La necessità del rigore di Bilancio & Sviluppo ( di Marcello Degni)

Segnali positivi dalla Commissione Europea

Nell’ambito del workshop di presentazione di Progetto Civico Veneto tenutosi sabato l’8 febbraio scorso a Padova, al Prof. Marcello Degni era stato chiesto di illustrare ‘I vincoli di bilancio e il rigore nella gestione economico-finanziaria per la qualità della multilevel governance’, ovvero delineare il quadro conoscitivo, della Finanza Pubblica, necessario per rilanciare un programma di sviluppo del Paese e di regionalismo rafforzato che faccia i conti con le reali risorse finanziarie a disposizione.

Ne è emersa una comunicazione sorprendente: la complessità della materia è stata affrontata infatti immettendovi non solo ricchezza di informazioni, ma anche spunti di riflessione critica ed indicazioni operative su temi cruciali: la auspicabile e possibile flessibilità di bilancio europea (l’uscita dal ‘vincolo stupido’) deve essere accompagnata dal miglioramento della produttività fattoriale e dall’efficientamento dell’intera struttura pubblica, il processo decisionale non può prescindere dalla ‘democrazia cognitiva’, perchè la decisione di bilancio ‘deve essere guidata dalla verità e non dalla propaganda’.

Il testo che pubblichiamo di seguito è un insieme di argomentazioni dense e di rinvii al pensiero di molti autori importanti: la sua suddivisione in brevi capitoli ne consente una lettura ed una comprensione più agevoli (Presentazione di Dino Bertocco)


1. L’incontro di oggi casualmente attualizza questo contributo sulla governance finanziaria. La Commissione ha infatti deciso proprio in questi giorni di riaprire la discussione sul quadro di sorveglianza economica. In altre parole, il Patto di stabilità e crescita del 1997 si avvia, dopo le riforme del 2005 e del 2011 – 2013, verso una terza riforma. Si è aperto un dibattito, che si svilupperà per tutto il 2020, e che dovrebbe interessare molto la politica italiana. È a mio parere un’occasione importante, che l’Unione ha la possibilità di cogliere per favorire il suo rilancio e la sua popolarità tra i cittadini europei. Molte sono le cose da cambiare in Europa, ma l’integrazione delle politiche economiche è condizione necessaria, altrimenti non si va da nessuna parte.

2. Sono state date del Patto molte interpretazioni. Quella che mi ha convinto maggiormente e sulla quale mi sono più volte soffermato può essere riassunta con il “vincolo stupido”, la frase che Prodi pronunciò nel 2003 nell’intervista a Le Monde. Un patto stupido ma necessario. Nel vincolo sul disavanzo in realtà c’era, anche se molto implicita, la possibilità di finanziare le spese di investimento senza peggiorare il rapporto tra debito e prodotto lordo. La crescita reale immaginata alla fine degli anni Novanta del secolo scorso era plausibilmente intorno al 3 per cento e l’obiettivo monetario della BCE aveva come regola semplice un tasso di inflazione al 2. In quel contesto il finanziamento di spese in disavanzo fino al 3 per cento (gli investimenti pubblici appunto) non avrebbe peggiorato lo stock. Per questo nel 2005 si introdusse il saldo strutturale diversificato per ogni paese, non tanto, come si disse, perché gli stati erano aumentati con l’ingresso dei paesi dell’est. In realtà i policy maker del nord Europa avevano razionalizzato che quella crescita non era possibile e, ossessionati da un livello di debito potenzialmente crescente, hanno posto un vincolo più stretto, creando anche un forte problema cognitivo, per la difficoltà di calcolare in modo univoco l’MTO (Obiettivo di Medio Termine) e spiegare le metodologie applicate. Pensate che attualmente l’MTO dell’Italia fissato in origine a zero, al netto degli effetti del ciclo economico, è stato portato ad un avanzo di mezzo punto, per tenere conto della gobba previdenziale e dell’elevato debito.

3. Ma è con la grande crisi finanziaria che il Patto è ulteriormente modificato nel 2011 con il six pack e nel 2013 con il two pack. Se è stata positiva la maggiore integrazione delle politiche economiche, a partire dal semestre europeo e dai programmi nazionali di riforma, sicuramente distorta è stata la linea di irrigidire le politiche di bilancio per fronteggiare una crisi che (a parte la Grecia) non aveva in queste la causa originaria. Gli effetti sono stati quelli di forzare delle politiche pro-cicliche (cioè manovre correttive in fasi negative del ciclo) che hanno avuto effetti depressivi sulla crescita.

4. Per questo l’occasione di riforma del patto è molto importante. Le proposte per rilanciare l’Europa sono molteplici: detronizzare il Consiglio europeo e rivitalizzare il metodo comunitario; accettare un più elevato livello di redistribuzione tra stati tramite il bilancio UE (condivisione del debito, euro Bond, unione bancaria); reinterpretazione consensuale delle regole di bilancio; maggior discrezionalità nelle spese certificate di investimento; stimolo a ridurre il surplus eccessivo accumulato (Germania). Gli effetti della crisi e anche la Brexit rendono oggi questi obiettivi maggiormente aggredibili.

