Roberto D’Agostino: l’Urbanistica e le nostre comunità atrofizzate dalla “Macchina celibe di Duchamp”

Città e territorio alla ricerca di abitabilità e convivenza ordinata

Mi era rimasto un ricordo nitido di Roberto D’Agostino Assessore all’Urbanistica al tempo dell’Amministrazione comunale veneziana di Massimo Cacciari e successivamente di Paolo Costa: lo incrociavo con un fascio di cartelle sotto il braccio per le Calli di Venezia e ciò mi dava la piacevole sensazione di un Architetto che conosceva e praticava il territorio su cui immaginava e disegnava traiettorie di infrastrutturazione e qualificazione di una Città dalle fondamenta fragili ma anche fluida e sagomabile da menti e progettisti appassionati in grado di catturarne ed orientarne verso l’armonia ambientale l’energia estetica ed il fascino potenzialmente infiniti.

I pochi rudimenti storici e soprattutto l’osservazione incantata della struttura urbanistica cittadina e lagunare mi hanno sempre suggerito che l’attività di pianificazione in tale contesto abbia richiesto non solo competenze disciplinari eccezionali, ma anche uno sguardo profondo in grado di penetrare nelle fibre di un ordito delicato e complesso, leggendone sia i bisogni di consolidamento basilare che di cura dei delicati equilibri in balia della tensione determinata dal rapporto conflittuale, e talvolta rovinoso, tra terra e acque.

Ero curioso prima di tutto di rivederlo per trovare conferma dell’immagine che avevo coltivato di lui, ovvero di un Professionista, intellettuale ed amministratore, in grado di orientarmi a comprendere, anche sulla scorta della peculiare sensibilità esperienziale maturata nel Capoluogo di Regione, il degrado e le convulsioni urbanistiche della terra veneta.

Ci siamo incontrati nel suo Studio-Laboratorio collocato ‘naturalmente’ in quell’Opera che si propone come prolungamento logistico e proiezione postindustriale di Marghera, ovvero il VEGA – Parco Scientifico Tecnologico ed è bastato un breve scambio di convenevoli per incanalare il colloquio-intervista verso una discussione intensa, un confronto ravvicinato in cui l’emergere di una personalità con un background ragguardevole per ampiezza e grandezza di Ricerche, Studi e Realizzazioni, mi incoraggiava ad approfondire ed allargare lo spettro delle domande e degli argomenti da sottoporgli.

E’ così successo che l’asimmetria evidente di conoscenze tecnico-specialistiche, in particolare sulla questione al centro della mia richiesta di colloquio-intervista, non ha inficiato la disponibilità da parte del mio interlocutore di dipanare e condividere il canovaccio sul tema urbanistico che è diventato l’occasione per affrontare una riflessione a tutto tondo sulla regressione politico-culturale (in particolare della Sinistra) che ha aperto la strada (quando non coadiuvato) allo sfacelo della governance territoriale ed ambientale.

La prima domanda che ho posto è così stata: come si spiega la caduta verticale della cultura della Pianificazione nella nostra Regione, soppiantata nella stagione della Presidenza Galan dalla logica affaristica e dal Project financing ‘spontaneo’ ed in quella dell’Influencer (Zaia) da un sostanziale immobilismo? Oppure mettiamola così: se ti fosse chiesto di assumere la responsabilità di Assesssore regionale, come affronteresti la situazione paradossale di disordine e stallo?

Vasto programma, come si suol dire! Ti faccio un ragionamento tipicamente legato alla mia specifica competenza tecnico-professionale rafforzata da un’esperienza sul campo che mi ha portato a realizzare quasi un centinaio di Piani territoriali in tutta Italia. Anche se, lo preciso, considero l’approccio specialistico solo punto di partenza per sviluppare un ragionamento politico generale. Ebbene, se fossi Assessore cambierei immediatamente la Legge Urbanistica regionale, la cui ‘matrice’ risiede in una proposta dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) che trovò una sua prima traduzione nel ’95 in Toscana, per poi, a seguire, venire ‘applicata’ in tutto il Paese con le altre Regioni che si sono ‘adeguate’. Tale legislazione ha letteralmente comportato l’affossamento di ogni possibilità di fare urbanistica, che invece di rappresentare l’occasione ed il momento più alto della partecipazione democratica dei cittadini, dell’associazionismo professionale ed imprenditoriale, è stata trasformata in una sorta di ‘Macchina celibe” alla Duchamp!

Macchina celibe di Duchamp? L’affermazione mi sorprende e seppure paventando il significato della metafora, chiedo chiarimenti.

