Bene la riconferma del tandem Mattarella al Quirinale che rafforza Draghi a Palazzo Chigi. Avanti tutta con il programma di Governo

SERGIO MATTARELLA, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Spaccato il Centrodestra ed inconsistente il Centrosinistra, il sistema partitico versione seconda Repubblica è collassato, quello della terza, non è mai nato. Si al Presidente eletto direttamente, ma in uno Stato Federale.


La settimana appena terminata, ha visto concludersi positivamente la partita del Quirinale e probabilmente avviarsi a conclusione la trentennale ed inconcludente epopea caratterizzata da partiti liquidi i cui programmi sono stati sempre contenuti in uno spot elettorale. L’ultima torsione di siffatta rappresentazione politica è sfociata nel vuoto pneumatico di matrice populista dei 5 stelle e dei sovranisti d’assalto di conio leghista, associatesi nel primo esecutivo durato 14 mesi durante questa legislatura: 2018-2023.

In questa vicenda senza né vincitori né vinti o -se preferite- dove tutte le parti in commedia possono dire di aver vinto, un po’ meno festaioli escono Matteo Salvini e Giuseppe Conte pur avendo dato il “loro contributo al Mattarella bis”. IL centro destra si è spaccato e liquefatto come neve al sole. Certamente nel paese reale, esiste un’area culturale di destra post-fascista e liberal-conservatrice, ma è fuor di dubbio che non c’è più l’articolazione organizzativa lanciata da Silvio Berlusconi che ebbe inizio con lo sdoganamento dell’elettorato missino in occasione delle elezioni di Roma del 1993. L’altro schieramento, ovvero il centrosinistra non ha toccato palla, si è limitato a fare catenaccio utilizzando lo schema di gioco esposto da parte di Walter Veltroni intervistato da Lilli Gruber nella trasmissione 8 e mezzo, ben prima delle quiriniadi. I concetti base allora esplicitati dal primo segretario del PD, erano due e molto semplici: a) nessuna coalizione è autosufficiente per eleggersi da sola il Capo dello stato, b) il futuro Presidente deve essere proposto dall’attuale maggioranza governativa, è benvenuto chi si vuole aggiungere. La dirigenza nazionale di via del Nazareno ha reso operative queste direttive. Va dato atto all’attuale reggente di aver tenuto la barra diritta, anche quando ha subito qualche gomitata nei fianchi o calcio negli stinchi di provenienza sia interna che esterna. Enrico Letta, data l’attuale consistenza dei gruppi parlamentari e i continui bradisismi pentastellati, si è mosso accortamente né ha azzardato fare di più. Il risultato finale è quello noto: il mantenimento dello status quo.

Analogamente alla controparte, da anni il centrosinistra prima in versione Ulivo (1996-2008), poi trasformatosi dal 2007 nel Partito Democratico a seguito di un accordo-base tra i DS e la Margherita e la partecipazione di movimenti e forze e di culture che si richiamano al riformismo, alla tradizione socialdemocratica, cristiano-sociale, repubblicana, liberaldemocratica si è fortemente ristretto. Infatti, il PD è sceso nel gradimento del corpo elettorale dal 33% del 2008 al 19% del 2018. Una parte cospicua dei voti persi è migrata verso il Movimento 5 Stelle; oggi attestato nei sondaggi qualche punto percentuale sopra il 10%. Anche in questo caso, c’è una piattaforma ideale con differenti declinazioni operative che può partire dai liberali e via via arrivare ad abbracciare anche i post-comunisti. Per il prossimo immediato futuro, presa in carico la frammentazione partitica in essere e l’inesistenza di un partito “maggioritario” a livello di sistema, occorre ripensare una o più aggregazioni in grado di interloquire positivamente tra di loro, anche se con programmi diversificati.

