Veneto: una Regione senza Governo. Intervista a Franco Frigo

La razionalità politica e la programmazione regionale svuotate dal pensiero debole e dalla propaganda irresponsabile. Intervista a Franco Frigo.

Discutere con Franco Frigo costituisce un esercizio impegnativo, anche per un suo osservatore, frequentatore (ed aggiungo amico) di lungo corso: ancor di più per un’intervista sullo stato di salute di una ‘creatura’ che gli sta particolarmente a cuore e che ha costituito – sin dalla sua adolescenza – l’oggetto di un amore ostinato, di un interesse scientifico e professionale prima ancora che politico, ovvero la Comunità del Veneto.

Con una sottolineatura doverosa: la sua caratteristica peculiare è di rappresentare, nella contemporaneità politica connotata dalla superficialità ed estemporaneità della comunicazione propagandistica, una ostinata personificazione della figura retorica dell’ossimoro, ovvero la ‘pretesa’ di coniugare leadership e competenza, visione ed azione pragmatica, progetto e scelte operative concrete.

Ho avuto la fortuna di seguire il suo percorso politico nei molti tornanti di una carriera che lo ha visto protagonista di prima fila nello scacchiere regionale: Consigliere comunale nella sua amata terra cittadellese e poi Presidente della Provincia di Padova, fino ad approdare al Consiglio regionale, Assemblea che lo ha eletto Presidente della Giunta nel 1992 – incarico cessato traumaticamente – e che ha calcato per quattro legislature.

Nel suo curriculum anche l’esperienza di europarlamentare, vissuta, seppur per un periodo limitato, con un’intensità e prolificità di iniziative, frequentazioni e collaborazioni molto apprezzate da numerosi stakeholder.

Ma per comprendere la tempra e la lunga gittata della sua ‘militanza professionale’ bisogna ri-conoscerne la ‘formazione’ nell’ambito della generazione di giovani democristiani che si fece interprete operosa dell’ansia rinnovatrice che negli anni ’70 si è travasata dall’associazionismo culturale e sociale ai luoghi della rappresentanza politico-istituzionale.

In essi vi ha immesso quel plus di partecipazione democratica, innovazione legislativa ed espansione dei diritti sociali ancorati ad una visione generale sovraordinata alla cura degli interessi particolari, ed ostile alla pura rappresentanza delle lobbies che avevano cominciato ad esercitare una pressione ‘vigorosa’ e talvolta indebita nelle stanze delle acerbe amministrazioni locali ed in quelle aperte da pochi lustri dei Palazzi veneziani.

Ed è proprio a Palazzo Balbi che, mentre – da poco assunta la carica di Presidente della Regione – si apprestava a diventare il leader di uno schieramento con la vocazione (e la necessità) di imprimere un’azione riformatrice per l’Istituzione regionale, i proiettili vaganti di un’inchiesta ‘viziata’ lo hanno colpito di striscio (erano i tempi in cui l’avviso di garanzia era un’arma impropria usata dai Magistrati e dagli avversari politici) interrompendo – ma non spezzando – la elaborazione di una visione e di un progetto di rinnovamento del Veneto.

Fare luce su quella pagina oscura ci aiuta a comprendere come, perché e chi nella vicenda kafkiana e paradossale della Tangentopoli veneta è incorso nei rigori della legge, ha subito un ingiusto trattamento e –addirittura – ha tratto dei vantaggi.

In quel contesto, infatti, attraverso l’azione giudiziaria si è colpito ‘anche’ un uomo che era giunto al vertice dell’Istituzione in quanto alfiere di una battaglia a viso aperto di contrasto alle componenti politiche ed economiche dominanti che connotavano la loro azione ed i loro propositi con un uso spregiudicato delle funzioni pubbliche.