Intendo dire che l’Urbanistica è diventata un enigma, una procedura complicatissima ed inconcludente, che non produce nulla, anzi, nella sua declinazione peggiore dà vita alla ‘contrattazione’ nella fattispecie che al tempo delle inchieste su Ligresti e le amministrazioni milanesi è stata definita di ‘rito ambrosiano’.

In questo modo, commento io, viene meno la visione pubblica dello sviluppo (e degli interessi generali) soppiantata dall’irruzione degli Attori privati, interessati legittimamente ma disordinatamente ad imprimere sulle Città e sul Terrritorio il calco di Progetti, Disegni, Opere, senza alcuna valutazione della loro reale utilità, del loro impatto sociale ed ambientale? Penso a tal proposito la disseminazione di Ipermercati, la corsa immobiliare dei Capannoni, la ‘scoperta’ dei siti inquinanti, da un lato, e la vischiosità burocratico-amministrativa (unita all’incertezza interpretativa delle norme od al timore di procedere degli Amministratori locali) che ha rallentato e bloccato molte Infrastrutture reclamate dalle Comunità locali, oppure – attraverso il gioco dello scaricabarile dei tre cantoni (Ministero, Regione, Comune) – trovare approvazione Opere avversate dai territori (vedi la vicenda dei ‘Bomboloni gpl di Chioggia’).

Il Piano Urbanistico, nella tradizione italiana, prevedeva che l’Amministrazione pubblica – sulla base di una propria progettualità politica – disegnasse il futuro della Città e del Territorio, dettasse delle regole ed esplicitasse cosa e quanto era possibile fare ed edificare. Il tutto era assoggettato ad un iter che poteva sembrare lungo ma in realtà procedeva abbastanza tempestivamente, previa raccolta delle ‘osservazioni’ dei cittadini a ciascuno dei quali doveva essere data una risposta, per poi passare il Progetto agli Organi sovraordinati per l’approvazione definitiva. Si trattava di un processo fortemente democratico ed anche responsabilizzante sia per l’Ente pubblico che doveva dare risposte alle domande ed ai bisogni dei cittadini-operatori economici (dalla costruzione di un grande albergo a quella di un piccolo garage), sia per i cittadini-operatori economici stessi informati dello ‘spazio’ in cui potevano operare le loro scelte, immobiliari od infrastrutturali che fossero.’

In questo complicato quadro legislativo, come si è sviluppata la tua esperienza amministrativa nel Comune di Venezia?

Debbo fare innanzitutto alcune sottolineature: i PAT ed i PI sono espressione di strategie politiche delle Maggioranze che si affermano alternativamente alla guida degli Enti locali e conseguentemente hanno dei fisiologici limiti temporali, non possono essere eterni ed istituzionalizzati burocraticamente.

Attualmente l’approvazione dei Piani strutturali in Italia dura mediamente sette anni in ragione della saturazione di procedure che li fanno diventare complessi ed improbabili per una loro applicazione efficiente: costituiscono l’esatta rappresentazione della deformazione burocratica dello Stato italiano.

Tuttavie le spinte alle trasformazioni territoriali non si fermano e Venezia è piena di esempi: dal “vaso da notte gigantesco di Cardin, che tutti sapevano fosse una pura mossa pubblicitaria e non si sarebbe mai fatto, ma che ha tenuto impegnata l’Amministrazione per anni, al Compound alberghiero di Mestre per pendolari low cost. Questo fu realizzato non sulla base di un progetto di città bensì nacque dalla negoziazione tra Ente locale e quegli operatori che volevano sfruttare le rendite di posizione di Venezia.

Naturalmente in questa dialettica gli interessi delle componenti deboli della popolazione sono destinati ad essere trascurati e/o non presi in considerazione.

Nella stagione in cui l’urbanistica era una cosa seria, esprimeva visioni condivise della comunità urbana e tutelava gli interessi di tutti e di ciascuno, a Venezia sono state impostate e portate a termine straordinarie trasformazioni. Con i piani urbanistici, che mancavano dalla fine degli anni cinquanta, è stata scritta la “carta costituzionale della città”, vale a dire le regole e gli obiettivi su cui orientare le trasformazioni urbane e il disegno complessivo verso cui tendere. La nuova forma urbis prodotta da questo disegno è stata definita come “città bipolare”, non un centro e una periferia, ma una città d’acqua e una di terra con pari dignità. Da qui è stato possibile realizzare una serie di interventi di iniziativa pubblica o privata che sarebbe lungo elencare: dal Parco Scientifico e Tecnologica, al bosco di Mestre, al recupero della Giudecca attraverso ventisette progetti tra loro coordinati, al recupero di intere parti di città in laguna o in terraferma.

