Gerontocrazia ed emergenza sanitaria

Crescono contemporaneamente le sofferenze dei giovani e l’esigenza di innovazione socioculturale

(di Mirco Casteller)


Si sta intensificando la riflessione sui costi e sugli effetti poco avvertiti e monitorati della Pandemia tuttora in corso e che, nonostante i dati e le valutazioni che ne prefigurano un seppur lento affievolimento della virulenza, lascia degli strascichi pesantissimi non solo sulle strutture e sul personale del sistema sociosanitario, ma soprattutto sul piano antropologico-culturale, in particolare sulle giovani generazioni maggiormente dotate di difese immunitarie per affrontare il virus e, però, rivelatesi più fragili nel contesto di lockdown che ha avuto un impatto pesantissimo sulla Scuola.

E’ a partire da questa considerazione preliminare che pubblichiamo l’articolo di Mirco Casteller il quale – in ragione della sua osservazione professionale e scientifica del disagio sociale e dei cambiamenti organizzativi in corso, allarga lo sguardo ed approfondisce la riflessione su questioni che assumono oramai una rilevanza di carattere generale, di visione e di riprogettazione dello sviluppo economico, con la consapevolezza che si sta deteriorando un sistema di valori, certezze e sogni alla base di rapporti ed equilibri generazionali in profondo mutamento.

Perché siamo arrivati fino a questo punto?

Perché molti trentenni guardano smarriti il futuro e non si impegnano per il domani?

Perché un giovane ingegnere finisce per fare di tutto fuorchè l’ingegnere, quando gli avevano promesso di fare ingegneria a vita?

Perchè molti studenti della scuola di secondo grado in treno alla mattina non sanno pronunciare altro che imprecazioni?

Perché in Danimarca o in Germania i giovani ricercatori prendono oltre duemilaquattrocento euro al mese, e agevolati nei costi di residenza, e in Italia prendono 800 euro al mese, senza altro aiuto alcuno e non si sa mai se il contratto di qualche mese potrà poi essere rinnovato?

Perché molti giovani figli di industriali, artigiani e commercianti spesso non prendono il posto dell’anziano padre nella conduzione dell’azienda, determinandone la cessazione? Per colpa di chi?

Perché molti talenti non vengono aiutati come si dovrebbe e piuttosto li si rende improduttivi e demotivati?

Per quali ragioni un Paese come il nostro, povero di materie prime, non riesce a utilizzare e mettere a valore le sue vere risorse, quelle umane e quelle ambientali?

Perché non vediamo null’altro che il buio oltre la siepe?

In passato la scusa era la Crisi Economica, ora la Pandemia, domani avremo la minaccia dell’asse Russia-Cina di un fantomatico accerchiamento all’ Europa, ma nel corso degli anni passati e presumibilmente futuri, l’agenda italiana non cambia: resta centrale una malattia grave chiamata gerontocrazia che si manifesta con sintomi schizo-paranoidei-psicotici, un impedimento persistente a progettare il futuro.

Siamo arrivati al punto di sacrificare le giovani generazioni sull’altare di pseudo-interessi diffusi, mascherati da ragioni di tutela sanitaria e da perorazioni a comportamenti etici.

Questo è il primo dei nostri problemi, diventato un ostacolo ingombrante per la crescita ed un fattore deformante per lo sviluppo, come se fossimo stati colpiti da una malattia ossea.

Ma, paradossalmente, è proprio un evento funesto quale il Covid che può aiutare a scacciare la malattia storica del sistema-Paese.

La linea sottile di demarcazione dei cinquantanni ha sancito la sconfitta della supremazia del potere dei ruoli sociali sul naturale evolversi degli eventi umani.

Ebbene, sissignori, a 50 anni si diventa fisiologicamente vecchi.

E questo lo dico avvicinandomi a quella età con la consapevolezza che ho visto molti uomini vivere come se fossero eterni nei loro ruoli, autoconvincendo – con il progredire dell’età – che esercitando funzioni importanti tale condizione garantisse loro di restare giovani.

Poveri illusi, l’attenzione va orientata verso l’evoluzione di una società che sta mutando, passando da una configurazione di massa alla parcellizzazione.

La ripresa in corso sta producendo effetti molto interessanti sulla struttura sociale.

La pandemia comporta effetti sorprendenti che si manifestano con un fortissimo impatto sui concetti di tempo, qualità, quantità.

Siamo passati dalla società di massa (aggregata), con orari di punta e riti orari quotidiani, settimanali, mensili e stagionali ad una società parcellizzata (disaggregata), che ruota attorno a progetti e bisogni specifici.