Non è l’occasione per una rivisitazione storiografica di quel periodo; ci basta solo sottolineare che solo un paio d’anni dopo l’apertura dell’inchiesta che ebbe l’effetto collaterale di interrompere traumaticamente il tentativo di cambiamento di equilibri e di programmi, ecco sbucare e sorprendere una leadership populista che occuperà per un quarto di secolo (da Galan a Zaia) la postazione di governo di Palazzo Balbi.

Con quali effetti? domando, per cominciare, a Franco

Ora lo vediamo con maggiore chiarezza, perché alle elezioni del ’94 si afferma un parvenù che pur dovendo la sua forza e rappresentatività alle vecchie componenti partitiche scampate alle ‘retate’, è interpretato come una novità, rafforzata dalla asserita vocazione liberale. In realtà la strategia che verrà adottata e realizzata sarà di operare una discontinuità con la precedente stagione, evitando il faticoso lavoro democratico di cucitura e concertazione di interessi ed istituzioni che io ed i miei amici avevamo prefigurato.

Viene progressivamente instaurato un modello di governance sostanzialmente autocratico e fondato su una novità per così dire metodologica: la lettura ‘sondaggistica’ delle domande sociali diventava sostitutiva del confronto politico e propedeutica a costruire provvedimenti pensati, sostenuti e ritenuti convenienti dalle forze economico-produttive prevalenti, quando non esplicitamente sovrastanti gli interessi generali.

Ho ben presente quella ‘svolta’ , anche per esperienza diretta, e tutto sommato essa sembrò ai più rappresentare un efficientamento del vecchio e stantio rito democristiano di gestione del potere

In parte sì, bisogna riconoscerlo. Ma nel momento in cui prevaleva l’esigenza di personalizzazione (ricordi quell’autoinvestitura de ‘Il Nordest sono io’?) il processo decisionale democratico basato sulla laboriosa composizione di opinioni ed interessi, veniva progressivamente svuotato ed asservito a Gruppi privati che potevano negoziare direttamente con il Presidente, o per meglio dire barattare, scelte e provvedimenti che avrebbero dovuto passare attraverso il filtro dell’Aula consiliare, il coinvolgimento degli Enti locali, il processo di consultazione e partecipazione dei cittadini adeguatamente informati e responsabilizzati sulle questioni settoriali e/o territoriali che fossero.

Ma con tali procedure i tempi decisionali si sarebbero allungati rendendo ancora più impazienti e delusi stakeholder ed i cittadini stessi

Non è proprio così! Bisogna sfatare il pregiudizio della lentezza dei procedimenti amministrativi ed istituzionali: posso portarti numerosi esempi di Opere pubbliche intralciate e ritardate strumentalmente, cioè in ragione della mancata volontà politica dei vertici regionali di mettere mano con la tempestività resa praticabile dalle stesse procedure vigenti, alle modifiche normative regolamentari utili e necessarie per sveltire l’attuazione dei provvedimenti legislativi.

Perché questo mascherato boicotaggio dei procedimenti formali?

Dovremmo averlo capito ad abundantiam, anche se in chiave retrospettiva, osservando la fenomenologia politica del populismo italiano in azione sia a livello nazionale che regionale.

Sotto la superficie della retorica della liberalizzazione propugnata dal suo titolare in primis (Silvio Berlusconi) e dallo stesso Galan, abbiamo assistito alla destrutturazione, in molti casi motivata, dell’impianto burocratico, per incubare non un’auspicabile economia sociale di mercato, bensì per veicolare una strategia che privilegiava filiere economiche e vecchie corporazioni alla ricerca di padrini e protezioni per tutelarsi e non certo per partecipare ad una più stringente competizione ed aumento della produttività di Sistema.

Beh, sul bluff della ‘via liberale allo sviluppo’ di Galan abbiamo potuto leggere verità, diciamo imbarazzanti, sui libri di Renzo Mazzaro, che ci hanno rivelato il carattere chiuso ed autoreferenziale delle cordate imprenditoriali che hanno supportato la sua Presidenza!

