Cattolici veneti: testimonianza, malessere, ignavia… e la fede?

Dialogo immaginario con un Sacerdote (prostrato) in terra (di missione) veneta

Oggi siamo tentati da una forma di sociologia sterilizzata. Sembra che si consideri un Paese come se fosse una sala operatoria, dove tutto è sterilizzato: la mia razza, la mia famiglia, la mia cultura, come se ci fosse la paura di sporcarla, macchiarla, infettarla. Si vuole bloccare quel processo così importante che dà vita ai popoli e che è il meticciato

Papa Francesco: ‘La xenofobia distrugge anche il popolo di Dio’, la Repubblica 25 settembre 2019

Perché prendere ancora la parola? Nel mio ultimo libro vi invitavo al silenzio. Ma ora non posso più tacere. Non devo più tacere. I cristiani sono disorientati. Tutti i giorni ricevo da ogni parte richieste d’aiuto da chi non sa più che cosa credere. Ogni giorno, a Roma, ricevo sacerdoti scoraggiati e feriti. La Chiesa sperimenta la notte oscura. La avvolge e la acceca il mistero d’iniquità

Robert Sarah, con Nicola Diat: “Si fa sera e il giorno ormai volge al declino”


Questa che vi accingete a leggere è un’intervista cercata, abbozzata, ma mai realizzata compiutamente. Scambi di battute, domande insidiose e risposte franche, altre ondivaghe, allusioni e sospiri, espressioni sincere e giudizi sconsolati e sconsolanti: tutto rigorosamente off the record.

Il mio interlocutore, qui trasfigurato in un ologramma, è un Sacerdote esemplare (l’immagine di copertina è tratta dal film di Robert Bresson (1951) ispirato al romanzo “Diario di un curato di campagna” di George Bernanos), con una mente fervida ed il cuore addolorato, scosso da una lucidità (la sua) che si infrange sugli scogli di un ‘Paese a cui non interessa un pensiero fondato, non frega niente e non recepisce ragionamenti complessi’.

In una chiacchierata cordiale ed intensa di qualche tempo fa, a seguito di un incontro da me richiesto per trovare conforto e discernimento aggiuntivo, da un uomo di Chiesa, in una riflessione che avevo avviato sulla ‘crisi epistemica’ della società veneta, Egli aveva preso decisamente le redini dell’osservazione indagatoria, accompagnandomi in un’analisi retrospettiva dell’ultimo mezzo secolo di storia, per planare e soffermarsi sconsolato sulla fenomenologia socio-culturale della religiosità contemporanea, peculiarmente in terra veneta.

Avendo da subito compreso che era mio specifico interesse comprendere la relazione causale esistente tra di essa e la Pastorale ecclesiale, si era cimentato in una valutazione critica che mi restituiva l’onere di una maggiore consapevolezza nell’affrontare l’esplorazione della presenza dello Spirito nella nostra Comunità regionale.

Vedi – era stato il suo ragionamento asciutto – la Chiesa soffre ancora del lutto, ovvero della rottura dell’unità politica dei cattolici che, in effetti era già stata sancita dal Concilio Vaticano II…’

Purtroppo – aveva continuato – la rielaborazione teologica e della mappa con cui orientare l’azione di apostolato in un territorio sconosciuto per il venir meno di interlocuzioni, relazioni, frequentazioni politico-istituzionali consolidate e ‘rassicuranti’, non sono state tempestive e confortanti, lasciando il Clero e gran parte del popolo di Dio, nell’incertezza, in molti casi nell’angoscia e nel risentimento per una svolta storica da taluni interpretata come un tradimento’.

