A 30 anni dalla Bolognina. Da Occhetto a Renzi; fragilità identitaria e velleitarismo organizzativo che persistono

La fragilità identitaria-culturale ed il velleitarismo politico-organizzativo che continuano ad affliggere la Sinistra. Seconda parte del dialogo-intervista con Roberto D’Agostino.

L’uomo politico deve perciò soverchiare dentro di sé, giorno per giorno e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano, la vanità

Max Weber

Facciamo un partito leggero, si diceva. Solo che a un certo punto è diventato così leggero che ha cominciato a fluttuare nel vuoto , e la scarsità di ossigeno ad alta quota non ha fatto bene ai passeggeri’

Navigare la complessità. Intervista a Mario Riccardi –Direttore della Rivista ‘il Mulino’. A cura di Eleonora Desiata – PANDORA, Rivista di Teoria politica n. 8/9


C’è un non detto, un rimosso, un groppo alla gola che dà la sensazione di avervi qualcosa di fermo che in realtà non c’è, in questi giorni nei quali si ricorda con una vaghezza sospetta il trentesimo anniversario della ‘svolta della Bolognina’.

Stiamo assistendo ad una sorta di ‘rimuginamento storiografico’ che surroga una autentica riflessione tesa alla riscoperta delle radici storiche e ad una lucida focalizzazione delle innovazioni democratiche mancate dalla Sinistra italiana.

C’è anche da chiedersi se valga la pena di ritornarci sopra: a leggere le analisi di Giuseppe Gangemi, laddove ci accompagna alla (più) ‘grave scoperta che la Sinistra non si aggiorna e non studia’ (p. 9 del saggio introduttivo di Innovazione democratica e cittadinanza attiva, titolato con amaro sarcasmo ‘Amo la Sinistra, inutilmente’) subentra un pessimismo razionale che rattrapisce anche la più fervida volontà di ‘riscoperta’ dei sentimenti e degli ideali che si condensavano nella ‘forza propulsiva’ autoctona, ovvero del comunismo italiano.

I fatti e le considerazioni che vi sono illustrate con dovizia di riferimenti a frangenti cruciali dell’ultimo quarantennio, sono riassumibili icasticamente nella seguente ‘foto di famiglia’:

Qualche anno dopo capisco che io, dopo il 1968, e la Sinistra ufficiale del tempo, dopo la morte di Berlinguer, abbiamo preso due strade completamente divergenti: io verso lo studio, serio e rigoroso, che verifica sperimentalmente (nei limiti delle mie capacità) ogni strumento di ricerca che utilizzo; loro che operano scelte che dello studio tengono poco conto. E così, dopo la breve parentesi di Alessandro Natta, il PCI si dà come Segretario Achille Occhetto che non ha nemmeno sentito il bisogno di prendersi una laurea, eppure trasforma il PCI in PDS; Massimo D’Alema, senza laurea, che trasforma il PDS in DS; Walter Vetroni, senza laurea, che porta i DS nel PD….”

Nel libro di Gangemi naturalmente la stroncatura della passata dirigenza della Sinistra ex comunista è argomentata in modo convincente, soprattutto focalizzando la difficile relazione tra la cultura politica della Sinistra italiana (tutta) e la questione della partecipazione, intesa come risorsa e leva fondamentale per generare un processo di innovazione culturale ed organizzativa, quindi tanto più nel caso di un Partito che venga investito da un processo di discontinuità nella vision e mission storicamente adottate.

Ma la tesi su quella che potremo definire l’anoressia sentimentale e cognitiva che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni della Sinistra italiana trova un’indiretta conferma nell’intervista rilasciata dallo stesso Occhetto il 3 novembre scorso a la Repubblica (“La mia svolta è stata dimenticata. Ma trent’anni dopo ne serve un’altra”.

E’ persino disarmante la ‘vaporosità’ delle sue risposte all’intervistatore:

  • Come spiega la sua solitudine? – “Lo dovrebbe chiedere ad altri. Io avevo un progetto ideale, per molti la Svolta fu invece l’occasione per raggiungere il potere ……..
  • Cosa intendeva per progetto ideale? – “Una nuova cultura politica. Oltre alla questione ambientale parlavamo già di democratizzare la globalizzazione, di una nuova governance del mondo, della centralità dell’integrazione europea in rapporto con il socialismo democratico…..”

