Dopo l’imbroglio di Zaia, il bluff di Boccia

Autonomia Regionale Rafforzata: la bozza del Ministro Boccia che ridisegna le funzioni delle Regioni “Ordinarie”. Il gettito fiscale ai Veneti? semplicemente sparito.

Sembra trascorso un secolo dall’alba del 23 ottobre 2017 quando il referendum veneto registrò un’affluenza del 57.2% degli elettori ovvero 2.328.949 cittadini, una forte espressione di votanti SI all’Autonomia pari al 98% rappresentando costoro il 56% dei cittadini elettori in numero di 2.273.985 ed una robusta minoranza del 44% astenutasi, se si includono anche i NO; trattasi di 1.783.549 veneti. Come si ricorderà il quesito era di una banalità sconcertante, privo di significato per gli obbligati step costituzionali successivi, anche perché i contenuti più pregnanti erano stati persi per strada. In verità la Regione del Veneto, assistita da un’eccelsa equipe di menti giuridiche, era risultata perdente avanti la Corte costituzionale in cinque quesiti referendari su sei proposti. Rimasto sul campo un moncherino cui appigliarsi, l’intera nomenklatura del Veneto che conta, Zaia e Lega in primis, tutti in coro affermarono “pancia a terra pro referendum, deciderà il popolo!”. Sacrosanto, verissimo!

Pagine di storia e veline di giornali

Infatti, per realizzare un “sondaggio formalizzato”, così è definita l’operazione in una memoria difensiva del Presidente del Veneto avanti la Consulta, il bilancio regionale ha provveduto a saldare il conto di circa 14 milioni di € per una partita ricca di premi e cotillons già percepiti a due anni data. Spassoso andare a rileggere i titoli e gli articoli degli opinionisti di rango, nel predire le conseguenze dovute, istantanee e derivate dal maxi-sondaggio effettuato nel 2017. Spicca su tutti l’ipse dixit di Zaia: «Pagina storica, adesso vogliamo i 9/10 delle tasse», accompagnata dalla richiesta di tutte le 23 materie trasferibili dal centro “Non esistono trattative in cui vai a scartamento ridotto, solo i pessimisti non fanno fortuna”. La chicca finale: “riconoscere il Veneto come Regione Autonoma a Statuto Speciale “(Corriere del Veneto e Gazzettino del Veneto 23/10/2017). La “specialità” faceva già parte di uno dei cinque quesiti bocciati, ma si sa anche i Comitati per l’Autonomia di Mestre hanno appena ritentato di separarsi da Venezia per la quinta volta. In prospettiva, esiste sempre una seconda chance anche per il Veneto in relazione all’Italia o sesta volta per la frazione di terraferma veneziana rispetto alla città lagunare. Altra strada percorribile, già preconizzata dalla Giunta di Centro-Destra guidata nel 2006 da Giancarlo Galan con Vicepresidente Zaia, è attivare un disegno di legge costituzionale. Trascorsi inutilmente ben tredici anni dall’epoca, manca sempre la parolina “Veneto” nell’art. 116 comma 2 Costituzione dopo “Valle d’Aosta”, al di là delle chiacchiere e presenze dei governanti nei media soprattutto regionali che, passivamente e pedestremente riportano il verbo del doge di turno a Palazzo Balbi.

Venendo all’attualità, a novembre di quest’anno è stata resa pubblica la bozza di legge quadro sull’ulteriore decentramento di competenze da parte del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. A febbraio 2018 si erano siglate tre-pre intese tra Governo Gentiloni ed Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia; ma erano sorte perplessità dato che il Parlamento si sarebbe dovuto esprimere solo in fase di approvazione e sarebbe stato assente nella fase propositiva.