Quelle affermazioni così pensose e nette, allora come adesso, mi hanno confermato la serietà ed il rigore con cui, nel dialogo persistente, intriso di interrogativi assillanti, con un amico che può vantare – diversamente da me – un curriculum prestigioso di cattolico impegnato in politica – , avevamo focalizzato i tratti di una relazione politico-culturale sopravvaluta tra la Chiesa e la DC, la cui caduta non si è manifestata solo con la ‘slavina elettorale’, ma anche con la regressione contemporanea – quantitativa – di frequentazione delle Parrocchie, – qualitativa – di visione, elaborazione progettuale e rappresentanza dei cattolici nelle Istituzioni.

Naturalmente la sto affrontando sbrigativamente sul piano storiografico, ma è per dire che i sentimenti che hanno nutrito la ‘fratellanza politica’ dei cattolici nel dopoguerra non erano certo granitici e sorretti da una comunione di valori che, come abbiamo potuto constatare nella storia su scala minore del Veneto, erano intrisi di una buona dose di ipocrisia ed opportunismo, manifestatisi clamorosamente negli esiti e nel personale politico emersi più ‘scopertamente’ nell’ultimo quarto di secolo.

Sulla questione il mio interlocutore aveva aggiunto un’annotazione che, a tutt’oggi, non sono riuscito a decifrare e che, verosimilmente intendeva sottolineare la complessità e contradditorietà del rapporto tra ‘Madre Chiesa’ ed espressioni politiche dello storico collateralismo: ‘Nel periodo della gestione CEI da parte del Cardinale Ruini c’è stato il tentativo di ripristinare un rapporto politico con il Centrodestra, ma ciò ‘non ha risolto i problemi sostanziali’ ‘.

Ha usato proprio le parole ‘problemi sostanziali’, ed ora, a distanza di un anno dal colloquio, mi risulta più chiaro il rammarico che manifestò per il fatto che ‘Dopo la gestione cardianlizia di Scola (a Venezia), la rappresentanza ecclesiale ha scolorito la ricerca teologica e religiosa’.

Non era una vera e propria denuncia, ma sicuramente una messa in guardia, rispetto allo smottamento prevedibile della religiosità intravisto nello svuotamento progressivo delle Chiese (frequentate per lo più da anziani) e nella difficoltà crescente a comunicare, a ‘fare audience’.

Ho fissato nei miei appunti l’esito di quella conversazione, ed ora mi appaiono illuminanti per proseguire il confronto virtuale nel quale sarò prevalentemente io ad esprimere il mio pensiero, proseguendo il filo del discorso laddove il mio partner spirituale si era fermato, dopo aver evidenziato che ci troviamo immersi – anche in ragione dei limiti del linguaggio e del messaggio pastorale – in un ‘brodo culturale che determina la distorsione della realtà’, di cui la vicenda Banche Popolari costituiva una drammatica evidenza in quanto ‘c’era da interrogarsi sull’atteggiamento dei risparmiatori che non erano stati solo delle vittime’ e che in conseguenza di tutto ciò ‘non ci restava che lavorare sull’accumulazione dei processi’.

Il resoconto stringato che vi ho presentato è una sorta di cornice, lo sfondo da cui prendo le mosse oggi per riprendere il dialogo con il mio interlocutore diventato ora virtuale e sottoporgli le considerazioni e gli interrogativi di un cattolico, sicuramente non esemplare, che sente intimamente di condividere in gran parte la ‘diagnosi’ sullo stato di sofferenza del mondo cattolico illustratomi, ma che nutre anche ragionate perplessità sul come la Chiesa lo sta affrontando.

Innanzitutto ritengo che il Clero, per focalizzarsi sulla realtà della nostra Regione, debba essere sostenuto ed incoraggiato a leggere, interpretare e fronteggiare il processo di autonomizzazione e parziale degenerazione della Politica veneta, senza timidezze, subalternità, reticenze, timori reverenziali nei confronti del ‘Potere’, ovvero dei Rappresentanti nelle Istituzioni.

Ho ancora in mente il volto amareggiato e quasi spaesato dell’amico Sacerdote che mi diceva :’Nel momento in cui ho visto la villa di Galan ho capito tutto!