Tu metti in evidenza il rischio della sopraffazione dei bisogni dei soggetti sociali più fragili, ma non dovrebbero essere entrati ed entrare in gioco le Rappresentanze associative ed i Corpi intermedi ?

La loro funzione è entrata in crisi, è stata inficiata dall’indebolimento della Rappresentanza politica che è progressivamente venuta meno all’esercizio di un autorevole ruolo di indirizzo ed alla creazione di un’arena pubblica in cui rendere concreti e trasparenti i processi della concertazione e della deliberazione amministrativa.

Ed ineluttabilmente tale vuoto è stato rapidamente riempito dalla gestione clientelare e dal pressing delle lobbies più influenti che hanno prodotto il fenomeno della ‘mercificazione’ delle Città e dei Territori che sono sotto ai nostri occhi e la proliferazione di megaprogetti ispirati ed elaborati da Gruppi Immobiliari e Finanziari aggressivi….

Ma perché tutto ciò è avvenuto ed avviene dando la sensazione che le Istituzioni non siano in grado nemmeno di controllare ex post l’evoluzione, anzi l’involuzione delle scelte urbanistiche subite per una sorta di ‘sindrome di Stoccolma’…

La mia convinzione e constatazione è che, al netto delle perdite di tempo innescate dalla farraginosità burocratica, dei fatti e misfatti connessi ai fenomeni di corruzione e concussione acclarati, negli ultimi 20 anni la cultura urbanistica è stata progressivamente distrutta. Ne sono conseguenza e dimostrazione allo stesso tempo, alcune ‘patologie’ che si possono osservare e, per i Professionisti e le Società che operano nel mercato della consulenza e Progettazione, incontrare e constatare: il dumping fino al 50 % di sconto nelle Gare di Appalto, la carenza di Urbanisti skillati all’altezza delle sfide della complessità e tecnicalità crescente dell’attività di Pianificazione; ed inoltre il mismatching professionale è aggravato dalla crescente disoccupazione dei giovani Architetti per molti dei quali il mestiere – per responsabilità precipue dell’Università – si è impoverito fino a ridursi alla mera conoscenza delle procedure e manifestando incapacità a cimentarsi con il merito dei contenuti progettuali riguardanti i Piani urbanistici nello loro diverse scale e configurazioni.

Ciò che mi stai dicendo non è solo triste, ma ha un risvolto drammatico se penso allo stato comatoso di parti significative del territorio veneto, ovvero al degrado ambientale che lo caratterizza fino al punto di rappresentare in molti ambiti vere e proprie emergenze.

Purtroppo anche tali epifenomeni sono la conseguenza dei limiti congeniti nella legislazione e nella governance regionali che hanno previsto che i Piani, pur essendo di scala diversa, vengano trattati uniformemente cosicchè i Comuni minori che non possono contare al loro interno delle competenze tecniche e delle risorse professionali adeguate a fronteggiare questioni gravose, problematiche inedite ed inesplorate, di fatto si dimostrano miopi nella pianificazione ed impotenti nel controllo.

Pensa solo che la gestione delle normative vigenti in materia urbanistica richiedono l’entrata in gioco di un grande numero di figure esperte, dotate di know how ed expertise molto elevati.

Sicchè tutta una serie di valutazioni, analisi e controlli dovrebbero insistere in una struttura regionale in grado di orientare, supportare, garantire funzioni specialistiche a tutti gli Enti locali che ne sono privi e carenti: dalla carta geologica ai sistema informativo territoriale…

Se sgravi l’amministrazione locale dei burocratismi (cartografie, legende unificate, analisi inutili, ecc.) le consenti di arricchire le informazioni che realmente servono alla programmazione…

Nell’equilibrio dei rapporti tra Governance regionale e responsabilità amministrativa comunale, come Assessore al Comunedi Venezia hai dovuto fronteggiare l’innovazione urbanistica della ‘Città Metropolitana’, che proprio in questi giorni è ritornata sotto la luce dei riflettori per la Ricerca finanziata dalla Fondazione di Venezia e coordinata, vedi il caso, dal Prof. Paolo Costa che è stato Sindaco proprio al tuo fianco!

A Venezia è stata sperimentata l’adozione di un progetto di riorganizzazione amministrativa nel segno della sussidiarietà che ha trovato una coerente e concreta rappresentazione nel Piano Strategico Comunale con l’indicazione della ‘Città Metropolitana di Venezia’ come nuovo Ente di governo del territorio.

