Il PD del Veneto approva e pratica regole “cinesi” per la carica di Segretario Regionale

Furto di legalità partecipativa a cura del Partito Democratico in Veneto.


Colloquio-intervista con Enzo De Biasi – Prima parte

Quello che pubblichiamo in due puntate è il resoconto di un lungo colloquio-confronto che si è snodato nel corso degli ultimi tre mesi di ‘osservazione partecipata’ al percorso congressuale del Pd veneto e della crescente amarezza nel constatare i passaggi della (studiata a tavolino) operazione di annichilimento del processo democratico attraverso la predisposizione di un regolamento e della sua applicazione tradotti in un boicottaggio sistematico che ha, in modo strumentale e illegittimo, impedito una competizione elettorale e l’apertura di un dibattito trasparente su programmi e leadership per il rinnovamento di un Partito logorato da troppi anni di malagestione.

Il testo riproduce le informazioni e le considerazioni tratte dall’esperienza diretta di Enzo De Biasi, nella sua qualità di rappresentante della candidata Laura Puppato al Congresso regionale del Pd veneto che, come ormai è risaputo, si è vista respingere la possibilità di partecipare alla competizione elettorale con Andrea Martella, candidato rimasto unico e che sarà verosimilmente “proclamato” Segretario Regionale a gennaio 2022.

Pertanto esso mira principalmente a capire le regole, le modalità e le procedure previste dal regolamento che hanno sortito un esito, a dir poco, sconcertante e che ‘fotografa’ il dissolvimento di valori e regole basiche che riteniamo fondativi.

Si tratta di un documento per molti versi sconvolgente, ma elaborato non tanto e non solo per certificare l’ossimoro di un partito che si definisce democratico senza praticarne i principi elementari, bensì per indicare una sorta di grammatica politico-culturale che dovrebbe orientare la struttura e la funzionalità di ogni formazione politica ispirata dalla Costituzione

L’intento è quindi di far emergere le distorsioni del percorso congressuale piddino veneto per farne oggetto di una riflessione e di una discussione più generale sui limiti e le contraddizioni della (mancata) partecipazione democratica dei cittadini – evidenziata dal patologico astensionismo elettorale – e su una innovativa progettualità per dare gambe più robuste alla visione ed alla Organizzazione delle forze di ispirazione liberaldemocratica e riformista.


Cominciamo proprio dal Regolamento: come è stato elaborato e adottato?

Prima di parlare del regolamento, importante ma pur sempre un dettaglio operativo, occorre rivolgere l’attenzione al quadro d’insieme che abbiamo di fronte in questa regione a forte leadership conservatrice. In siffatto panorama, va inserito come sta e giace oggi il Partito Democratico e cercare di capire perché esso è sempre meno capace di attrarre l’elettorato. Una delle ragioni di fondo, a mio modesto avviso, è che il personale politico in auge al momento della fusione tra la componente DC-sinistra e PCI-riformista, principali affluenti del PD nazionale costituito nel 2007, ha mantenuto il potere di guida e rappresentanza istituzionale fin quasi ai giorni nostri, senza alcuna seria autocritica a mano a mano che si perdevano fette cospicue di categorie sociali e cittadini favorevolmente orientati verso il Centro Sinistra.

La nomenclatura, soprattutto nella scelta dei posti in lista nei collegi ‘sicuri’ per un posto al sole su scala regionale, nazionale ed europea non è mai mancata all’appuntamento.

Ogni tanto qualche new entry, ma più per casualità o palesi sottovalutazioni.

Trascorsi 14 anni dalla fondazione, alla domanda cosa farà da grande il PD, la risposta è piuttosto semplice ed amara: non è una questione in cima alla lista delle priorità. La controprova? Non è un caso che Veltroni, Bersani e Renzi non facciano più parte della compagine. Certo, le ragioni degli abbandoni dei tre ed unici Segretari Nazionali competenti ed incisivi nella breve vita del partito sono differenti, ma c’è il dato del consenso che deve (dovrebbe) far riflettere.