Non ho mai avuto un atteggiamento pregiudizievole nei confronti della strategia di Galan, così come non leggo oggi le sue scelte con ‘occhiali giudiziari’ : ho sempre osservato il suo per certi versi ragionevole tentativo di coadiuvare il rafforzamento, per esempio con il Project financing, di un sistema di Imprese in grado di esercitare un ruolo di primo piano nel mercato locale e nazionale, ma ho dovuto riscontrare che l’output delle sue operazioni portate avanti spregiudicatamente, è stato di far crescere il potere, monopolistico ed interdittivo alla concorrenza, di un ‘cerchio magico’ , con la conseguenza nefasta, da un lato di far lievitare i costi degli appalti assoggettati ai sovrapprezzi delle Imprese e dall’altro di favorire la concussione e la corruzione.

La Magistratura ha fatto molta luce sul malaffare, ma non ti sembra che (tutto) il ceto politico regionale abbia finora preferito bypassare il recente periodo storico e non riflettere, al di là delle colpe e responsabilità personali accertate, sui meccanismi che hanno generato e consentito la degenerazione della Governance regionale; e soprattutto continua a non ragionare, evita di vedere le conseguenze che tuttora pesano della dissennata ‘gestione Galan’?

Hai messo insieme due domande ‘impossibili’: esiste un’asimmetria che rende impraticabile il confronto tra una stagione egemonizzata da un pensiero che si è rivelato menzognero, denso di incognite e malversazioni, ma anche ricco di opere, suggestioni, progettualità, seppur dispendiose (gestione Galan) con una caratterizzata dalla rinuncia tout court a pensare ed a realizzare una discontinuità: per una ragione comprensibile, l’imbarazzo di aver condiviso, magari obtorto collo, tutte le malefatte precedenti e per di più non sapere come uscire dal cono d’ombra in cui la Regione è entrata con lo svuotamento di una riconoscibile e riconosciuta funzione di guida dei processi di trasformazione socioeconomica in atto e delle contraddizioni esplosive accumulatesi (gestione Zaia).

Ecco, veniamo però al punto che qui ci interessa dipanare: entrambi non siamo appassionati ad esprimere giudizi malevoli o superficiali sui nostri due ultimi Presidenti, bensì ci accomuna il desiderio di comprendere ed affrontare il groviglio di questioni irrisolte, emergenze, controversie insanabili, scandali sottaciuti, insomma l’eredità di un quarto di secolo in cui la cultura politica dei Partiti che hanno dato vita al primo Regionalismo (come argutamente sottolineato nel libro curato da Paolo Feltrin in memoria di Franco Cremonese) è stata soppiantata dalla subcultura di un’alleanza di Governo il cui collante era ed è costituito dalla moltiplicazione degli strumenti e delle occasioni per erogare elargizioni, dalla affannosa gestione di scambi clientelar-elettorali, che oscurano la visione prospettica e la cura degli interessi generali della Comunità regionale

Sarebbe presuntuoso da parte mia dare una risposta compiuta alle molte ed intrecciate questioni che oggi stanno di fronte non solo ai detentori del ‘potere regionale’, ma sollevano interrogativi e responsabilità per l’intero ceto politico, amministrativo, imprenditoriale che – in fin dei conti – ha compartecipato o subito passivamente quella che, senza sconti diplomatici, è stata definita ‘malagestione’. Posso però suggerire una chiave interpretativa del nostro passato che aiuti tutti a comprendere e progettare una possibile rinascita.

Partirei dalla necessità di rielaborare un nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento che focalizzi ed individui strumenti di intervento innovativi per il ‘Dossier infrastrutture’ mancate, ritardate, boicottate

per una serie di concause e responsabilità diffuse e che ci hanno fatto accumulare un gap realizzativo impressionante ed invisibile a chi ha una visione del territorio che si ferma sulle Colline del Prosecco.