In attesa che dalle macerie dei partiti collassati, sortisca qualcosa di valido le istituzioni repubblicane pienamente legittimate, debbono continuare nel loro servizio alla comunità nazionale, possibilmente senza interruzioni ed interferenze improprie ed improvvide. La riconferma di Sergio Mattarella, Presidente amato e stimato da tantissimi cittadini, assicura e garantisce la stabilità governativa, favorendone la prosecuzione probabilmente fino alla sua scadenza naturale. Va da sé che l’ex-banchiere centrale, accantonate (per il momento) le sue velleità di andare sul colle più alto di Roma, dovrà riprendere con vigore e speditezza l’adozione tempestiva di tutto ciò che serve per: incassare la seconda tranche di 40 miliardi UE prevista per il prossimo giugno, la fuoriuscita dalla pandemia che ci blocca da oltre due anni ed infine, contrastare la povertà e le diseguaglianze da sempre presenti nel panorama nazionale, ma notevolmente acuite dall’inizio del terzo millennio. Del resto, queste erano e restano le ragioni per le quali egli venne chiamato dal vecchio e nuovo, Capo dello Stato, quale commissario straordinario di una politica nazionale dimostratasi inadeguata di fronte alle sfide complesse che il Paese Italia deve superare.

Finora il reggitore di Palazzo Chigi ha svolto la funzione con performance eccellenti. Il riferimento è il forte recupero di immagine e di reputazione dell’Italia sul piano europeo ed internazionale, così come la ripresa -soprattutto- del settore manifatturiero con conseguente incremento nel 2021 del Prodotto Interno Lordo, del ben oltre il 6%. Nel 2020 il PIL era sceso di un -9%, ciò significa aver aumentato di un + 15% in 24 mesi: meglio di Germania, Francia e di altri stati UE. Mai successo prima. Un balzo così in avanti del 6.5%, non capitava dal 1995, 27 anni or sono. Ciò nondimeno, negli ultimi mesi, l’operare governativo è stato più ondivago e meno incisivo sia sulla pandemia che sul PNRR. Il pensiero corre ai 51 punti assolti per soddisfare le richieste dettate dalla Commissione di Bruxelles in occasione della prima tranche di finanziamenti. Ebbene, in alcune questioni nelle quali siamo in ritardo da decenni, le scelte potevano essere più nette.

Tipica prova è il disegno di legge sulla concorrenza, varato lo scorso 4 novembre, che interviene sulla rimozione delle barriere all’entrata dei mercati per i seguenti settori: servizi pubblici locali, energia, sostenibilità ambientale, salute, infrastrutture digitali e parità di trattamento tra operatori. Lo strumento prescelto poteva essere il decreto-legge, considerati i decenni persi. Di più, la delusione è manifesta quando nel campo delle concessioni demaniali, disciplina regolante il rapporto equilibrato e proficuo per la collettività che concede il bene “di tutti noi” ed il privato che lo usa a fini imprenditoriali ed occupazionali per un certo lasso di tempo; l’esecutivo Draghi non ha trovato di meglio che limitarsi- in sostanza- alla “mappatura”. Il proprietario è lo stato, in alcuni casi gli enti locali, ebbene il titolare del bene da dare in profitto a terzi non sa quanti ne possiede?

Altro esempio, è la delega per la riforma fiscale che ha avuto un anticipo con la rimodulazione pro-redditi medio bassi delle aliquote IRPEF, ma che ad oggi è ancora in fase di discussione alla Camera dei deputati al fine di riordinare dopo 50 anni imposte e tasse il guazzabuglio disciplinare afferente: IRES, IVA ed IRAP da abolire. La medesima norma porta con sé anche il riordino del Catasto, attribuendo ad ogni unità immobiliare nuovi valori patrimoniali e di rendite attualizzate. Le modifiche non potranno avere i loro effetti prima del 2026; senza, tuttavia, incidere sulla tassazione. L’opera di riorganizzazione e riforma del Catasto appare dunque improntata ai principi della trasparenza e della connessione con il mercato immobiliare e, si ribadisce nella relazione di presentazione, dovrebbe essere funzionale esclusivamente ad una “mappatura statistica degli immobili e fabbricati” presenti sull’intero territorio nazionale. E’ appena il caso di ricordare che sull’intero pacchetto di riforma fiscale, il 4 di ottobre la Lega in sede di Consiglio dei Ministri si è astenuta e che una volta approdata la delega legislativa in GU, il governo in carica (questo od un altro?) avrà 18 mesi di tempo per precisare i dettagli operativi, particolarmente importanti quando si disciplina la materia fiscale.

Il Presidente Draghi ha presentato in conferenza stampa la legge delega in materia come “una scatola vuota da riempire”, ma indicare quale unico obiettivo tangibile la mitica “mappatura statistica degli immobili e dei fabbricati” ricompresa in un disegno di legge pur ricco ed articolato in: direttive, criteri e tempistiche, è davvero poco, anzi pochissimo. Il Governo poi, una volta che la legge è in Gazzetta, avrà 18 mesi di tempo per promulgare i decreti attuativi. Siamo a febbraio 2022, le “minuzie” utili per il cittadino e le imprese al fine di pagare imposte, tributi e tasse riordinate è sperabile siano redatte da questo esecutivo ?.