Il Pd ha avuto successo con Veltroni raccogliendo il 33% dei voti a livello nazionale, poi con Bersani è sceso al 25% e quindi con Renzi al 18 %. Ad ogni cambio significativo di strategia e di regia il gradimento è calato di un meno 7/8 per cento. Oggi, il Pd è quotato attorno al 20%.

Sulla stessa fascia del 15/20 per cento stando ai sondaggi sulle intenzioni di voto, insistono altre tre formazioni politiche che aggregate in coalizione o di Csx o di Cdx, non hanno la certezza di poter arrivare al governo del Paese. Il percorso è dunque accidentato e lungo, anche se fosse il prossimo anno, l’opinione pubblica è frastornata, l’imponderabile è dietro l’angolo.

Calandoci in Veneto, suggerisco la lettura di un bell’articolo, efficace nella sua sintetica descrizione dell’ “l’insostenibile pallore dei rappresentanti veneti al Governo”, che evidenzia le esigenze reali del Veneto a fronte delle flebili soluzioni della classe politica regionale più stagionata, ma da anni parte attrice sul palcoscenico reale e mediatico. *

La politica, come qualsiasi altra attività umana profit o no-profit, è misurabile anche attraverso i numeri che indicano lo stato di salute di un organismo e fanno presumere se l’entità in questione avrà filo da tessere per il futuro prossimo immediato o di medio termine.

Spariti dalla circolazione i partiti della prima repubblica, alla prima competizione elettorale a livello regionale il Centro Sinistra nel 1995, rispetto al Centro destra, arrivò secondo per poco meno di 6 punti percentuali (5.9%): 32.3 % voti presi da Ettore Bentsik e 38.2 da Giancarlo Galan.

Buon risultato, ma purtroppo non più ripetuto, né tantomeno migliorato! La Regione del Veneto poteva (avrebbe potuto) essere contendibile, se la coalizione perdente nel quinquennio successivo si fosse preoccupata e occupata di organizzare il “campo largo del Csx” (coincidenza! trascorsi ventisei anni, il nickname è lo stesso tornato in voga oggi) elaborando programmi alternativi, formando potenziali Consiglieri all’altezza del compito ed infine, non trovandosi sempre all’ultimo momento utile per decidere il proprio competitor alternativo al Cdx per la Presidenza.

La domanda sorge spontanea: a chi spettava fare tutto questo?

All’iscritto del circolo di Ponso in provincia di Padova? Oppure alla classe dirigente espressa dal Veneto ed al potere sia a livello nazionale che regionale? Già, a chi?

La partenza (1995) fu promettente, il seguito una costante, continua ed incessante perdita di appeal verso il popolo votante centro-sinistra in questa regione. Chi tra gli esponenti istituzionali ‘importanti ed influenti’ ha mai fatto un passo indietro in questi due decenni, per dedicarsi interamente alle cure del neonato e vacillante partito dimostratosi in Veneto incapace di trattenere i consensi acquisiti e di incrementare la penetrazione nella società regionale?

Tutti esperti nell’arte del saper fare e confezionarsi il proprio abitino taylor made. In effetti, il PD è stato (è) come un taxi con taxista incorporato. Se con l’andar del tempo, il motore arranca, l’impianto luci funziona poco, il conducente ogni tanto s’addormenta, l’acceleratore o i freni non sempre rispondono bene all’occorrenza, considerato il suo utilizzo a cadenza periodica ‘una tantum’ (in periodo di elezioni), la fiducia resta immutata: “senz’altro il PD ce la farà (potrà servirmi) anche questa ed ancora un’altra volta”.

A questo punto è interessante verificare cosa ha prodotto una tale filosofia ‘utilitaristica’.

I risultati di questa rilevante carenza d’impostazione progettuale, voluta e perseguita negli anni dagli oligarchi correntizi, sono oramai acquisiti agli annali della statistica elettorale regionale. Innegabilmente, è materiale utile per tesi e ricerche universitarie, valido anche per studiosi e professori del ramo se individueranno qualche vantaggio nel mercato delle consulenze.