Si tratta di un’operazione corale che chiama in causa sensibilità, competenze tecnico-scientifiche, visioni convergenti in grado di far superare la conflittualità endemica che ha originato la competizione patologica tra aree territoriali, tra Imprese, tra Associazioni e che, in ultima istanza ha determinato un impoverimento generale delle capacità progettuali e responsabilità realizzative per le piccole e grandi Opere pubbliche.

Tutto ciò, osservo io, ha ricadute pesanti su un PIL regionale …

Bisogna valutare questa ‘svolta’ non solo sotto il profilo dello sviluppo cantieristico, importante e di immediata evidenza per il mondo imprenditoriale, bensì come ‘leva’ per affrontare la ‘rigenerazione territoriale ed urbana’, fondamentale passaggio per la razionalizzazione ed accelerazione della mobilità, far respirare le Città capoluogo (come per esempio Padova e Verona) asfissiate dal traffico e da nodi (ferroviari) irrisolti, completare linee di collegamento stradale e connessione digitale per supportare la dinamicità e l’innovazione delle Imprese…

Molto ragionevole, persino realistico e praticabile, ma quali sono le difficoltà che intravvedi?

( e qui, debbo annotare, il volto del mio interlocutore si fa serio e volge al pessimismo)

E’ necessario sconfiggere la miopia che fa sottovalutare la complessità della questione territoriale: essa costituisce un coacervo di scelte che debbono essere viste nel loro insieme, intrecciate ed integrate: fisco, giurisdizione, innovazione tecnologica non possono marciare per funzioni ed obiettivi separati…

E poi bisogna tener presente che ri-entrare dopo decenni di abbandono nell’ambito della Pianificazione strategica significa adottare un cambio di paradigma nell’interpretazione e gestione dei vettori dell’innovazione tecnologica.

Ripensare per esempio in chiave di sostenibilità il futuro dello sviluppo regionale è giusto e corretto dal punto di vista culturale, ma del tutto insufficiente e distorsivo se per realizzarla si adottano ‘modelli di pensiero lineari’ , del tutto inadeguati ed inappropriati in un tempo di cambiamenti rapidi, ripetuti e di sterzate succedanee che mettono in discussione scelte precedenti.

Si possono fare molti esempi, ma ne indico un paio di sostanziali: a) stiamo pensando all’irruzione del car sharing per autovetture a guida autonoma collegate ad app dedicate che modificherà i flussi della mobilità?; b) se prevale l’orientamento politico ‘vietare nuovo consumo di territorio’, come la mettiamo con l’esigenza di completamento di una tangenziale o, vedi caso, di realizzare l’indispensabile raddoppio della Statale del Santo?

Bella sfida, perfino entusiasmante. Con quale (nuova) classe dirigente?

Intanto dobbiamo convincere i nostri concittadini che i ‘buchi neri’ del nostro sviluppo sociale ed economico sono addebitabili a delle precise responsabilità personali e politiche.

Sono stati l’impreparazione coniugata con la disonestà, l’inazione provocata dall’ignavia ed il velleitarismo insipiente del ‘noi siamo i più bravi’ a produrre una serie di disastri tanto gravi quanto ormai associabili al mancato esercizio di responsabilità da parte degli ultimi due Governatori, del loro entourage e della loro corte di consulenti e supporter: fallimento delle Popolari, collasso ambientale, PFAS, emergenza sanitaria per la carenza di medici, emigrazione di giovani, non sono ‘disgrazie’ bensì la risultante di imperizia ed incompetenza mascherate da una propaganda stucchevole.

Ma la parte ri-costruens chi riguarda?

E’ assodato che il profilo politico di Luca Zaia non è sicuramente convincente ed all’altezza delle dure prove che aspettano la governance regionale; a tal proposito, senza entrare nel merito della querelle sull’Autonomia, mi limito a constatare che un aspirante leader politico, acquattato ed indeciso a tutto per non compromettere il proprio consenso, mostra una contraddittorietà imbarazzante nel richiedere maggiori poteri quando ha palesemente dimostrato di non essere in grado di gestire neppure la ‘decisionalità politica’ che gli è già affidata.