I cittadini si organizzano velocemente seguendo flussi di idee, istanze e bisogni, spesso emergenziali. Questo vale per i consumi, gli atteggiamenti, la comunicazione ma anche per la politica.

Sono saltati alcuni punti-cardine dell’organizzazione sociale e familiare. Si è rivoluzionata l’alternanza tra tempo impegnato e riposo. Lavoro, studio, cura della casa, tutto ha una cadenza e una modalità diversa da prima. Le festività non rappresentano più l’intercalare di un calendario condiviso ma rientrano in un flusso magmatico e asimmetrico che comprende un po’ tutto e niente.

Ciò significa poca programmazione: bisogni estemporanei soddisfatti con decisioni dell’ultimo minuto ma rivestite di prudenza.

Quindi: ripresa lenta, società parcellizzata, prudenza… e paura. Il pensiero corre immediatamente ed inesorabilmente al lavoro e alla situazione finanziaria personale.

Di fronte a questa fenomenologia emergente, la ‘rappresentanza’ risulta ancorata al passato, con la difficoltà a comprendere che i mestieri e le professioni stanno mutando e con essi stanno cambiando anche le relazioni interpersonali e sindacali.

Lo smart-working e la didattica a distanza hanno di colpo fatto apparire obsoleti i pilastri su cui si sono basate le relazioni industriali degli ultimi 40-50 anni.

Hanno dimostrato come il vero tema oggi sia gestire il tempo libero, non il tempo lavorativo.

La bidimensionalità e la tridimensionalità del lavoro non possono essere comprese da una certa fascia generazionale, i cui esponenti sono privi di strumenti cognitivi ed operativi per affrontarle, cosicchè sono orientati ad agire in difesa, a mostrarsi impacciati per l’incomprensione di processi che vengono così negati o boicottati con meccanismi di difesa primordiali.

Il lavoro in ufficio è tridimensionale, lo smart-working è bidimensionale ed evidenzia in maniera puntuale la dedizione al lavoro e le capacità di ciascuno, nel bene e nel male.

Per molte categorie di lavoratori non c’è più l’orario di lavoro 9-18 ma un flusso continuo di lavoro digitale che ha visto aumentare la produttività anche del 30%. Per molte aziende non c’è più un organigramma aziendale verticale, con una organizzazione gerarchica precisa ed escalation di livelli di responsabilità, forme di controllo della presenza e della capacità produttiva oraria di ciascun dipendente o collaboratore soppiantate da una organizzazione circolare, basata sulla analisi dei risultati di ciascuno e, soprattutto, basata sulla fiducia.

In questo nuovo scenario, cosa significa fare rappresentanza?

Quali sono i nuovi diritti sindacali?

Non più il ticket restaurant ma, ad esempio, la certezza di momenti di pausa (attualmente un miraggio per chi vive in videoconferenza continua) e, magari, il rimborso delle spese elettriche, telefoniche e tecnologiche legate al lavoro domestico. L’ufficio si trasferisce a casa del collaboratore, l’azienda risparmia sui costi logistici, il lavoratore risparmia sul tempo e i costi dedicati ai trasporti.

Chi paga? Tutto ciò che ruota vive grazie alla presenza fisica dei pedoni e del traffico nelle strade. Il commercio al dettaglio, ad esempio, ma anche la pubblicità outdoor, i mezzi pubblici.

Dov’è il confine tra vita privata e vita lavorativa?

Quali saranno le nuove regole d’ingaggio con il cliente e quali metriche dovremo adottare per capire se le nostre azioni saranno vincenti o meno?

Quali caratteristiche dovranno avere i prodotti e i servizi in questo quadro completamente rivoluzionato? Sul lato retail, ha ancora senso avere grandi catene di negozi?

Quali caratteristiche dovranno avere i touch-point fisici per continuare ad attrarre clienti in un’era contactless?

Sul lato pubblicitario, ha ancora senso comunicare con gli stessi format, misurarne gli impatti sui target di comunicazione con lo stesso set di indicatori e confrontarsi con benchmark costruiti con i dati aggiornati al 2019?

O vale la pena approfittare di questo momento realmente rivoluzionario per rifondare anche la comunicazione pubblicitaria?

E come bisognerà relazionarsi con gli stake-holders esterni e interni all’azienda senza urtarne la accresciuta sensibilità?

Tutte domande che nel rappresentare vanno valutate, consapevoli che questa pandemia sta distribuendo consigli a chi si ritiene eterno, favorendo la presa di coscienza della gravità del momento, ma anche delle responsabilità storiche di certe linee di comando nella politica e nella rappresentanza.