La costruzione di una effettiva città metropolitana a Venezia dotata di adeguati poteri amministrativi tuttavia incontra due ostacoli:

Il primo è rappresentato dalla Regione Veneto, da sempre ostile alla nascita di una nuova Istituzione locale dotata di poteri e di un ordine di grandezza esorbitanti dagli equilibri politici fino ad oggi riconosciuti.

Il secondo è quello di un pensiero, che definisco accademico, affezionato alla concezione della PATREVE secondo il quale viene privilegiata la funzione di integrazione delle funzioni, di connessione dei servizi innovativi e di coordinamento delle scelte infrastrutturali, sottovalutando l’importanza del governo unitario del territorio. Si confonde, a mio avviso, la città metropolitana, con l’area metropolitana di riferimento sottovalutando l’importanza cruciale della governance.

Ho ben presenti tali pre-giudizi: mi è capitato di analizzare la questione e scrivere un articolo in cui ho cercato di evidenziare il Progetto PATREVE sotto il profilo dei collegamenti, partnership e collaborazione tra le Agenzie e le Istituzioni (in particolare Università) chiamate ad operare attraverso Reti orientate a sostenere la domanda di servizi di Formazione, Ricerca ed innovazione tecnologica delle Imprese… Ma illustrami come avete risolto le contraddizioni.

Ci siamo mossi partendo dal presupposto (da me difeso e perseguito) che la Città Metropolitana è il luogo dello scambio quotidiano di relazioni: Scuola, Lavoro, Tempo libero, Servizi sociosanitari. Come hanno ampiamente dimostrato le ricerche di IRSEV E COSES (strutture sciaguratamente sciolte), si tratta di una realtà urbana composta da 23 Comuni con circa 600.000 abitanti. In attuazione del titolo quinto della Costituzione abbiamo tentato di dare vita ad una Grande Città Metropolitana con l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano, dotata di uno statuto che ne definisse poteri e funzionamento e articolata al suo interno in Municipi di dimensione analoga, (suddividendo in municipi anche il Comune di Venezia) in grado quindi di con-correre da protagonisti al Governo della nuova Città!

Il processo di formazione della nuova città, discusso in tutti i consigli comunali interessati, era giunto alla sua completa definizione tecnica e il Comune di Venezia si era riarticolato in Municipalità per predisporsi alle nuova organizzazione urbana, quando è subentrata la tornata amministrativa e la nuova amministrazione veneziana ha interrotto il processo in atto.

Resto un po’ basito a sentirti rievocare con rigore e puntiglio questa vicenda. Sto pensando alla telenovela del quinto Referendum per la separazione Venezia- Mestre che ci saremmo potuti risparmiare e che evidenzia come la ‘Macchina celibe’ e l’incompiutezza dei processi decisionali sono forieri di un disorientamento dei cittadini e di un disordine urbanistico che costituiscono un terreno fertile per la subcultura politica populista. Mi chiedo però come il flop della Città Metropolitana sia potuto accadere, pur potendo Venezia contare su due figure di spicco, due veri e propri leader della politica locale e nazionale, ovvero Massimo Cacciari e Paolo Costa (che ora riappare nella veste di ‘ricercatore’ proprio sul terreno che lo ha visto brillante amministratore). Ti confesso che il Capoluogo di Regione, con la straordinarietà che lo contraddistingue, avrebbe meritato ed ancor più oggi meriterebbe un ‘governo’ più risolutivo ed efficace su molte delle ‘sofferenze’ che continuano ad assillarlo.

Sono il primo ad aver presente il groviglio di nodi irrisolti che Venezia attende di vedere affrontati e che, come cittadino, professionista e appassionato dei problemi della città, continuano ad impegnarmi nello studio, nella progettazione e nella formulazione di proposte per trovare soluzioni concrete ed operative. Solo a titolo di esempio, di fronte alle proposte a mio avviso sbagliate sulla soluzione del problema delle grandi navi a Venezia, ho elaborato un progetto, depositato al Ministero e all’Autorità Portuale, per una nuova stazione marittima a Marghera che è ormai assunto come il più fattibile da tutte le autorità competenti. Sarebbe troppo lungo parlare di quanto fatto per l’Arsenale e dei costanti interventi pubblici sui problemi della città.

In merito agli esiti della vicenda della città metropolitana, non va scordato il lavoro svolto con le sindacature che hai citato.