Vi emerge una concezione politica che, senza peccare di veteroideologismo, potremmo giudicare ‘sovrastrutturale’, ovvero viziata da una superficiale conoscenza e valutazione dello stato reale del Partito di cui era Segretario e dei rapporti di forza socioculturali prima che elettorali nel Paese che, non casualmente ed in barba ed al contrario delle previsioni con cui i suoi Consigliori lo avevano persuaso e suggestionato a candidarsi come sfidante vincente di Silvio Berlusconi, gli elettori avrebbero riversato il loro consenso maggioritario all’outsider Cavaliere, con gli effetti dirompenti di cui ancora oggi il Paese subisce le conseguenze .

Qual’era l’illusione, la prima di una serie che poi avrebbe colpito anche i suoi successori, che lo abbagliò e lo convinse a poter spiazzare i suoi competitor prima all’interno del PCI (con la Svolta) ed i suoi avversari nel Paese (con la gioiosa macchina da guerra)?

Ce la indica con il rigore dell’indagine scientifica Giuseppe Gangemi nel testo citato: ‘ …. Il modello per la stima dei flussi elettorali (che) è una bolla di sapone. Dopo tre pubblicazioni e due convegni sul tema, spero che la Sinistra se ne accorga. Aspetto con pazienza che qualcuno mi si avvicini e mi dica: “spiegami! Perché dici che quel modello è una bolla di sapone?”. Ed io glielo avrei spiegato. Invece nessuno mi fa questa domanda e il modello matematico (fasullo ndr) per la stima di questi flussi continua ancora ad essere usato’.

Questa lunga premessa mi è servita per introdurre l’argomento ‘laterale’ emerso nel corso del dialogo-intervista con Roberto D’Agostino che ci ha visti interrogarsi sulle ragioni profonde della caduta della Cultura Urbanistica (rileggi qui il dialogo in proposito pubblicato sulle pagine di GeECCo) e che, appunto, ci ha posto l’interrogativo sulla correlazione tra il suo declino e l’atrofizzazione di presenza attiva ed incisiva della Sinistra sul suo terreno più proprio del Governo delle Città e del territorio, con una peculiare attenzione alle domande sociali di Casa, Ambiente e Mobilità.

All’epoca della svolta di Occhetto – mi dice Roberto – io militavo nel Coordinamento nazionale della Sinistra interna del PCI e mi trovavo a dialogare con Pietro Ingrao, Alberto Asor Rosa, Aldo Tortorella: la discussione che ci animava era di affrontare il necessario riorientamento culturale e strategico del Partito determinato dal crollo del sistema sovietico, non abbandonando gli strumenti di una lettura critica della trasformazione sociale ed economica indotta dall’accelerazione delle tre punte dello sviluppo capitalistico: finanziarizzazione, globalizzazione, innovazione tecnologica. Nel contesto dello smarrimento ideologico che si determinò, scelsi di dedicarmi all’impegno politico-amministrativo che mi coinvolse intensamente, ma non tanto da non oscurare il mio giudizio sull’inadeguatezza delle leadership che si affermarono dopo la Bolognina

Il ricordo delle vecchie frequentazioni e la citazione dei prestigiosi intellettuali, mi ha provocato un sussulto di amarcord per un tempo in cui il dibattito teorico precedeva ed anticipava le scelte, il ‘cambio di linea’, ma soprattutto costituiva unna risorsa fondamentale per analizzare, mappare la realtà, operare uno sforzo costante – in coerenza con i dettami del metodo gramsciano – per intravvedere nelle fenomenologie del cambiamento le condizioni materiali su cui innestare i programmi e l’azione politica.

Ma l’emozione ha ceduto subito il passo ad una valutazione sulla contemporaneità, in ciò facilitato da una rilettura del passaggio storico dell’89 con l’ausilio di un’intervista proprio ad uno dei ‘giganti’ citati da Roberto, nella quale emerge con nitidezza il filo robusto di una capacità di elaborazione intellettuale, di indagine e comprensione della realtà che è risultata inficiata e depotenziata da scelte occhettiane, inadeguate per le sfide con cui la ‘svolta’ avrebbe dovuto fare i conti.

E’ Aldo Tortorella che in un lungo e lucidissimo colloquio con il giornalista di Ytali Michele Mezza, ci parla dell’innovazione mancata del PCI e focalizza quello che considera (ed io con lui, naturalmente con un giudizio facilitato dall’essere espresso ex post!) un vero e proprio bug, ovvero ‘il grande ritardo nella ricerca e nell’elaborazione di strategie e approcci sociali che rispondessero ai mutamenti in atto. C’era il timore che, usando strumenti culturali il cui sviluppo era in larga misura di origine americana, si manifestasse un cedimento in fondo al quale stavano in agguato strategie d’integrazione e cooptazione sociale della nostra parte politica”.