5. Sul fronte interno, in questo nuovo quadro potremo concentrare le energie sui rimedi per migliorare la produttività fattoriale italiana, la più bassa d’Europa, anziché dilaniarci in manovre correttive per recuperare qualche decimale. Anche se è chiaro che ciò potrà essere fatto solo con grande equilibrio da un paese con il terzo debito pubblico del mondo. Dal discorso di commiato di Draghi dalla BCE è del resto emerso un messaggio chiaro: i paesi con alto debito devono procedere nella stabilizzazione delle finanze pubbliche sfruttando la politica monetaria accomodante e quelli con basso debito, la Germania in primis, anziché arroccarsi sul saldo strutturale, devono investire di più e svolgere un ruolo di locomotiva del sistema europeo. Riforma del Patto non può significare pasti gratis, come ha provato a fare il governo giallo-verde con la prima versione della manovra per il 2019, rapidamente messa in soffitta (e pagata a caro prezzo in termini di servizio sul debito).

6. Il debito pubblico italiano è in senso negativo un potente elemento unificante, che spazza i federalismi destabilizzanti (quelli per intenderci basati sull’illusione del residuo fiscale), ma anche quelli cooperativi, fondati sul principio di sussidiarietà, il frutto più buono della riforma del 2001, che ne ha portati con sé molti indigesti, tra cui il legame tra gettito fiscale e territorio. La riduzione del rapporto debito PIL è quindi un problema dell’intero sistema multilivello e va affrontato essenzialmente agendo sul denominatore. Migliorare la produttività multifattoriale dell’Italia, la peggiore d’Europa, è quindi compito di tutti.

7. Non è un compito sempre oneroso o prevalentemente condizionato dalle risorse. Gli investimenti, in primo luogo, sono essenzialmente legati alla progettualità, alla capacità di esecuzione, alla burocrazia, al contezioso. Aspetti solo parzialmente legati alla disponibilità di risorse, molto più spesso connessi alla ripartizione delle competenze, alla adeguatezza delle procedure, alla consistenza dei progetti. Peraltro, sul finanziamento degli investimenti pur nella stretta camicia fino ad oggi indossata dal Patto gli spazi per un paese non interessato da procedure di infrazione (l’Italia è uscita dall’ultima nel 2012) erano ampi e lo saranno ancor più nella nuova governance che si sta delineando. È necessario anche in questo caso fare attenzione al debito, per non diventare il primo paese colpito da procedura d’infrazione per un livello eccessivo di stock, come stava per accadere alla fine del 2018.

8. C’è poi una dimensione tutta domestica della bassa produttività multifattoriale: l’inefficienza della pubblica amministrazione: età media elevata, scarsa formazione, organizzazione che non valorizza il merito, rapporto dipendenti pubblici popolazione molto basso, sovrapposizione delle competenze nel sistema multilivello, basso livello di digitalizzazione. Sono criticità che si riflettono negativamente sulla crescita e, se è sicuramente necessaria una dimensione nazionale dell’intervento, moltissimo è declinato sul territorio e molto richiede una dimensione di area vasta (basti pensare alla funzione di supporto al sistema degli enti locali).

9. C’è un secondo profilo che vorrei trattare in questo intervento: il rapporto tra decisione finanziaria, declinata nel sistema multilivello, e democrazia cognitiva. È un tema a mio avviso cruciale. «La democrazia o è cognitiva o non è» (De Ioanna). E’ il ragionamento di Habermas che possiamo riassumere in tre punti: dimensione cognitiva; valenza normativa del medium giuridico; importanza della solidarietà. La degenerazione patologica della modernità può essere evitata, se «la sostanza comunicativa dei mondi vitali viene preservata da una colonizzazione sistemica» da parte del medium economico-burocratico che tende ad invadere gli ambiti vitali (cultura, società, personalità). E questo argine può essere posto dalla “potenza discorsiva”, articolata in modo tale da garantire la formazione democratica della volontà collettiva.

10. In questo quadro si colloca il principio del discorso, secondo cui hanno validità soltanto delle «norme che tutti i potenziali interessati potrebbero approvare partecipando a discorsi razionali». Questo può generare una possibile ambiguità: da un lato la «ricerca cooperativa delle soluzioni migliori» e dall’altro la possibilità, prevista dal processo democratico, «che i cittadini facciano un uso distorto» dei «propri diritti comunicativi» (tensione fra piano normativo e descrittivo). La comunicazione deve rispettare alcuni requisiti: verità; sincerità; giustezza o correttezza normativa, anche se questo può suonare strano nel mondo delle fake news.