Venendo al sodo. Elezioni regionali del 2000, Giancarlo Galan distanzia Massimo Cacciari di un +16.7%; 2005 Giancarlo Galan stacca Massino Carrarosolo’ di +8.2%, 2010 Luca Zaia oltrepassa Giuseppe Bortolussi di un ragguardevole + 31,1%; Luca Zaia 2015 surclassa Alessandra Moretti di un +27.4% ed infine il capolavoro ultimo, 2020 Luca Zaia stravince su Arturo Lorenzoni + 61.1 %.

Il PD è apparso nella competizione regionale, per la prima volta, nel 2010 ein quell’anno catturò il 20.3 % dei voti, nel 2020 un bel salto all’indietro, fermo all’11.9 %.

Allarghiamo la riflessione inserendo i dati analitici incontrovertibili che esponi nel quadro della fenomenologia politico-partitica nazionale.

A me sembra che si presentino in tutta evidenza due questioni su cui riflettere:

A) il Centrosinistra a partire dal 1995 e poi dal 2010 con la new (old) entry PD, ha fatto più volte parte del Governo del Paese. Tutto questo affannarsi per “andare a Roma oppure a Bruxelles”, non ha minimamente interrotto la dinamica discendente del gradimento popolare in scala regionale.

Evidentemente i diversi livelli, a parte i profili dei curriculum vitae degli interessati ai posti e alle prebende correlate, sono stati (sono) del tutto indipendenti l’una dall’altra? Oppure si ritiene che una qualche interconnessione esista? Se si è di questa seconda opinione, allora Ministri, Sottosegretari, Deputati, Senatori ed Europarlamentari, espressione del PD-Veneto, offrano per tempo alla valutazione del Partito la quantità e la qualità del loro agire a Roma e Bruxelles da esaminarsi in relazione al potenziale recupero di consenso del partito nella loro regione (collegio) d’elezione.

Ovviamente,qui non si cercaun algoritmo in grado di calcolare tutte le varianti possibili, ma nemmeno è saggio confermare chi chiede il rinnovo basandosi quasi esclusivamente sul numero di volte (deroghe incluse) in cui ha ricoperto la funzione di rappresentanza, magari transitando da una collocazione regionale ad una europea e/o nazionale o viceversa. Va da sé che le preferenze personali acquisite in campagna elettorale sono di per sé un fatto positivo, lo sono un po’ di meno se il Partito nello stesso territorio cala. Evidentemente, qualcosa non ha funzionato e non è solo addebitabile a “difetto di comunicazione” tra le parti in gioco; partito, candidato/a, cittadini.

B) il Centrodestra, dalla fine del secolo scorso, ha presentato agli elettori due leader: Galan e Zaia, l’opposizione ne ha proposti ben 6 (sei), sfornati freschi di giornata come le brioches (pronti al consumo mattutino e successiva deglutizione) per ciascuno dei sei quinquenni di riferimento.

Le intelligenze che in ambito PD abbondano, come gli aspiranti allenatori della nazionale di calcio soprattutto quando perde, hanno mai riflettuto e redatto una strategia di medio termine per non trovarsi impreparati allo scadere della legislatura regionale profilando almeno l’identikit del potenziale Presidente, un’intelaiatura e di programma e di squadra provincia per provincia?

Si dovrà rispettare la consuetudine anche per la prossima occasione e rinviare la ‘pratica’ all’autunno 2024-primavera 2025? Oppure è meglio di no?

In sostanza, l’interrogativo strategico al quale la nuova dirigenza che sortirà dal Congresso 2022 sarà chiamata a rispondere è il seguente: perché il Partito Democratico è stato ed è così declinante in Veneto da oltre un quarto di secolo?