Ciò che sconcerta delle affermazioni del Dirigente comunista che fu Direttore dell’Unità dal 1970 al 1975 e per molti anni Responsabile della Politica culturale del PCI, e di cui si fatica a darsi una ragione oggi, è che la consapevolezza manifestata dal novantaduenne intellettuale e l’acutezza delle sue diagnosi non abbiano trovato l’ascolto e l’attenzione necessari nel momento della ‘subitanea’ svolta dell’89.

Perché, come sottolinea l’articolo di Ytali, ‘Tortorella , pur mantenendo fede a quel patto di lealtà con la memoria della sua esperienza e dell’azione di un gruppo dirigente a cui si sentiva obiettivamente legato, ha provato ad aprire spazi per una ricerca più spregiudicata sulle dinamiche e incapacità di una sinistra che sembrava perfetta e che già allora per lui appariva come inadeguata a cogliere il nuovo del capitalismo con cui si voleva contrapporre proprio nella sua stagione considerata eroica’.

Ricerca che si sarebbe rilevata tanto più fondamentale in una nuova stagione nella quale si stava deteriorando la ‘piattaforma sociale di grande ramificazione, come era il mondo del lavoro dipendente e dell’intellettualità diffusa nell’Italia del dopoguerra’ e si stavano esaurendo ‘i due stralli portanti di quella piattaforma: la rilevanza assoluta del lavoro operaio e lo sfondo strategico dell’Urss’.

Ma ciò che risulta stupefacente è che un’antica accortezza e finezza culturale e politica non sia solo rivolta a rilevare i limiti e gli errori del passato, bensì sia tuttora in grado di interpretare le trasformazioni operate dalla rivoluzione digitale:

Sono molto colpito, osserva nell’intervista Tortorella, da come in rete siano oggi valorizzate le singole, anche più eccentriche, pericolose e perfino delinquenziali , community. La rete, continua, è una lente d’ingrandimento che eccita e moltiplica proprio le specificità, anche le più assurde o eticamente spregevoli (il riferimento è ai molti maniaci delle più varie specie)’. Ed alla osservazione del giornalista ‘di quanto siano mutate le pretese e le dinamiche nelle relazioni sociali, dove appunto il tema è come connettere e attraversare queste filter bubble, le bolle separate, che compongono la nuova opinione pubblica’, egli replica con un’affermazione che potrebbe essere assunta come un manifesto per la Sinistra del 21° secolo: ‘Ecco un obiettivo per una nuova sinistra, bucare queste bolle e connettere e contaminare segmenti sociali separati, ovvero ricomporre quello che la rete separa, parafrasando un vecchio slogan del ‘68’

Il riemergere, nell’ambito di quella che ormai è diventata una chiacchierata a briglia sciolta, del pensiero brillante e per nulla fuorigioco del vecchio intellettuale che è stato per molti anni un’autentica guida spirituale del PCI, rende più chiaro che nel dopo-Bolognina, per ragioni che sono in parte addebitabili a quella che lo stesso Occhetto ha indicato come ‘occasione per prendere il potere’ (da parte, precisiamo noi, della fazione capitanata da Massimo D’Alema che lo defenestrò) si sia annebbiata la vista dei gruppi dirigenti e subentrato il disorientamento che ha comportato la frammentazione e la diaspora…

Abbiamo assisitito, sottolinea con vigore Roberto, ad un processo di lobotomizzazione della elaborazione culturale, prodromo del progressivo annebbiamento della capacità di lettura delle ed insediamento nelle impetuose trasformazioni sociali ed economiche indotte dalla cavalcata ‘neoliberista’.

E per precisare la sua convinzione ed il suo dissenso su una deriva che potremmo definire ‘opportunistica’ mi dice: ‘La sinistra ha conseguentemente subito ed introiettato la cultura della destra attraverso il mainstream della cosidetta ‘Terza via’ interpretata dai Clinton, Blair, Schroeder …, arrivando per li rami fino all’apertura di credito dalemiano dato ai (finti) capitani coraggiosi, alle ‘lenzuolate’ di Bersani senza un’effettiva ed equa liberalizzazione, ai provvedimenti di Renzi assunti con un metodo aggressivo nei confronti dei corpi intermedi…’!