Dagli anni della Tangentopoli veneta in poi, nella nostra Regione, il declino morale è stato subito dagli uomini di Chiesa come un portato quasi inevitabile del processo di laicizzazione; in realtà si trattava di una ‘emergenza’ che avrebbe richiesto una loro giustificata ‘intromissione’ per sollecitare l’intero ceto politico ad adottare standard di etica e disinteresse nell’esercizio di funzioni pubbliche, da un lato, ed esercitare una feroce moral suasion nei confronti dei cittadini, fedeli o meno, dall’altro, nel ricordare, promuovere e difendere i precetti della Dottrina sociale e denunciando la loro inconciliabilità con subculture, atteggiamenti, comportamenti e programmi che li contraddicevano platealmente od anche subdolamente.

Non averlo fatto con la determinazione necessaria e l’autorevolezza riconosciuta a chi era chiamato ad esercitare una funzione pastorale, non ha fatto altro che confinare nell’ambito giudiziario e della querelle partitica quella che stava diventando un’emergenza antropologico-culturale, una devianza criminogena dagli insegnamenti dottrinari e dalla pedagogia socio-politica che avevano orientato e sostenuto le prime generazioni di Amministratori locali e Leader in grado di coniugare fede e rappresentanza nelle proprie comunità.

Un’omiletica debole e rinunciataria, l’assenza di azioni e denunce forti ed esplicite sui piccoli e grandi malaffari, in particolare finanziari ed ambientali, che hanno riempito l’Agenda pubblica degli ultimi lustri, hanno contribuito al crearsi di un vuoto etico-civile, che è stato progressivamente riempito da una narrazione autoassolutaria da parte del ceto politico ‘vincente’, che surrogava la riflessività critica e la rigenerazione dei valori primigeni alla base della rinascita socio-economica regionale degli anni ‘60/’80 – necessarie par affrontare le sfide poste dalla crisi sopravanzante – con la retorica propagandistica di un ‘popolo veneto virtuoso’ sopraffatto da poteri forti esterni ed alle prese con congiure romane tutte tese ad incatenarne la vitalità.

La mistificazione dei dati e dei fatti è stata resa possibile da una sapiente ‘comunicazione politica’ insistita e pervasiva, finanziata con le risorse della Regione e finalizzata alla manipolazione di un’opinione pubblica privata degli strumenti e delle informazioni necessarie per il discernimento ed allontanatasi dai luoghi che non erano solo dediti al culto religioso, ma la cui frequentazione era stata nel passato e avrebbe dovuto ancora costituire occasione di sensibilizzazione e pedagogia alla cura dei beni comuni.

L’acme della ‘distorsione della realtà’ (l’epifenomeno segnalatomi dall’amico Sacerdote) si è manifestato con la velenosa campagna di distrazione di massa usata per un tradeoff diabolico: l’assoluzione dei ‘buchi neri’ della coscienza collettiva e la demonizzazione dei ‘neri’ apparsi nelle nostre piazze come fantasmi invasori e devastatori dell’armonia e dell’integrità sociale.

Abbiamo così assistito ad una trasformazione impressionante di ‘sceneggiatura’: un popolo cattolico formato da famiglie che fino ad alcuni decenni orsono erano fiere di generare migliaia di evangelizzatori, talvolta martiri, missionari in Africa ed in tutti gli angoli del Pianeta, è diventato improvvisamente timoroso e livoroso perché sentitosi minacciato dai volti scuri e dagli sguardi supplicanti di qualche centinaio di emigranti alla ricerca di un approdo sicuro, ovvero accoglienza, e convivenza ordinata-disciplinata-operosa, da parte delle Comunità locali – coordinate dall’Ente Regione –.

Esse avrebbero dovuto prima di tutto interrogarsi sul significato dell’evento (l’arrivo di un ‘Altro’ che ci turba e ci interroga), immediatamente dopo organizzarsi i modo efficace ed efficiente, successivamente attuare la riflessione, fino ad allora mancata, sull’impatto determinato dal mezzo milione di corpi e volti neri, gialli e nocciola che erano già venuti ad abitare e co-operare allo sviluppo in terra veneta nell’ultimo ventennio.

