Fenomenologia Renzi: le trappole dello scoutismo narcisista, i grumi d’odio comunista, l’e(a)ssenza dell’intelligenza politica

(di Dino Bertocco)

Ci sono molto rumore, molto odio, molta confusione oggi sopra il cielo di Matteo Renzi. Vi dico la mia, come fossi un suo vecchio zio, ovvero la figura empatica che credo sia mancata nel percorso adolescenziale del protagonista indiscusso nell’ultimo decennio di effervescente ed inconcludente travaglio politico.

Sapete, mi riferisco a quel signore brillante e volitivo, che non avendo responsabilità educative dirette sulla personalità del nipote, poteva permettersi di sollecitarne più bruscamente la consapevolezza di sé nel rapporto con il resto del mondo: incuriosendolo sul pianeta donne, scuotendone le certezze, invitandolo alla circospezione ed a non farsi trascinare dagli eccessivi entusiasmi.

Introduco questo approccio interpretativo ‘psicopolitico’ perché è stato affrontato con una dovizia notevole di argomentazioni ed analisi scientifiche in due articoli che dovrebbero essere letti, obbligatoriamente, da tutti i componenti delle tifoserie che in questi anni si sono esercitati nelle ola di entusiasmo per il ‘Grande Rottamatore’ o nella progressiva costruzione di un muro di ostilità pregiudiziali e di insulti gratuiti nei suoi confronti.

  1. Il primo che cito è un vero e proprio trattato socio-psicologico, che sabato sul Foglio, Francesco Cundari, insuperabile conoscitore della nomenclatura giornalistica, parruccona e sinistrorsa idealtipica e frustrata, ha sciorinato per illustrare l’insuperabile abilità dell’ex Royal baby “nell’arte di rincretinire il nemico”, passando in rassegna le tappe di una carriera che “lo ha visto padroneggiare le sue alterne fortune con la contestuale vocazione a collezionare risentimenti”.

Naturalmente identificando la tappa storica ed il valore catartico, liberatorio e trasgressivo di quella famosa intervista a Repubblica dell’allora sindaco di Firenze, che il 29 agosto 2010 scandì a chiare lettere: “Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani. Basta. E’ il momento della rottamazione. Senza incentivi”.

  1. Il secondo ha le caratteristiche del referto di un professionista di vaglia del lettino. Il testo è stato redatto da Massimo Recalcati, il quale si è preso la briga di stilare un’arringa in difesa di Matteo Renzi, ”vittima della sinistra tradizionalista e del suo immancabile livore”. Il noto psicanalista lacaniano è andato giù di brutto a denunciare “questo Witz che ha radunato attorno a sé tutti gli ex-rottamati i quali hanno preso spunto dalla crisi di Governo da lui provocata per ribadire che avevano visto lungo, che il ragazzo è un corsaro, una canaglia, un poco di buono, un figlio bastardo e, soprattutto, la prova più evidente della loro innocenza” (!?).

Interrompo qui la citazione per non abusare de La Stampa dell’8 febbraio scorso, ma vi consiglio di cercare l’articolo e godervelo perché vi troverete la chiave interpretativa non solo dell’impopolarità di Renzi, ma ciò che è più significativo del disancoraggio storico e politico di un Centrosinistra ancora condizionato dai giudizi di personaggi come Bersani e D’alema, intellettualmente incapaci di riconoscere le sconfitte personali.

Sottovalutato lo svuotamento politico-culturale

Ma le due testimonianze sopracitate, alla fine chiariscono ben poco del tortuoso e fascinoso itinerario dell’ex Segretario PD e Presidente del Consiglio, perché sono troppo focalizzate sulla sua individualità, sottovalutando il contesto di svuotamento culturale in corso, nel quale si è innestata agendo sulle leve di una comunicazione politica (storytelling) con cui si è surrogata la elaborazione politica e riverniciata una Terza via all’italiana portatrice di un po’ di ebbrezza e di un refolo di riformismo, sicuramente benefico, ma debole perché non supportato da un pensiero nuovo e profondo, misurato sulla crisi strutturale del Paese.

Al suo decollo ‘leopoldino’ molti, tra cui il sottoscritto, si dissero: “Bene, molto meglio del berlusconismo imbroglione e delle mammolette alla Veltroni & Letta”.

Alcuni, come il vecchio zio virtuale sopra evocato, cercarono di allertare l’attenzione sulla estemporaneità e non risolutezza di una strategia politico-culturale fondata sulla rottamazione.

E non si trattativa di osservazioni critiche motivate da un’autodifesa anagrafica, bensì dall’osservazione di un giovanilismo energico e fragile, di una caducità intrisa di analisi raffazzonate, di espedienti tattici, di messaggi superficiali, di impegni abbandonati per strada (l’elenco delle incoerenze e superficialità è imbarazzante, ma dal punto di vista ‘professionale’ non posso non fare un cenno alla patetica vicenda della Piattaforma Bob…).