11. La democrazia ha un doppio binario: processi deliberativi istituzionalizzati e confronto informale tra individui, attraverso le ramificazioni dell’opinione pubblica nella società civile. Studi sperimentali e cognitivi sul ragionamento collettivo hanno confermato che il procedimento dialogico può portare a un miglioramento della democrazia (esempi la decisione di bilancio e la riorganizzazione delle aree interne). Sul modello discorsivo incide la razionalità limitata degli individui. Kahneman ci dice che le persone hanno pensieri veloci (automatici, istintivi, inconsapevoli) e pensieri lenti (riflessivi, meditati, logici) utili per lo sviluppo di un approccio cognitivo. E per migliorare le decisioni individuali e collettive è possibile agire con una «spinta gentile» come ci suggeriscono Thaler, Sunstein (economia comportamentale).

12. Se una deliberazione pubblica ha condotto a una certa conclusione, rispettando «tutte le condizioni di una comunicazione ideale» (il principio D habermasiano) deve considerarsi «giusta» o «legittima»? Come è stata tradotta all’interno «di una legittima procedura istituzionale»? Chi è il soggetto che giudica l’esito della procedura? Se sono tutti i partecipanti alla decisione come può l’esito essere definito ingiusto se la premessa è «l’accordo unanime di tutti i cittadini»? La risposta sta nel fatto che ci sono diverse possibili tipologie di discorso: discorsi pragmatici (ruolo della dimensione tecnica); discorso di natura etico-politica (rapporto tra mezzi e fini e natura dei beni pubblici); discorsi morali (giustezza di una soluzione rispetto ad un’altra). Questo intreccio può creare «collisioni» e ha bisogno di una regolazione giuridica. Il paradigma del discorso funziona sempre e permette di «cogliere e interpretare i processi reali e discernere la commistione empirica tra le diverse logiche di azione».

13. Ciò ci consente di inquadrare in questo schema la decisione di bilancio, che si configura come procedura conflittuale. Il fine ultimo della decisione di bilancio, in una società complessa, è quello di comporre interessi diversi e fisiologicamente confliggenti. Il bilancio è il luogo irriducibile della democrazia. La categoria del conflitto riveste un ruolo molto importante nella ricostruzione teorica del bilancio. Lo Stato ha a disposizione una certa quantità di risorse – le quali sono scarse per definizione – da utilizzare per la soddisfazione delle domande che «salgono dalla società nelle sue diverse articolazioni». Queste hanno interessi naturalmente contrastanti tra di loro. Il conflitto che connota la decisione di bilancio è coerente con la politica deliberativa di Habermas

14. Ma il bilancio è anche un manufatto complesso e implica un ruolo dei tecnici e una latitudine che deve essere lasciata alla loro sfera d’azione. Lo sviluppo della governance europea ha accentuato questo problema. Con effetti negativi: deperimento delle assemblee rappresentative in senso ratificatorio (la dimensione regionale è sotto questo profilo emblematica: governi monocratici); approccio nozionale nell’applicazione delle regole (economia come scienza dura). E’ necessario invece un rapporto equilibrato tra tecnica e politica: «la rappresentanza politica conosce, analizza, media, e infine sceglie sulla base delle analisi dei cosiddetti tecnici».

15. Quale ruolo per l’assemblea elettiva nella decisione di bilancio? Resta uno spazio significativo? Come deve essere gestito, per evitare una progressiva erosione? La riduzione degli spazi dell’attività politica nelle democrazie mature è evidente e «la difficoltà di una mediazione politica del conflitto sociale hanno suggerito il ricorso a meccanismi autoregolativi della società civile», come le autorità indipendenti (Luciani). Però le democrazie «esigono la freddezza delle passioni» ma anche «un pathos politico e un ethos pubblico». Tra questi due corni va ridefinito lo spazio del Parlamento che, se non può più rappresentare “nella sua interezza una società troppo complessa può almeno servire a darle forma politica”. La decisione di bilancio è molto importante, e il suo segmento parlamentare resta significativo. Si pone il problema di come gestire il processo con un approccio cognitivo adeguato. Il problema principale è la difficoltà a definire con largo anticipo rispetto al progetto di bilancio il quadro programmatico (differenza con gli altri paesi europei). Sulla carta queste innovazioni sono state indicate ma non si riesce ad implementarle. E pesano sull’intero sistema multilivello.

16. La democrazia, di cui la decisione di bilancio è il nocciolo duro, deve essere guidata dalla verità e non dalla propaganda. È necessario creare le condizioni affinché ogni cittadino prima di esprimersi “possa autonomamente farsi un’idea di ciò che succede. L’obiettivo ambizioso della democrazia deliberativa è la dimensione autoriflessiva della cittadinanza, della sfera pubblica” (formazione dell’opinione e della volontà civica, organizzata e tutelata dalla Costituzione). La decisione di bilancio deve recuperare questa dimensione, riaffermando un processo razionalizzato nel segmento parlamentare che consenta di uscire dal diritto provvisorio e potenziando l’azione di decodificazione, premessa per dare ai cittadini la possibilità di farsi un’idea. Un lavoro di lungo periodo e, in questi tempi, anche controcorrente.

Marcello Degni