Nella consapevolezza, che si dipende dal cambiamento in atto, ne siamo influenzati, ma non ne siamo totalmente condizionati. Sta a noi dargli un senso accettabile, condurlo nella direzione delle nostre vere necessità e dei nostri bisogni fondamentali.

La pandemia ci induce a rinnovarci: modo nuovo di pensare,  nuovi stili di vita,  nuove forme di comunicazione e finanche  nuovi valori, che hanno inciso profondamente sui singoli, sulla famiglia, sui gruppi sociali e sulla organizzazione politica.

Io penso quindi che ci siano dei filoni di ripensamento strategico su cui focalizzarci.

  1. Il modello del passato prevede un processo di allineamento tra imprese e lavoratori su base negoziale e contrattuale: il valore aggiunto principale è l’incremento generato dalla singola unità produttiva. Tale sistema si conferma adeguato in una situazione congiunturale stabile caratterizzata da sistema bancario e sistema del welfare pubblico estremamente attivi su un territorio di riferimento nonché da un sistema imprenditoriale consolidato.
  1. La crisi pandemica ed il palesarsi di nuovi trend economici richiede un’ulteriore passo in avanti che include l’intervento di strumenti di gestione del risparmio ed assicurazione quali traini per finanza operativa (non speculativa) e focus su supporto sanitario innovativo, in particolare per riabilitazione ed assistenza.
  1. Il rapido rimbalzo dei fatturati ed il veloce riposizionamento delle nostre imprese sui mercati internazionali hanno posto in rilievo come il fattore fiducia tra organizzazioni e l’integrazione tra generazioni mature e quelle più giovani si confermi quale fattore critico di successo del sistema Nord Est. La capacità di fare sintesi dei gruppi tra opposti interessi attraverso il dialogo intergenerazionali costituisce la chiave per affrontare situazioni imprevedibili così come la concorrenza internazionale.
  1. In assenza di una capacità di intervento diretto, è pertanto compito principale delle istituzioni indirizzare le organizzazioni a gestire i cambiamenti futuri in forma autonomia in un’ottica di mantenimento dei propri caratteri distintivi. A difesa delle organizzazioni produttive e sociali, l’ente pubblico deve favorire un processo di auto-investimento degli asset intangibili e miglioramento continuo della produttività degli operatori. Contemporaneamente è fondamentale gestire le due grandi transazioni digitali ed ambientali, in modo che risultino occasioni di rilancio di produzioni e modi di vivere che minimizzano le esternalità negative ed avviano processi non procrastinabili. Il passaggio al sistema 4.0 come alle produzioni green sono adeguamenti strutturali che qualora non gestite possono comportare esternalità negative, accelerando l’insorgere di variabili sociali escludenti.
  1. Il sistema economico regionale avrà, nei fatti, bisogno di nuovi investimenti, programmi di recupero e valorizzazione delle risorse interne alle imprese e programmi di aggiornamento continuo. Il sistema del welfare integrato ha il compito di favorire la costruzione di organizzazioni capaci di affrontare sistemi di mercato sempre più mutevoli e flessibili.
  1. Un sistema frammentato come il ‘laboratorio Nord-Est’ necessità di cabine di regia per favorire la definizione di modelli da poter sperimentare, rielaborare e replicare. E’ indispensabile un coinvolgimento delle comunità locali, dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali per l’implementazione di sistemi di virtuosi. In tali situazioni le imprese si configurarono quali presidi territoriali di coesistenza in cui il valore aggiunto generato viene parzialmente indirizzato ad un sistema protezione e promozione del benessere.

Questi sei punti evidenziano anche da soli come io stesso mi debba interrogare, verificare le capacità d’uso della strumentazione tecnologica, il grado di abilità digitale ed in quale misura il virus gerontocratico sta condizionando la lucidità delle mie scelte e dei miei comportamenti.

Una cosa è sicura: nell’impegno per interpretare il cambiamento in atto e che mi circonda, sento fortemente l’esigenza di confrontarmi, talvolta cedendo loro il passo, ai giovani che ho la fortuna di frequentare e dei quali cerco la cooperazione.

Non mi considero ‘vecchio’, ma nel contempo non ho la presunzione di essere eterno il Covid ce l ‘ha insegnato e chi non lo ha compreso soffre certamente di una sindrome schizzo paranoidea psicotica , i cui sintomi tipici è il raccontarsi alterando la realtà: ho 47 anni e sono convinto che la rigenerazione socioculturale anagrafica costituisce una risorsa decisiva per rimanere nella realtà e evitare la “sindrome della Gerontocrazia Geriatrica”.

Mirco Casteller