Gli azzeccagarbugli e le (ignorate) fratture fra Nord e Sud

Ecco quindi, la prima novità. Stabilire dei criteri guida per far si che il procedimento, una volta incardinato, scorra veloce. L’idea era già venuta anche al secondo Governo Prodi nel 2006-2008, quello da Mastella a Bertinotti, che però non era stato in grado di portarla a termine perché collassato anzitempo. Non v’è dubbio che «L’assenza di parametri procedurali e sostanziali di carattere generale, comportando un quadro di incertezza istituzionale ed il rischio di incongruenze giuridico-finanziarie nei singoli, ipotetici interventi legislativi per l’ampliamento dell’autonomia di regioni a statuto ordinario, costituirebbe, invero, un ostacolo rilevante ai fini della concreta applicazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione», così recitava la relazione al progetto di legge n 1368. Chiaro, a condizioni che chi pro-tempore governa duri il tempo necessario a concludere l’iter messo in moto. Al lettore va segnalato che, la bozza avrebbe già dovuto trasformarsi in un disegno di legge ed essere approvata -visto anche il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni- nel primo Consiglio dei ministri utile; invece sarà discussa nel corso del 2020. Una seconda novità concerne l’introduzione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) degli obiettivi di servizio e dei fabbisogni standard che, in ogni caso, non potranno essere superiori alle risorse stanziate nel bilancio dello stato a legislazione vigente. L’impianto concettuale è derivato dalla legge 42 del 2009 e successivi decreti, approvati dal Governo Berlusconi mai diventata operativa per la difficoltà di individuare livelli e criteri validi al Nord come al Sud, in un quadro di assenza di risorse necessarie soprattutto per reperire i miliardi di € che servono per i fabbisogni arretrati ed insoddisfatti del Meridione, infine e fermo restando, il vincolo dell’invarianza dell’incidenza della spesa per non aumentare il debito pubblico italiano. La formula magica è quella di ripetere che le risorse saranno attribuite “sulla base del riparto delle risorse a carattere permanente iscritte nel bilancio dello stato a legislazione vigente”. Intervistati da Radio Rai il 6 dicembre, il Presidente della Lombardia e quello della Puglia hanno danno due interpretazioni opposte del come procedere. Dice Attilio Fontana “ se a noi danno 1.000,00 € per garantire il funzionamento degli asili nido e noi ne spendiamo , rispettando i criteri dati, 900 gli altri 100 li userà la Regione Lombardia per incrementare le altre prestazioni”. Risponde Michele Emiliano “Non funziona così, se una regione virtuosa risparmia 100 €, questi vanno redistribuiti a chi è stato meno fortunato. Dobbiamo essere solidali. “

Lega di lotta e di (non) governo

L’altro tema rilevante inserito nella bozza è quello della perequazione infrastrutturale. Visto il forte divario che esiste in questo campo tra Nord e Sud, potrebbe implicare una redistribuzione di risorse a favore di quest’ultimo, le cui modalità sono però tutte da definire. In questo caso potrebbe soccorrere la fantasia italica. Ciascuna delle regioni del Nord potrebbe adottare, in toto od in parte per singole aree d’intervento, una regione disastrata del Sud tramite contrattazione diretta tra le stesse regioni: adottante e adottata specificando le ricadute per i rispettivi territori e con adeguati incentivi statali ed europei. Si tratta di rinverdire il colonialismo interno coniando un nuovo termine di marketing, rigorosamente in inglese, del resto noi Veneti nel ventennio del secolo scorso fondammo Latina nel Lazio ed Arborea in Sardegna.

Infine, merita un breve accenno la totale inesistenza di aspetto importante su cui nelle pre-intese vi era una chiara presa di posizione: l’aumento di gettito da compartecipazione che sarebbe dovuto rimanere all’interno del territorio regionale. “Vogliamo i nostri schei da Roma”, diceva il popolo reclamante più “autonomia”, mentre i rappresentanti regionali più acculturati erano tutti tesi a dimostrare il celeberrimo “residuo fiscale” che penalizzava il Veneto laborioso e virtuoso. Ecco su questo argomento la risposta è stata data.

Bisogna riconoscere che, in attesa di leggere la relazione ed il disegno di legge ufficiale, nei pochi articoli di cui si compone la bozza è stato accolto il meglio della produzione intellettuale e normativa del centro-sinistra e del centro-destra, con evidente mancanza di una specificità leghista. Il vuoto, come noto, è già stato colmato dai provvedimenti per l’Autonomia Regionale assunti da Matteo Salvini ed Erika Stefani nei loro primi 14 mesi di governo Giallo-Verde da giugno 2018 ad agosto 2019.

Enzo De Biasi