Ma a parte questa considerazione su una figura espressione di un tempo in cui è prevalsa la comunicazione sull’azione, il Veneto oggi reclama leader, in tutti gli ambiti della rappresentanza politica, associativa e culturale, che sentano la vocazione di dedicare una parte del loro tempo, della loro passione e, per coloro che ne hanno disponibilità, anche delle risorse finanziarie, per alimentare riflessione critica, formazione alle competenze, partecipazione dei cittadini, finalizzate a produrre la consapevolezza necessaria per una governabilità della nostra Regione in cui sia bandita la faziosità e prevalga la razionalità dell’argomentare, la qualità dei programmi, la condivisione dell’innovazione necessaria.

Con un’avvertenza: su molte delle questioni che abbiamo brevemente delineato in questa nostra chiacchierata, la soluzione non si trova solo a Venezia (nemmeno con maggiore Autonomia), bensì nelle Sedi e nelle Strutture nazionali che esercitano poteri reali e che compete alle rappresentanze parlamentari individuare, mobilitare, coinvolgere per il Bene della nostra Comunità regionale. Faccio un solo esempio, riguardante l’annoso problema del ‘parco capannoni dismessi’: è inimmaginabile una soluzione efficace per una loro riqualificazione e nuova destinazione senza misure fiscali appropriate ed un Fondo dedicato dalla Cassa Depositi e Prestiti; ma anche altri ‘rebus’ irrisolti, urbani e territoriali possono e debbono essere affrontati con un quid di creatività e di risorse attinte fuori dai confini comunali e regionali (potrei citare casi specifici, ma non voglio invadere il campo di Assessori e Dirigenti angustiati dalla penuria finanziaria, ma anche privi di competenze adeguate).

Ecco, siamo giunti alla domanda finale che riguarda proprio le competenze. Che si può fare?

Se dovessimo far di conto sugli ‘addetti’ al lavoro politico attuali nei i vari ambiti e livelli, la partita sarebbe proibitiva, ma se i Partiti e le Formazioni del Civismo impegnate a livello amministrativo si orientano ad investire ed a relazionarsi con umiltà e generosità al mondo della Ricerca, delle Professioni e della Cultura, ne può nascere una ‘contaminazione’ positiva generatrice di quella conoscenza dei nuovi saperi e dei nuovi linguaggi fondamentali per la elaborazione dei programmi a cui abbiamo accennato.

Ma tale lavorio sarà inefficace e ininfluente se non accompagnato da un processo di partecipazione dei cittadini per i quali debbono essere previsti luoghi e momenti in cui l’informazione ed il dibattito democratico diventino ingredienti basici dei processi decisionali e consentano di avviare una responsabilizzazione popolare più diffusa, vera alternativa al populismo chiacchierone ed inconcludente alimentato per mascherare i fallimenti ormai acclarati.

Salutiamo il nostro interlocutore, e dopo averlo ringraziato doverosamente per il contributo davvero prezioso che ci ha dato, gli segnaliamo che il webmagazine che pubblica l’intervista è impegnato a dare il proprio contributo di ‘generazione e diffusione della conoscenza’ proprio per arricchire il dibattito per l’Agenda politica regionale….

E’ un’affermazione che apre il capitolo doloroso e cruciale dello stato miserando di molti Istituti, Fondazioni, Enti di Ricerca sottofinanziati, deficitari di strutture e risorse per espletare dignitosamente ed efficacemente la loro mission: commentiamo all’unisono che questo è un altro ‘buco nero’ lasciatoci in eredità da Rappresentanti di un potere regionale più dotato di arroganza che di intelligenza.

Ci diciamo che ciò costituisce una ragione in più per progettare e perseguire una Governance alternativa.

Dino Bertocco