due parti (a meno di non voler fare harakiri, presentandosi con due candidati divisi). Lo “schema”, come dice Tagliavini, non sarà più ripetibile. E sarà meglio allora avvicinarsi alla scadenza con qualche freccia al proprio arco, sul piano delle realizzazioni. O quanto meno dei nastri tagliati. Il bando del nuovo ospedale a San Lazzaro-Padova Est (eredità di Bitonci) dovrebbe concretizzarsi entro un mese, incrociando le dita sull’apertura del cantiere prima delle elezioni. Allo stato si ha in mano uno studio di prefattibilità, per un costo complessivo di 481 milioni di euro. Poi c’è la nuova pediatria, ferocemente contestata dai comitati (tutta gente che mediamente vota centrosinistra, si badi) che le hanno scagliato contro un esposto per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, prima firmataria l’ex assessore alla casa Luisa Calimani con il supporto dell’Ordine degli architetti. L’ex dg dell’Ulss, Luciano Flor (oggi a capo della sanità regionale), aveva minacciato contro-azioni legali, forte anche dell’aderenza ai vincoli posti dalle Belle Arti. Giordani ha liquidato l’iniziativa come “molto triste”, colpevole di “mettere i bastoni fra le ruote” a un’opera pensata per i “bambini malati”. Non è dello stesso parere, a quanto pare, la Procura, che ha aperto un fascicolo esplorativo. La tesi dei critici è netta: “I rendering dell’opera diffusi dall’Azienda Ospedaliera sono quantomeno ingannevoli, perché non mostrano il reale e devastante impatto che un fabbricato di tal genere avrà non solo sul complesso ospedaliero, ma pure sull’intero centro storico di Padova”.

Scambio parco Basso Isonzo-Despar a Pd est?

E veniamo ai ai dossier che scottano. L’ex caserma Prandina è ostaggio della vexata quaestio su se, come e quanto farci un parcheggio (non risulta nemmeno la permuta con l’area di via Anelli, che doveva avvenire entro fine 2019). Il blogger Nicola Caporello, retroscenista di Palazzo Moroni, ha scritto che “si sta procedendo a tentoni: ora altri 100 posti in teoria provvisori, ma forse definitivi, perché è sempre difficile tornare indietro”. Forse, boh, chissà. Sulla pianificazione urbanistica, con buona pace di Boeri, si staglia minacciosa all’orizzonte l’ombra del nuovo ipermarket Despar della società Aspiag. Dove? Ma sempre a Padova est, of course. 40 mila metri quadrati, di cui 24 mila destinati a superficie di vendita, vicino al futuro ospedale, per non farsi mancare niente. La nuvola di vetro di cui dovrebbe assumere le forme rimanda alla sagoma di un’altra archistar, Massimiliano Fuksas. Un ex primo cittadino come Ivo Rossi ha rimarcato che “un ospedale all’interno di un’area commerciale e artigianale non si era ancora visto”. Per di più in un’epoca, com’è quella in corso, che a differenza di vent’anni fa, quando la speculazione immobiliare trovava ancora terreno fertile, è risucchiata nella crisi di un settore che non ha più mercato sufficiente per rendere plausibile l’ennesimo ipermercato. Coincidenza vuole che Aspiag abbia acquistato un’area con 30 mila metri quadri di residenziale disponibile nel Basso Isonzo, pagandola oro (1 milione e 300 mila euro in più della base d’asta), tanto da generare il sospetto, come sostiene Antonio Attisani (Europa Verde), che “quei 30 mila mq corrispondano piuttosto all’ampliamento che Aspiag ha chiesto ad ottobre scorso per il proprio progetto, già approvato, in zona Padova Est”. Secondo tale ipotesi, si prefigurerebbe uno scambio fra ipermercato e lotto Basso Isonzo, che potrebbe convertirsi in verde pubblico. Sarà interessante sentire cosa ne pensa anche l’opposizione di centrodestra, in particolare la Lega, differenziata fra truppe fedeli all’ex sindaco Bitonci e schiere allineate dietro il governatore Zaia (con il padovanissimo assessore regionale Roberto “Bulldog” Marcato, molto popolare, nel mezzo). A dispetto della guerriglia bitonciana, la parte zaiana del Carroccio ha saputo entrare lentamente nei gangli di potere della città. Nel mondo dell’università, per esempio: il rapporto del rettore Rizzuto con Zaia è ottimo, come dimostrano il distaccamento del corso di medicina e chirurgia nella leghistissima Treviso e l’investimento maggiore nell’organico dello Iov di Castelfranco rispetto alla sede storica a Padova (tanto che nel dicembre 2019 lo scomparso consigliere regionale Claudio Sinigaglia, del Pd, aveva lamentato la situazione “allo stremo” del capoluogo patavino).

La lunga Hera bettiniana

Da ultimo, la cartina di sole dell’eterna spaccatura del centrosinistra sui temi ambientali: il potenziamento dell’inceneritore di San Lazzaro. La nuova linea, in sostituzione di due delle tre ormai invecchiate su cui preme l’emiliana Hera (che controlla la multiservizi AcegasApsAmga), ha fatto già scaldare gli animi. Non solo dell’opposizione, che con Bitonci ha messo il dito nella piaga, tanto da suscitare la scomposta reazione, nell’ordine, del vicesindaco Andrea Micalizzi (è la Regione, cioè il centrodestra, a dover rendere pubblici “quali quantitativi di rifiuti vuole conferire”), del Pd (Davide Tramarin, segretario cittadino: le soglie di rifiuti vengano “diminuite”), dell’assessore all’ambiente Chiara Gallani (“vogliamo prima conoscere il piano regionale dei rifiuti”) e infine, evidentemente ancora non soddisfatto, del sindaco, che sul Mattino dell’11 gennaio ha parlato di “avanspettacolo” e “polveroni”, trincerandosi persino dietro la campagna vaccinale e riassumendo la tesi difensiva: la maggioranza produrrà un documento “unitario”, ma la responsabilità cadrà comunque e soltanto su Zaia, che per quanto lo riguarda potrà anche approvare in solitaria il progetto. Uno scaricabarile in piena regola. Bisognerebbe chiedersi, invece, in che modo Giordani si avvalga dei rappresentanti del Comune in Hera (Alessandro Melcarne) e in AcegasApsAmga (Devis Casetta). In particolare del primo: ritenuto molto vicino a Massimo Bettin, è stato confermato nell’aprile 2020 nonostante all’ingresso nel board, nel 2017, la sua nomina avesse sconcertato tutti, a cominciare dallo stesso Pd e da quanti si interrogavano su come fosse possibile che finisse pure nel comitato esecutivo, nonostante Padova abbia solo il 3% delle quote. Secondo i beninformati, il ringraziamento va a Maurizio Martina, capo della corrente a cui appartiene Bettin. Non è peregrino, allora, concentrare l’attenzione su quest’ultimo: crocevia di tutte le alchimie che tengono in piedi l’assetto di potere a Palazzo Moroni, l’eminenza grigia che controlla il partito, controlla l’anticamera del sindaco, controlla il filtraggio delle notizie ai media, controlla gli equilibri di maggioranza, sarà l’uomo da tenere d’occhio per capire se Giordani succederà o meno a se stesso. Padovani permettendo, s’intende.