Entriamo però ora nel ‘cuore’ dell’analisi critica: il Regolamento Congressuale, nazionale e regionale

Ai nastri di partenza, nel rinnovo delle cariche sociali a valere per il quadriennio 2022-2026, Segreteria Regionale e Assemblea, la situazione è questa: iscritti 10.586 a fine ottobre 2021, perse cioè 2/3 di adesioni nell’ultimo quinquennio, 7 consiglieri regionali attualmente in carica, 2 di meno rispetto alla precedente legislatura a causa dei 64.000 voti evaporati l’anno scorso.

Su questo sfondo veniamo pure alla questione del Regolamento congressuale regionale approvato il 5 di luglio. Stando alla vulgata, l’impianto nel suo complesso nonché i singoli articoli sono stati oggetto di attenta disamina da parte della Direzione regionale (66 componenti) a cui è seguita una votazione unanime.

Si dà il caso che in data 30 novembre, Marco Zanetti che mi accompagnava nella sede del Pd Regionale in Padova nella sua qualità di sottoscrittore della candidatura Laura Puppato, ha chiesto di avere copia della delibera di approvazione del precitato regolamento. Con un po’ di difficoltà, ha potuto parlare – infine – con il Tesoriere, il quale ha riferito che le regole congressuali adottate il 5 luglio sono state effettivamente approvate, ma non dalla maggioranza dei componenti assegnati alla Direzione regionale, quanto piuttosto, in seconda votazione, da chi c’era essendo questa una chance formalmente permessa, ed all’unanimità sulla base della relazione di chi aveva presentato il testo dichiarandolo frutto di un lavoro approfondito e ‘comune’.

Richiesto del numero di persone presenti al momento finale della decisione assunta, il numero si aggirava – a memoria sua – attorno alle 15 – 20 unità. Mancando agli atti la delibera di approvazione del regolamento, Zanetti ha allora chiesto copia del verbale della seduta. La risposta è stata semplice e schietta: agli atti del partito non esiste né delibera né verbale della riunione tenutasi.

Che dire? Da subito, sorgono forti dubbi sulla plausibilità del primo motivo per il quale la Commissione Nazionale Garanzia ha bocciato i due ricorsi presentati in difesa della seconda candidatura in gara. La ragione di fondo addotta, è che gli appellanti avrebbero superato i 30 giorni già decorsi dal 05 luglio, essendosi fatti sentire ‘solo’ a fine novembre.

In assenza di tracce documentali e/o informatizzate di riferimento e conferma su quanto in verità approvato, rimane senza significato e l’affermazione “regolamento approvato il 5 di luglio” e quella successiva “pubblicato immediatamente dopo la sua approvazione sul sito internet del PD del Veneto”.

Vale la pena di chiedersi, ma il testo ‘estivo’ è il medesimo ed identico utilizzato nelle successive riunioni della Commissione a partire da poco prima del 19 ottobre (data di pubblicazione nel sito del PD di un comunicato stampa in cui si dà conto dell’avvenuto insediamento della Commissione Congresso), oppure nei mesi di luglio, agosto, settembre e fino alla data anzidetta è stato ‘modificato e sistemato’? Ecco, su questi ed altri aspetti di legalità discutibile e profonda ambiguità sia nel modus operandi che nel merito, potrebbe intervenire la Magistratura ordinaria se interpellata.

Peraltro, è disarmante registrare la totale insensibilità dimostrata da oltre i 2/3 dei membri della Direzione, congiunta alla penosa inosservanza di standard minimi di diligenza amministrativa in uso anche in una qualsiasi bocciofila, allorché si vanno a individuare/cambiare i criteri selettivi per le cariche associative, definendo nel contempo chi ha titolo per concorrere agli organi direttivi.

Ma questo risulta, oggi, lo status quo del PD del Veneto contrassegnato da pesante incuria, irresponsabilità individuale e collettiva, nessuna assunzione di responsabilità per il degrado acclarato.

Prima di addentrarsi nel merito del regolamento regionale, vale la pena di soffermarsi sull’opzione di fondo che guida il regolamento nazionale, di cui quello veneto è un’applicazione.