Replico che non sono pienamente d’accordo sull’asprezza ed un certo schematismo ideologico che intravvedo nelle sue affermazioni e sottolineo che in realtà la contradditorietà ed estraneità , con i valori e gli obiettivi storici della Sinistra, manifestatesi nel tortuoso cammino che dalla Bolognina a portato all’attuale Partito Democratico guidato dall’ex giovane della FGCI, Nicola Zingaretti, sono il portato di un indebolimento strutturale della rappresentatività, legittimazione ed insediamento sociale dentro la trasformazione neocapitalistica (già osservata al suo apparire da Tortorella), e le tensioni economico-finanziarie e nazionali provocate dalla crisi e dalla globalizzazione.

Ed inoltre non va sottaciuto che l’affievolimento dell’ispirazione ideale e l’abbandono di una strategia culturale ‘gramsciana’ per interpretare e contrastare la inusitata pressione sulle condizioni di vita dei ceti popolari esercitata dalle forze di un capitalismo finanziario arrembante, sono stati determinati non solo dalle arrendevoli scelte operate dalle leadership insediatesi alla guida delle mutanti formazioni partitiche della Sinistra dopo l’89, ma anche come effetto debilitante della burocratizzazione degli apparati delle Associazioni sindacali, professionali ed imprenditoriali che da motore mobilitante dei processi di emancipazione e tutela, sono diventate una rendita di posizione per nomenclature appagate.

E’ così successo che la concomitanza del tramonto del Sol dell’avvenire e del mancato aggiornamento tempestivo di una efficace strategia politica e del rinnovamento profondo delle forme della Rappresentanza sia partitica che sociale, hanno aperto il destro per operare dei tentativi di ricucitura e ri-motivazione di un ‘popolo di sinistra’ che si sono dimostrati talvolta convincenti e persino efficaci (alcune stagioni dell’Ulivo), talaltra risolutivi (con la fondazione del Partito Democratico) e last but not least, con la ‘spinta propulsiva’ (svecchiata lessicalmente con rottamazione) renziana, apparsa come una vera ed autentica ‘svolta’ (dalla Bolognina alla Leopolda….).

Ma la generosa e volitiva performance di Matteo Renzi, ha esaurito in una stagione – pur densa di traguardi tagliati e di risultati – la carica di rinnovamento e consolidamento dell’assetto di una Rappresentanza partitica persuasiva e pacificatrice per la Sinistra.

Anche per lui, come per Occhetto, è prevalsa una frenesia non orientata alla profondità del pensiero riformatore ed alla pervasività di un modello di partecipazione e cittadinanza attiva in grado di produrre innovazione democratica, bensì la volontà di affermazione di un progetto pensato ed immaginato su misura per la propria leadership personale.

Eppure, commenta Roberto, le conoscenze, competenze ed esperienze accumulate in questi anni sono numerose ed andrebbero raccolte per farne una piattaforma di discussione programmatica. Potremmo far di conto di analisi rigorose sulla molteplicità di problematiche e nodi irrisolti che la trasformazione sociale ed economica ha fatto emergere, mettendo a nudo ritardi, errori ed arretratezze della Sinistra’

Condivido tale considerazione che fa trasparire una timida speranza, sorretta però da una generosa volontà di contribuire ad un ‘cantiere di lavoro’ tanto più urgente e necessario di fronte ad uno scenario sociale e politico in cui è stata proprio la latitanza della Sinistra ad aprire il varco alla predicazione e seduzione populista tra i ceti popolari non più presidiati e tutelati efficacemente.

I temi ed i dilemmi dai quali ci siamo lasciati prendere, ci rendiamo conto entrambi, meriterebbero un approfondimento sistematico, un approccio meno estemporaneo di un’intervista trasformata in uno scambio di opinioni in libertà che, però, ci hanno suggerito che il vuoto e le contraddizioni che seppur sommariamente abbiamo delineato, non costituiscono un assillo personale bensì attengono all’esigenza diffusamente avvertita in tutte le ‘tribu’ moltiplicatesi dopo l’89, di una ricognizione e di un ripensamento ideale e programmatico inedito e finalmente convincente per un ‘popolo di sinistra’ disperso e frastornato e proprio per tale condizione bisognoso di essere ascoltato e coinvolto in processo partecipativo, di mobilitazione cognitiva e, con innovative modalità organizzative, di deliberazione di un Progetto di cambiamento.

Segnalo a Roberto che per tale prospettiva (suggestiva, ma anche realistica) ci vogliono molte energie e molta generosità: il lavoro da fare è enorme ed io ho pensato bene di dare un contributo di elaborazione e proposta che gli indico come un ulteriore occasione per implementare la nostra discussione: https://medium.com/geecco/tagged/rigenerazione-democratica.