Nel momento in cui ballava la rumba inviai al ‘nipote’ una lettera di suggerimenti circostanziati, tutt’altro che affettuosi, ma sinceri e generosi: non c’erano cuoricini, like, applausi, complimenti entusiastici e, conseguentemente, quella mail subì la sorte segnata dal tasto ‘canc’.

Conosciamo tutti la storia post referendaria e, ripetiamolo, non poteva andare diversamente, perché il Paese era ed è affetto da polipatologie con rischio degenerativo di cui il malato prima ed il medico non avevano pienamente contezza, sia per quanto atteneva la diagnosi che le cure radicali e durature che avrebbero dovuto essere somministrate.

La conferma ci è stata data dagli ultimi due Governi che, in un delirio di improvvisazione e superficialità si sono inventati ogni sorta di placebo, dimostratosi del tutto inefficace anche a causa dell’insorgenza di un ulteriore fattore di destabilizzazione, ovvero l’inatteso Covid-19.

Ed a conclusione del triennio Contiano, inesorabilmente è arrivato un Professionista a cui è stato affidato il compito istituzionale di intervenire sul paziente facendo ricorso esclusivamente alle conoscenze mediche ed ai farmaci ritenuti più efficaci dalla Comunità scientifica, esautorando di fatto la funzione di governance esercitata dal ceto politico.

E chi si è incaricato di fare da “facilitatore” di questo traumatico processo? Matteo Renzi il rottamatore naturalmente, che ha agito potendo contare in questa congiuntura politica drammatica e poco seria sul giornalismo più evoluto e credibile, che gli ha consentito di fare l’assistman per il Presidente Mattarella che ha rotto gli indugi partitici ed accelerato la crisi, affidando l’incarico a Draghi.

Anche in questo caso, l’iniziativa del leader di Italia Viva è risultata esasperata ed esasperante per una sorta di riflesso condizionato presente nell’opinione pubblica orientata a sottovalutare alcuni fattori scatenanti la crisi:

  1. Conte bis era un cavallo zoppo di cui era avvertita la maggioranza dei parlamentari;
  1. il PD era un soggetto politico debilitato ed irretito dallo ‘sciamano’ Goffredo Bettini impegnato da par suo in sortilegi per oscurare la fragilità della gestione Zingaretti del partito;
  1. i conti andavano e vanno fatti con i Gruppi parlamentari dove sarebbe stato possibile avviare un lavoro serio del Centrosinistra sul programma di Governo ed in particolare sul PNNR già a settembre;
  1. l’iniziativa di Renzi è risultata quindi l’estrema ratio in una situazione irrimediabilmente compromessa ed inevitabilmente tracimata nel ricorso ad un Commissario politico esterno al sistema partitico dimostratosi inaffidabile.

Insomma, la temperie della crisi di Governo ha confermato il ruolo di destabilizzatore ed innovatore che rappresenta un’abilità accertata dallo svolgimento dei fatti politici, ma non una risorsa ed una caratteristica riconosciuta ai fini del consenso e della legittimazione all’interno di un sistema più propenso a subire che ad accettare le sortite del leader fiorentino.

Matteo non spegnere la luce

E qui veniamo alle considerazioni conclusive dello zio (sempre virtuale, mi raccomando).

Nelle sue dichiarazioni da vincitore della partita parlamentare conclusa con l’incarico a Draghi, Matteo ha espresso due concetti chiave rivelatori:

  1. lui, al contrario di quello che hanno pensato i suoi ‘avversari’ del PD, non ha avuto alcuna intenzione di danneggiare il suo ex partito perché “quando esce da una stanza preme l’interruttore e spegne la luce (sic!)”
  1. Draghi è un leader leggendario, “il più bravo al mondo che c’è”, il massimo interprete della sintesi politica insomma!

Ebbene, gli suggerirei di usare argomenti ed assumere atteggiamenti meno radicali, più pensosi, diciamo (anche se questa espressione non gli piacerà).

Voglio dire che:

primo, nella Grande stanza-comunità del Partito Democratico lui è stato accolto, votato e persino venerato per il suo coraggio e lo spirito innovatore, dai più della vasta platea di iscritti, militanti ed elettori. Quindi, la sua uscita dalla stanza non comporta lo spegnimento della luce bensì della fiducia e della stima nutrite nei suoi confronti;

secondo, mister Draghi è un italiano esemplare, che ci riempie di orgoglio per quanto ha saputo fare alla guida della BCE, ma in questa congiuntura ha assunto una fondamentale responsabilità tecnocratica che non può e non deve spegnere la luce della responsabilità politica in capo a tutti i Rappresentanti che hanno compiti di policy making, di pensare, progettare, orientare il futuro nell’ambito di un processo democratico…;

quindi, Matteo, se vuoi contribuire sinceramente ad un’Italia veramente Viva, scendi dal palchetto e abbandona il ruolo di Lupetto: la tua intelligenza e la tua vivacità politica meritano luoghi più ampi, relazioni più intense e durature, confronti più duri ed impegnativi, per esprimersi compiutamente e promuovere l’espansione ed il consolidamento della cultura democratica nel nostro Paese.

Dino Bertocco