Crac Banche venete. Poche le richieste di indennizzo

Poco più di 100.000 sono finora gli indennizzi richiesti dai truffati. Un flop prevedibile, le possibili ragioni


Che il software Consap, società made in MEF, non fosse un fulmine di guerra per efficienza era stato sperimentato fin dal suo primo affacciarsi, altrimenti risulta difficile spiegare il tempo perso negli ultimi sei mesi per “aggiustarlo”; ivi inclusa la proroga fino al 18 aprile prossimo, ultima data utile per presentare le richieste d’indennizzo al Fondo Indennizzi Risparmiatori.

Del resto, il governo giallo-verde aveva investito in Consap oltre 12 milioni di €, sottratti ai risarcimenti ed invece garantiti al “supporto informatico e di segreteria”, così che tutto doveva essere pronto a partire da luglio 2019. Ciò non è successo. I primi vagiti dell’attrezzo informatico datano 22 agosto, in coincidenza l’apparizione in Gazzetta Ufficiale del terzo ed ultimo decreto attuativo della legge che reca i “benefici” per i truffati.

Il quantum che sarà erogato al danneggiato che compila la domanda in ordine con i criteri sanciti, arriverà fino ad un massimo di un misero 30% del danno subito, a dispetto della promessa di dare il 100% pubblicizzato in campagna elettorale a marzo 2018. Chi se lo ricorda?

A proposito del meccanismo predisposto dalla legge in vigore, viene in mente una celebre canzone di Renato Zero intitolata “il carrozzone” che -appunto- “va avanti da sé con le regine, i suoi fanti, i suoi re”. Burocraticamente disquisendo una volta messo in moto l’arnese, piano piano, tutto “va avanti da sé”. Oliato l’ingranaggio, resta solamente aggiungere il combustibile che nel caso specifico è “l’istanza” digitata dal singolo interessato, alias l’azzerato a causa dei fallimenti bancari.

A ieri, le domande d’indennizzo presentate al Fondo erano pari a 100.552 e, tenuti presenti i 188 giorni trascorsi dal 22 agosto 2019, in media 534 richieste a giornata. In prospettiva, mancando ancora 52 giorni per arrivare al termine finale dell’operazione, il totale complessivo potrà assestarsi in una fascia compresa tra un minimo di 128.000 ed un massimo di 140.000 fascicoli da esaminare.

Il dato merita qualche riflessione.

Innanzitutto, va ricordata la potenziale platea di riferimento. Una volta scoppiato il terremoto che complessivamente aveva coinvolto 6 istituti di credito, tra questi le due popolari venete di Treviso e Vicenza, le stime del tempo indicavano in 300/310 mila i risparmiatori coinvolti; di questi truffati circa 200 mila in Veneto. Se i ricorrenti al FIR saranno confermati nella misura anzidetta, trattasi di un flop previsto e prevedibile.

Le motivazioni vanno cercate e in scelte legislative sbagliate e nella conduzione erratica da parte delle associazioni/comitati/organismi più o meno rappresentativi, sempre divisi al loro interno e per nulla coesi nel far fronte comune verso la componente politica.

La decisione adottata, dal duo Lega-5 stelle, nella finanziaria per il 2019 di confermare i due paletti del 30% e di 100 mila €, non teneva in nessuna considerazione il risultato positivo frutto delle valutazioni dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie che nei mesi precedenti, esaminando 854 situazioni (di queste 582 venete) avrebbe potuto accordare fino al 65 % del petitum accolto in sede arbitrale se non fosse stato vincolato dal rispetto della % predeterminata per legge. Di fatto, non venne assorbito l’intero ammontare di soldi messi a disposizione dalla legge 205/2017.

Come sovente accade in questo Paese, i report non vengono letti da nessuno né dai governanti né, e questo è ancora peggio, da chi ne dovrebbe esserne beneficiato. Infatti, dopo i selfie degli esponenti dei truffati con i due sottosegretari Bitonci e Villarosa di settembre 2018, seguiranno gli applausi per la legge di bilancio 2019 “perché hanno trovato i soldi “, dato in gran parte inesatto.

Inoltre, a seguito dell’offerta di transazione pubblica conclusasi per entrambe le banche venete ad aprile 2017, le adesioni erano state di ben 121.144 truffati che avevo fruito della chance di rientrare subito di una percentuale pari al 15% del valore stabilito che -successivamente– sarebbe stato considerato in detrazione all’eventuale contribuzione pubblica. Clausola, peraltro, già inserita nella proposta di marzo 2018 inviata alla Commissione Speciale per l’esame degli atti urgenti di Governo e poi ripetuta anche nei provvedimenti dell’esecutivo Giallo-Verde. Di conseguenza, fissare al 30% il massimo concedibile defalcando il 15%, significava dare davvero un’elemosina conoscendo che la fascia nella quale probabilmente insisteranno gran parte delle richieste sta al di sotto dei 50.000,00 €. Tutti elementi noti al momento in cui venne decisa la legge nr. 145/2018. Non v’è dubbio che tanti ipotizzabili richiedenti, fattisi quattro conti, hanno ritenuto di non presentare domanda. Ad esempio, se una persona ha perso 30.000,00 € in azioni ed ha altresì aderito all’opt (offerta pubblica di transazione) delle due popolari venete, è sufficientemente motivata per ottenere 4.500 €, sapendo di dover riconoscere, magari il 5%, al patronato/associazione/servizio che l’ha aiutata a preparare la richiesta?

Di più. In una recente incontro avuto da 12 associazioni coordinate dal Comitato Ezzelino III da Romano, è emerso che Consap una volta verificate la esattezza delle richieste presentate si riserva “3 anni per le verifiche e per il successivo pagamento “.

Va da sé che le operazioni di riscontro sulla documentazione agli atti di Consap, andrà controllata dall’Agenzia delle Entrate e dalla Consob, ciascheduna per le parti di propria competenza. In particolare, la prima riscontrerà la correttezza e la congruenza dei redditi dichiarati rispetto all’osservanza delle regole in materia per l’annata di riferimento, mentre la seconda si occuperà di vagliare le procedure seguite nella compravendita dei titoli azionari.

Come narrano le cronache, gli azionisti delle due banche venete erano per lo più lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, coldiretti, liberi professionisti o piccoli imprenditori ed è altrettanto noto che queste categorie produttive sono (sono sempre state) le più leali e cristalline nell’adempiere il loro dovere verso il fisco fino all’ultimo centesimo. Infatti, non si conosce il motivo per il quale i percettori di reddito da lavoro o da pensione, contribuiscano per oltre l’80 % alle entrate tributarie statali; probabilmente trattasi di bizzarrie statistiche.

Le buone notizie, si sa, si propagano velocemente ed anche quest’ultima condizione può dissuadere, tenuto sempre presente il quantum percepibile, qualche gabbato dalla banca nel presentare “istanza”, forse per non essere bastonato una seconda volta.

Nel frattempo, il c.d. “decreto milleproroghe” è diventato legge, ed è il caso di segnalare che la bella “trovata” di anticipare il 40% del 30% è stata definitivamente archiviata, così come non hanno visto la luce tre emendamenti in campo da tempo: abrogazione della parola “forfettario”, raddoppio della % di ristoro, rivalutazione economica del prezzo d’acquisto delle azioni. Peccato, poteva essere una buona occasione.

Enzo De Biasi