Massimo Cacciari è stato protagonista di una fase amministrativa straordinaria con l’immissione in città di una molteplicità di idee e realizzazioni i cui effetti sono stati ben visibili e riconosciuti dalla popolazione che lo ha portato alla rielezione per il secondo mandato con il 66 % di consenso! Lo stesso Costa ha inseguito e innovato questo processo.

Certo, sul completamento dell’iter per la Città Metropolitana hanno pesato, esprimendo una valutazione expost sicuramente parziale, e che meriterebbe un approfondimento specifico, da un lato una certa stanchezza ed anche delle perplessità di due Sindaci che si sono dovuti cimentare con un ‘carico’ di responsabilità politiche e ruoli istituzionali davvero complesso: Cacciari con la candidatura alla Presidenza della Regione Veneto e con quella necessitata a fortiori dal dover rimediare al ‘pasticcio Casson’ (su cui è meglio stendere un velo pietoso) e Costa coinvolto da una pluralità di interessi e ‘proiezioni’ nazionali (Ministero Infrastrutture) ed europee (incarico di Commissario) che ne hanno depotenziato l’impegno e la focalizzazione sui dossier scottanti della Città, che conseguentemente si sono trascinati determinando un ‘disordine’ urbanistico (e non solo) che persiste.

Ma, mi dicevi che la tua attenzione ed il tuo impegno per la città restano immutati!

Premetto che l’ambito della mia attività professionale e scientifica, anche in ragione del decadimento che il mestiere di urbanista ha subito in Italia nell’ultimo ventennio per le ragioni ricordate, si è spostata ed allargata nel Mondo. Per dirti, è molto più gratificante operare per l’Unione Europea e la Banca Mondiale sui progetti nei quali intravvedi la possibilità di portare dei cambiamenti migliorativi in realtà fortemente problematiche – dai Paesi sulla strada dello Sviluppo (Uruguay, Paraguay), della Rinascita postbellica (Iraq, Mozambico), della Modernizzazione (Cina) – che angustiarsi nel doversi scontrare con leadership politiche e burocrazie di Città e Regioni italiane prive della passione civica e della visione del futuro che sono connotati essenziali per impostare la pianificazione urbanistica.

Ciononostante l’attrazione ed i vincoli politici e professionali che mi legano a Venezia esercitano una pressione costante e ciò ha determinato la decisione, in prossimità della scadenza delle elezioni amministrative, di collaborare alla stesura di un programma nel quale si cercano di indicare visioni alternative al processo in atto di svuotamento culturale della Città.

Anche perché le condizioni per individuare e realizzare tali visioni ci sono tutte. La stessa crisi che attanaglia il mondo da oltre un decennio e che non finisce, indica le linee su cui Venezia potrebbe muoversi con successo.

Nei temi dello Sviluppo sostenibile e dell’ambiente, quelli della cultura e del patrimonio e quelli del turismo, che sono, accanto allo sviluppo dell’economia immateriale, i temi portanti della futura crescita economica a livello mondiale, Venezia è già leader e possiede delle enormi potenzialità. Sempre che ci siano soggetti politici e culturali che orientino la città su questi aspetti produttivi e non continuino nel processo di mercificazione in atto.

A questo punto della nostra chiacchierata, dico io ‘vasto programma’! La tua è una generosa ed illuminata offerta alla Città di idee, proposte e finanche indicazioni operative, ma non sottovaluti che la sua adozione e la sua promozione richiedono cultura politica e leadership di cui non vediamo (entrambi) tracce? Ti faccio questa osservazione perché, come ti ho segnalato questa intervista viene pubblicata su un webmagazine rivolta ad alimentare il rinnovamento etico-civile ed una ‘mobilitazione cognitiva’ nella società veneta colpita dal disorientamento epistemico della sua classe dirigente….

Tu mi inviti ad aprire un altro capitolo della riflessione, che, con una semplificazione politico-storiografica potremmo titolare: ‘Crisi identitaria e culturale della Sinistra, da Occhetto a Renzi’. Sempre più difficile!

Il colloquio-intervista con Roberto D’Agostino è quindi proseguito proprio con la ricerca, che appassiona entrambi, di cogliere la stretta relazione esistente tra l’abbandono (quando non la degenerazione) della ‘governance urbanistica’ ed il declino irreversibile della Rappresentanza politica, in particolare della cultura progettuale di una Sinistra che ha lasciato campo libero all’incursione delle corporazioni e delle lobbies nel tessuto delle città e non si è assunto il compito di tutelare i bisogni sociali popolari, di residenzialità, sicurezza, benessere ambientale.

L’articolo che ne dà conto verrà pubblicato prossimamente.

Dino Bertocco