L’assunto che regge tutta l’armatura predisposta per arrivare alla scelta del Segretario regionale e dell’Assemblea, parte dal presupposto che entrambi debbano fondarsi su proposte di candidatura/e scaturite nelle posizioni di vertice.

In effetti, sono dettagliatamente previste: la tempistica di presentazione, il numero minimo e massimo di sottoscrittori per l’aspirante segretario regionale e per le liste di candidati all’assemblea regionale a lui collegate. Già in fase precongressuale è dunque rigidamente fissato un vincolo di mandato imperativo che obbliga il futuro componente dell’assemblea verso il segretario e viceversa. La relazione stabilita in anteprima è del tutto immodificabile, tipo il numero affibbiato al cavallo da corsa cui è assegnato quel fantino che dovrà essere quello e solo quello fino al termine della gara qualsiasi cosa succeda.

Infatti, conclusa la conta delle adesioni pro-candidato segretario e sue liste collegate cosi come raccolte nei circoli, sono ‘proclamati’ il vincitore e gli eventuali perdenti con la quota di rappresentanza in capo a ciascuno. Resta solo al livello di base (ovvero il circolo del PD) ad avere il privilegio, lette le mozioni, di poter discutere pro o contro le tesi sostenute; altro luogo riconosciuto non è offerto: sia chiaro, la disciplina vigente esclude in radice il livello regionale dalla dialettica delle posizioni sostenute, non essendo previsto alcun congresso dedicato ad esporre più compiutamente ed analiticamente né il programma del partito che s’intende realizzare nel successivo quadriennio, né tantomeno gli interventi prioritari delle proprie rappresentanze nelle principali istituzioni, a partire proprio dalla Regione principale obiettivo per gli organi in corso di sostituzione. In questo contesto, non esiste alcuna libertà di valutazione propria e di successivo rafforzato (o mutato) convincimento dei nominati così come loro stessi si sono collocati nelle liste in sostegno del candidato segretario, mesi prima.

Tutta questa predisposizione meccanica e di selezione ab origine, chissà perché, vale per la scelta del Segretario regionale e di quelli provinciali, mentre nel circolo la candidatura a responsabile locale non va né sottoscritta, né presentata in anteprima agli iscritti che sono liberi di discutere e quindi decidere, in diretta e in occasione del rinnovo del responsabile, chi subentra nella funzione.

Alle volte si sente dire “la democrazia nasce dal basso”: vero, ma nessuno ha mai soggiunto “però si ferma ai confini frazionali o comunali” …!

Quanto hanno codificato a Roma è dunque un regolamento – a mio avviso- del tutto illiberale che non incrocia né il criterio del ‘metodo democratico” né quello per cui “i partiti sono libere associazioni utilizzate dai cittadini come strumento di esercizio della sovranità popolare”, principi entrambi sanciti dall’art. 49 della Costituzione, non tradotti in legge ordinaria da oramai più di 70 anni. E’ piuttosto un regolamento che valorizza le oligarchie di partito!

L’operazione posta in atto con l’iter anzidetto, è – come vedremo per il caso Veneto – un controllo a monte (centralizzazione) e a tutto vantaggio di chi controlla il partito in sede regionale (siano questi un solo gruppo o più correnti alleate per l’occasione), uno svuotamento dell’agibilità politica dell’organo assembleare del tutto ancillare nei confronti della figura dominante del Segretario regionale, un’assenza pressoché totale di scelte libere ed autonome una volta che un iscritto s’inserisce in una delle liste ‘a sostegno del vertice.

Lo schema concettuale prevalente e pertinente non è certo quello della cultura liberal-democratica, quanto piuttosto quello di matrice comunista o populista, o infine un mix malriuscito di queste due ultime?

A cura di Dino Bertocco

* https://ilgiornaledelveneto.it/linsostenibile-pallore-dei-rappresentanti-veneti-al-governo/