Dove sta, qui ed ora, il cambio di paradigma generato dalla pandemia?

Qualche direttore di quotidiano orientato verso il centro destra teme che il rafforzamento dell’attuale esecutivo, porti ad un comportamento “dittatoriale” del Presidente in carica. Ebbene, costui e tutti noi possiamo stare tranquilli poiché qualsiasi determinazione di Draghi, alla fin fine restiamo una democrazia dove l’ultima parola spetta al Parlamento. Rimane aperta un’alternativa di fondo. Nelle decisioni politiche con ricadute nella realtà quotidiana, devono prevalere gli interessi particolari e di breve termine a valere per poche centinaia di migliaia di operatori? Oppure quelli generali e di medio termine a valere per milioni di cittadini di oggi e di domani? L’esecutivo di “unità nazionale” dovrà, inevitabilmente, allungare lo sguardo un po’ in prospettiva e trovare il punto di bilanciamento finale, prima in sede governativa e poi in quella definitiva parlamentare, mediando al rialzo tra interessi di parte e quelli di tutti, al netto dei compromessi politico-corporativi da sempre dietro l’angolo.

Metro di misura sarà il recupero di credibilità di ciascuno dei partner della strana coalizione, cui potrà seguire un allargamento del perimetro della partecipazione democratica oggi in caduta libera. Ad ottobre 2021 dei sei capoluoghi di regione in cui si è votato per le comunali, solo a Bologna l’affluenza ha superato il 50%, l’anno prima per la regione Calabria l’afflusso è rimasto bloccato al 44 %; recentemente nel collegio romano poco meno del 10%.

L’arrivo di un “civil servant” alla Presidenza del Consiglio l’anno scorso di questi tempi, la riconferma patita ma non voluta di Mattarella, il fatto che oltre a Mario Draghi ,negli ultimi venticinque anni a cadenza periodica e per obiettivi fondamentali per la sopravvivenza dello Stato Italia (euro, risanamento conti pubblici, riforma pensionistica), siano stati chiamati banchieri centrali, Carlo Azeglio Ciampi , Lamberto Dini, ed un economista, Mario Monti non possono essere ritenuti accidenti della storia repubblicana avvenuti casualmente. A questo si aggiunga qualche altro indizio. Negli ultimi quattro esercizi di bilancio, la legge finanziaria per l’anno dopo è stata -di fatto discussa e votata- principalmente da uno dei due rami rappresentativi del Parlamento, il secondo ha dovuto sostanzialmente prenderne atto. Infine, lo scampato pericolo per imperizia dei proponenti (M. Salvini e G. Conte) che oltre all’attuale inquilino di Palazzo Chigi al Quirinale fosse eletta una ambasciatrice e dirigente statale di alto livello e profilo, Elisabetta Belloni (di per sé non da condannare in via di pregiudizio) consegue l’urgente necessità di por mano all’ammodernamento della governance innovando -anche radicalmente- funzioni e ruoli delle istituzioni.

Fermo restando la prima parte dei principi della Carta costituzionale, meritano di essere sottoposti ad un’assemblea costituente da eleggere in concomitanza alle prossime consultazioni popolari le seguenti modifiche costituzionali. La Repubblica da parlamentare diventa federale, quindi un Presidente eletto direttamente dal corpo elettorale ed otto stati federati, Governo di nomina presidenziale ma approvato dalla Camera dei deputati, abolizione del senato e rafforzamento della Conferenza inter pares, stato centrale e stati federati.

Il concetto di fondo è che un potere centrale forte (Presidente della Repubblica), non può esistere con una periferia debole, anzi debolissima: i pesi politici vanno riequilibrati e ridistribuiti.

In questa testata sono già stati pubblicati tre articoli dedicati all’argomento nel 2019-2020 che motivano il fallimento del decentramento più o meno rafforzato. Per completezza ed in attesa che i partiti si riorganizzino a partire da una comunanza di valori ideali, passione e dirigenti competenti ed esperti in buone pratiche, è opportuno varare al più presto la nuova norma elettorale a valenza proporzionale con sbarramento al 5% dei suffragi validi.

Enzo De Biasi