La domanda che ci dobbiamo porre è: come è potuto accadere?

Non ci interessa qui argomentare sul fallimento della governance dei flussi immigratori e sulla truce strumentalizzazione a fini elettorali: questione dibattuta finora quasi esclusivamente sotto il profilo sociologico e politologico.

Riteniamo invece prioritario focalizzarsi sul ‘deserto dell’anima’ che ha fatto assurgere una artificiosa ed ingannevole ‘emergenza sociale’ (l’immigrazione), per oscurare una vera e drammatica ‘emergenza antropologico-culturale (la con-vivenza).

Ed in particolare vogliamo interrogarci e sollecitare il ripensamento da parte dei Rappresentanti della Chiesa sul ‘vuoto di senso ed orientamento etico’ determinatosi nell’(ex) popolo cattolico veneto, anestetizzato e deprivato della formidabile risorsa della Fede, energia fondamentale per misurarsi con (tutte) le sfide della contemporaneità.

Non si tratta di attrezzarsi affannosamente per fronteggiare una modernizzazione e laicizzazione considerate ostili alla religiosità, né di inseguire un sogno di restaurazione di una Chiesa capace di dettare l’Agenda pubblica cullandosi nella nostalgia di un passato tramontato.

Si tratta piuttosto di recuperare la consapevolezza di ‘avere qualcosa di inaudito da dire a questo tempo’!

Circolano ‘lamenti e contabilita’ di una crisi pastorale che ci appaiono mortiferi e fuorvianti perché se sono vere le fotografie di una Chiesa invecchiata ed impacciata, oltretutto svilita ed oltraggiata dai ‘corvi’ e dalle lobbyes che all’interno del Vaticano tramano e si contorcono come veri e propri ‘agenti di Satana’, è ancor più vero che ‘se una persona non sta bene di salute e continua a dirselo e ridiserlo, e lo ripete a chiunque incontri, ebbene quella persona non guarirà mai!’.

Invece, lo dico da povero cristiano (e non sembri un gioco di parole), è tutta, è solo una questione di Fede!

Che è insidiata, come osserva monsignor Massimo Camisasca, ‘dalla sua banalizzazione, quando essa viene ridotta ad una speranza mondana, ad una felicità che può essere prodotta attraverso un cambiamento della società o del nostro spirito, della nostra psiche, portato dalle scienze dell’uomo’.

Stiamo vivendo un tempo che ci appare grigio, minaccioso mentre in realtà esso rappresenta un’opportunità, una ‘metanoia’ che ci può schiudere una prospettiva di rinascimento personale e comunitario.

In questa congiuntura storica possiamo giovarsi dell’insegnamento di un Papa che, probabilmente per l’autenticità e l’originalità di linguaggio che lo contraddistinguono, pone costantemente l’accento sulla ‘gioia del Vangelo’, invitandoci ad uscire dalle ‘sacrestie del malcontento’ in cui ci siamo rinchiusi, ad innovare le formule e le pratiche pastorali che non riescono a migliorare quell’audience che costituisce il cruccio segnalato dal mio amico Sacerdote all’inizio di questa ‘intervista’.

Una tale ‘conversione’ però, non è un esercizio solipsistico, bensì una rivisitazione profonda dell’approccio con cui leggiamo e ci facciamo carico delle ansie e delle attese delle persone più fragili che ci circondano, delle ‘sofferenze ambientali’ ed ingiustizie sociali che attraversano il territorio che abitiamo, delle carenze valoriali e programmatiche nella governance delle Istituzioni che siamo chiamati a frequentare attraverso una partecipazione più responsabile, alimentata e sorretta da una Pastorale del Civismo aggiornata, motivante, entusiasmante.

Dino Bertocco